Translate

La Roccia spirituale


 

La Roccia spirituale 

 

Alcuni credenti leggono pochissimo l’Antico Testamento. Anzi, certi non lo leggono per niente, perché non lo ritengono “cristiano”. Eppure, prefiggendosi di leggere la Bibbia nell’arco di un anno, una persona è costretta, per otto mesi, a leggere l’Antico Testamento. La lettura del Nuovo Testamento, lo impegnerà solo per i restanti quattro mesi. La testimonianza degli apostoli, sulla necessità di studiare l’Antico Testamento, è decisiva. Leggiamo le parole che Paolo rivolse a Timoteo (2Timoteo 3:14-17).

·         Tu però persevera nelle cose che hai imparato e nelle quali sei stato confermato, sapendo da chi le hai imparate, e che sin da bambino hai conosciuto le sacre Scritture, le quali ti possono rendere savio a salvezza, per mezzo della fede che è in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire nella giustizia, affinché l'uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni buona opera

Paolo, scrivendo a Timoteo, testimonia la sua fede fondata sulle Scritture. La locuzione “Tutta la Scrittura” alla quale si riferiva Paolo, erano i 39 libri degli Ebrei: l’Antico Testamento. Per i primi cristiani essa era sufficiente per educare tutti coloro che volevano fare la volontà di Dio, per essere istruiti, corretti, e diventare uomini di Dio completi. E’ così anche per noi?

·         Or queste cose avvennero per servire da esempio a noi, affinché non siamo bramosi di cose cattive, come lo furono costoro… Or tutte queste cose avvennero loro come esempio, e sono scritte per nostro avvertimento, per noi, che ci troviamo alla fine delle età (1 Corinzi 10:6, 11).

Paolo ha narrato alcuni avvenimenti, occorsi al popolo d’Israele. Essi sono descritti nell’Antico Testamento, per ricordarci che esso è stato scritto anche per noi, perché ci votassimo alla santità, per non subire le stesse conseguenze del popolo d’Israele. Trascurare la lettura dell’Antico Testamento, significa privarci di grandi benedizioni, e limitare in grandissima misura la nostra comprensione del volere e dell’opera di JHWH.

In sintesi, descrivo le ragioni per le quali occorre leggere e meditare, l’Antico Testamento.

1) Perché è Parola di Dio.

2) Per una ragione di cronologia.

3) Per una ragione dottrinale.

4) Perché testimonia la Deità di Gesù che è il Tetragramma.

5) Perché serve per comprendere il Nuovo.

6) Perché gli insegnamenti spirituali non decadono.

7) Perché contiene profezie ancora inadempiute.

 

I primi cristiani, nei loro scritti, si rifacevano spesso ad episodi descritti nell’Antico Testamento. 

Paolo ricorda il fatto di Mosè, che si copriva il viso col velo (2Corinzi 3:13); l’autore della lettera agli Ebrei cita Melchisedec, almeno una decina di volte (Ebrei 7:1); Giuda richiama alla mente dei suoi lettori la triste fine delle città di Sodoma e Gomorra (1:7). Nella prima lettera ai Corinzi, nel capitolo dieci, l’apostolo Paolo descrive diffusamente alcuni eventi del popolo d’Israele, che troviamo narrati nella Torah, o Pentateuco. I primi cristiani evidentemente conoscevano questi episodi, e Paolo coglie lo spunto per ammonire i credenti affinché non provocassero Gesù Cristo, come fecero gli ebrei durante i quarant’anni nel deserto. Forse per noi, questo accostamento suona strano, ma evidentemente i primi cristiani sapevano bene che JHWH è Gesù Cristo. 

A mio dispiacere, attualmente, invece, per molti non è più così. Leggiamo il brano in merito.

·         Ora, fratelli, non voglio che ignoriate che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola e tutti passarono attraverso il mare, tutti furono battezzati per Mosé nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono il medesimo cibo spirituale, e tutti bevvero la medesima bevanda spirituale, perché bevevano dalla roccia spirituale che li seguiva; or quella roccia era Cristo. Ma Dio non gradì la maggior parte di loro; infatti furono abbattuti nel deserto, Or queste cose avvennero come esempi per noi, affinché non desideriamo cose malvagie come essi fecero, e affinché non diventiate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: "Il popolo si sedette per mangiare e per bere, e poi si alzò per divertirsi". E non fornichiamo, come alcuni di loro fornicarono, per cui ne caddero in un giorno ventitremila. E non tentiamo Cristo, come alcuni di loro lo tentarono, per cui perirono per mezzo dei serpenti (1Corinzi 10:1-9).

 

Gli episodi, relativi al popolo d’Israele, descritti da Paolo, si trovano nei libri dell’Esodo e dei Numeri. Spesso, l’interpretazione che si fa di questo testo, è simbolica poiché Paolo parla di un “cibo spirituale”, di una “bevanda spirituale”, di una “roccia spirituale” che è Cristo.

Interpretare simbolicamente un testo, può essere legittimo. Nel Salmo 91, leggiamo che, chi confida nell’Altissimo, sarà coperto dalle “penne” di Dio, e sotto alle sue “ali” troverà rifugio. L’immagine evocata dal salmista, chiaramente, serve per far comprendere che Dio proteggerà coloro che cercano riparo in Lui. Il lettore non si ferma al significato letterale, ma coglie il messaggio simbolico che l’immagine vuole evocare. Così, facendo una lettura simbolica degli episodi citati da Paolo, il lettore è portato, non tanto a considerare gli avvenimenti descritti nel brano, quanto a cogliere, più che altro, la morale suggerita dagli avvenimenti. Il tal modo, il lettore non afferra ciò che Paolo vuole trasmettere.

 

Facendo una lettura metaforica di questo brano, noi siamo costretti ad interpretare gli avvenimenti in senso simbolico. Questo non è possibile, perché gli avvenimenti, descritti da Paolo, sono successi letteralmente come descritti: gli Israeliti mangiarono veramente la manna, bevvero veramente dell’acqua scaturita dalla roccia. Dobbiamo, quindi, interpretare tutto il brano in senso letterale. Il popolo d’Israele mangiò del pane vero e proprio, definito “spirituale”; esso bevve dell’acqua vera e propria, definita “spirituale”; era, infine, seguito da una roccia vera e propria, definita “spirituale”.

 

Per la nostra cultura, lo “spirituale” si contrappone al “materiale”. Noi definiamo l’amore spirituale, e un tavolo materiale; anima, la parte spirituale dell’uomo, corpo, la parte materiale. Lo spirituale è, per definizione, etereo, incorporeo; il materiale, è tutto ciò che impressiona i nostri cinque sensi. Così, considerando gli avvenimenti, descritti da Paolo, in senso allegorico, noi traiamo dalla lettura solo un insegnamento morale, tralasciando i fatti successi. Questo è sbagliato, perché tutto ciò che Paolo ha descritto, è successo letteralmente. La manna sfamò fisicamente gli Israeliti, e, così, l’acqua dissetò il popolo d’Israele. Paolo, quindi, stava trasmettendo qualcosa di molto più importante di un mero insegnamento morale. Poiché gli episodi citati da Paolo sono realmente avvenuti, non è corretto pensare che l’apostolo volesse trasmettere delle verità morali trascurandone il presupposto storico. Anzi, le verità morali non possono essere comprese rettamente, se prima non si sono compresi gli episodi realmente accaduti, che le sottintendono. Interpretando erroneamente la realtà, non posso comprenderne, in modo corretto, l’insegnamento spirituale. Se, nella parabola del seminatore, vedo, non un uomo che semina, ma uno che scava una fossa per piantarvi il seme, non comprendo come il seme possa cadere in vari posti. L’interpretazione spirituale della parabola, quindi, risentirà gravemente di questo mio errore. Ne consegue quanto, definire esattamente il significato del termine “spirituale”, sia indispensabile per non collocarlo, erroneamente, nell’ambito di ciò che è immateriale e simbolico.

 

La teologia dell’apostolo Paolo non lascia dubbi: ciò che è spirituale appartiene alla materia. Mettendo in contrapposizione l’uomo naturale, o carnale, con l’uomo spirituale, l’apostolo Paolo si riferisce a persone vive e vegete fisicamente. La differenza non sta nella sostanza, nella materialità o meno, ma agli ambiti d’appartenenza. L’uomo carnale è colui che vive e agisce sotto l’impulso della natura umana corrotta; l’uomo spirituale è colui che è condotto dallo Spirito Santo. L’uomo carnale è colui che non ha subito una trasformazione spirituale;l’uomo spirituale è colui che è nato da alto, che è passato dalla morte alla vita. L’uomo carnale appartiene a se stesso; l’uomo spirituale appartiene allo spirito, ed è, da questo, condotto. Ciò che è spirituale non ha, quindi, a che fare con il simbolo, con ciò che è, quindi, figurativo. Anche in greco, i due termini differiscono.

L’aggettivo pneumatikos indica, espressamente, ciò che è proprio dello Spirito, ciò che è condotto dallo Spirito. Il sostantivo typos significa, invece, forma, figura, immagine.

Dobbiamo, quindi, interpretare il cibo e l’acqua spirituali degli israeliti, non in senso simbolico, bensì come cose reali, derivanti da un intervento di Dio. Il popolo di Dio ha soggiornato nel deserto per quarant’anni, trovando dell’acqua a Mara; attraversato il Giordano, essi trovarono dodici sorgenti e settanta palme; mangiarono dei cibi, ma non erano “spirituali”, perché erano alla portata di tutti e non dovuti ad un intervento divino.

 

Tutto questo è accettabile, ma come comprendere l’affermazione di Paolo che la “Roccia spirituale” era Cristo? Una roccia non è forse, come definisce il vocabolario, “un aggregato minerale che costituisce la parte più dura e coerente della crosta terrestre?”. Riferita a Cristo, una tale espressione, non deve essere intesa in senso simbolico? Paolo stava scrivendo a dei credenti che conoscevano le Scritture, la Torah. I Corinzi sapevano che, nel capitolo 32 del libro del Deuteronomio, JHWH Dio, veniva chiamato “Roccia”. La parola “Roccia”, in quell’occasione, non era tanto un attributo, ma un sostantivo, esso costituiva un nome attribuito a JHWH stesso. Infatti, anche la LXX, traduce “Roccia” con “Dio” o con “Signore”. Non soltanto nei versetti citati, ma in tutto il cantico, al posto di “Roccia”, i LXX traducono i Nomi del Dio d’Israele. Una dimostrazione, che la parola Roccia non sia un attributo, è data dal fatto che i traduttori l’hanno scritta con la erre maiuscola (Deuteronomio 32:4, 13, 15, 18, 30, 31). Affermando che la roccia spirituale era Cristo, Paolo voleva intendere che nel deserto, con il popolo d’Israele, vi era Cristo. In effetti, Cristo era pneumatikos, cioè, era una realtà, o una manifestazione, della sua attività. La roccia “spirituale” che li accompagnava era, dunque, la presenza corporea di Cristo.

 

Ecco riportato il commento di Enrico Bosio, riguardo al passo di 1Corinzi capitolo 10: “… gl’Israeliti sono stati provveduti d’acqua e che dovettero questo alle cure costanti di Colui che Mosè stesso chiamò “la roccia della salvezza” d’Israele (Deuteronomio 32:15,18; Conf. Isaia 30:29; 26:4); e che Paolo nomina addirittura Cristo. Difatti, secondo lui, la persona divina che accompagnava il popolo nel deserto, l’Angelo della Faccia, l’Angelo di Dio, del Patto, l’Eterno, l’autore delle Teofanie non era altri che il Figlio di Dio, il quale, prima d’incarnarsi, presiedeva all’Economia della Salvazione. Egli era la vera roccia spirituale, soprannaturale, che seguitava Israele e provvedeva ai suoi bisogni. (Enrico Bosio – Le Epistole ai Romani I-II Corinzi - Claudiana). Fa coro Leon Morris, citando Conzelmann: “l’uso di “era” … indica una preesistenza reale”. (Leon Morris – La prima Epistola di Paolo ai Corinzi – Edizioni GBU). Il professore di Critica Biblica F.F. Bruce (1910-1991) commenta così il nostro passo. “Per lui (Paolo) la roccia materiale era il simbolo di una realtà spirituale, la realtà spirituale della presenza di Cristo: “la Roccia”, dice “era Cristo”. Era Cristo, in altre parole, che seguiva il suo popolo nel deserto..” – (Gesù ieri, oggi e domani)

 

Per i primi cristiani, l’identificazione di Cristo con JHWH, nell’Antico Testamento, era cosa ovvia. Se, per noi, non lo è, ciò è dovuto certamente ad una mancanza di conoscenza, derivante da un’errata trasmissione della fede, o da una nostra insufficiente percezione di essa. Non solo. Anche i traduttori della Bibbia sono colpevoli, perché non sempre hanno tradotto correttamente il testo greco. La traduzione inesatta, al versetto nove, del capitolo dieci, di 1Corinzi, versione Nuova Riveduta, offusca la presenza di Cristo nella Torah.

Per approfondimenti:

http://saldinelladottrina.blogspot.com/2018/07/testimonianza-di-cristo-nellantico.html

La Nuova Riveduta traduce così il testo di 1 Corinzi 10:9: “Non tentiamo il Signore, come alcuni di loro lo tentarono, e perirono, morsi dai serpenti”.

La Nuova Diodati, invece, fedele al greco, rende: “E non tentiamo Cristo, come alcuni di loro lo tentarono, per cui perirono per mezzo dei serpenti”.

Tradurre “Signore”, al posto di “Cristo”, non trasmette esattamente il pensiero di Paolo. Il sostantivo “Signore” (che da molti può essere considerato aggettivo), induce nel lettore ad avere un’idea vaga di Dio. Usando, invece, il sostantivo “Cristo”, comprendiamo, inequivocabilmente, che gli ebrei nel deserto tentarono proprio la persona di Cristo, e non Dio, inteso nella sua pluralità come Teos, o Elohim. Evidentemente, il traduttore non ha afferrato l’importanza di questa precisazione. Ciò, induce a pensare che molti, come lui, non abbiano percepito che Cristo fosse presente corporalmente nell’Antico Testamento.

 

Anche la traduzione di un’affermazione dell’apostolo Giuda, nella relativa lettera, mette in evidenza i limiti dei traduttori.

·         “Or voglio ricordare a voi, che già conoscevate tutto questo, che il Signore, dopo aver salvato il suo popolo dal paese di Egitto, in seguito fece perire quelli che non credettero (Giuda 5).

 

I testi più antichi, risalenti al IV e V secolo, al posto di “Signore”, portano scritto Gesù, Cristo, Dio Cristo, Dio. I Codici Vaticano e Alessandrino, e molte versioni antiche, riportano “Gesù salvò il popolo dall’Egitto”. Queste versioni, mettono in evidenza che è stato Cristo a salvare il popolo dell’Eterno dall’Egitto, e non un vago “Signore”. Una traduzione corretta di questi passi, c’informa, al di là d’ogni dubbio, che Cristo è l’autore materiale della liberazione del popolo d’Israele.

 

Questa coscienza della presenza di Gesù nell’Antico Testamento faceva sì che i primi cristiani ebrei scrivessero in un modo che a noi potrebbe risultare strano.

·         Per fede Mosé, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del Faraone scegliendo piuttosto di essere maltrattato col popolo di Dio che di godere per breve tempo i piaceri del peccato, stimando il vituperio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori di Egitto, perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa (Ebrei 11:24-26).

La domanda più ovvia è: “Come ha fatto Mosè a stimare il vituperio di Cristo maggiore delle ricchezze d’Egitto, se non Lo conosceva? E’, anche questa, un’espressione da interpretarsi in senso simbolico, o l’autore della lettera voleva veramente intendere che Mosè conosceva Cristo? Alla luce di quanto abbiamo considerato, Mosè scelse veramente di essere disprezzato, per amor del Cristo che vedeva, e con il quale parlava (Esodo 33:11), anziché godere i fugaci piaceri terreni.

Essendo, dunque, la suddetta “roccia spirituale”, la persona reale, corporea, di Cristo, proveniente dall’alto, consegue che l’uomo spirituale sia, dunque, il credente nato di nuovo, o da alto, e condotto dallo Spirito. Quest’aspetto getta luce su di un equivoco intrinseco al nostro modo di parlare. Un credente, che compia qualcosa di straordinario, come dei miracoli, o un gesto insolito di perdono, d’amore, solitamente, viene definito un uomo “spirituale”. Riteniamo un “uomo spirituale”, colui che “non abbandona la comune adunanza”, che legge con assiduità la Bibbia, che prega sovente e regolarmente, che si appresta a servire la chiesa. L’uomo spirituale è colui che si comporta bene; egli è tale in base alla sua condotta. Con questa valutazione abbiamo spostato l’obiettivo dall’essere, al fare. L’uomo spirituale non è colui che opera; ma, colui che è. Colui che è nato di nuovo, e vive, condotto dallo Spirito Santo. Di conseguenza, l’uomo spirituale non agisce condotto dai propri istinti, dalla propria emotività, dalla natura umana, che essendo corrotta, non può piacere a Dio; ma, egli è sottoposto all’azione dello Spirito di Cristo, non contrastando, e non contristando, lo Spirito Santo. L’uomo spirituale è uno pneumatikos, colui che vive in questo mondo, che ha contatto con la realtà materiale di questa vita ma l’affronta con la mente, e lo sguardo, di Cristo.

 

Con questa prospettiva un giorno in cielo cadranno tante teste e tanti castelli in aria. Molte persone che saranno state lodate e applaudite su questa terra nel campo della fede si vedranno rinnegate da Cristo perché “ciò che è eccelso davanti agli uomini, è in abominio davanti a Dio”. Se si credesse a questa sola verità, i “credenti” sarebbero più schivi nei confronti dell’approvazione della folla. Non solo. Molti di coloro che oggi si professano cristiani, verranno svergognati nel giorno di Cristo per aver compiuto opere di “gran volume” (paglia, fieno, legno) non prodotte dallo Spirito Santo. L’uomo spirituale lascia che lo Spirito di vita agisca quotidianamente portando i frutti dell’amore, della pace, della gioia, della fedeltà, della mansuetudine, dell’autocontrollo, mentre l’uomo carnale cerca di piacere a Dio con i propri sforzi mediante le sue opere. I frutti sono la naturale conseguenza della Vita che scorre in un individuo, le opere sono il risultato dello sforzo umano. Buona la riflessione di Watcman Nee. “Molti cristiani…hanno imparato a considerare le cose del cielo come qualcosa da raggiungere, perciò per loro il cristianesimo è uno sforzo; cercano di essere quello che non sono e di fare quello che non possono fare. Combattono per non amare il mondo perché in realtà nel cuore lo amano; si sforzano di essere umili perché nel cuore sono molto sicuri di sé” 

 

Sono pochi coloro che sono condotti dallo Spirito. Se per i cristiani fosse la regola essere condotti dalla Persona dello Spirito Santo, essi sperimenterebbero una vita vittoriosa e le chiese realizzerebbero un’abbondanza di gioia e di comunione. Dobbiamo chinare il capo davanti alla dura realtà. Non essendo costretti da persecuzione, e da altre contingenze negative, il credente singolo, e le chiese, mostrano il loro volto naturale, carnale. Si curano gli aspetti esteriori (preghiere, lettura della Bibbia, riunioni), ma si rinnega la potenza spirituale. Vi è molta forma, e pochissima sostanza. Si è imparato a condursi da cristiani, senza però esserlo. Affermiamo di essere in comunione con Dio, pur camminando nelle tenebre. Non ci rendiamo conto che la Parola di Dio ci dichiara dei bugiardi perché non è possibile amare Dio, che non vediamo, e non amare il prossimo, che ci sta attorno. Perché il credente, e le chiese, siano condotte dallo Spirito, occorre che entrambi confessino la loro mancanza di comunione con Dio (siamo, generalmente, disposti a dichiarare tutto, ma non questo) e camminino nella luce, cioè nell’amore. Solo così, i cristiani avranno comunione gli uni con gli altri.

 

La Roccia spirituale è la matrice. L’uomo spirituale, per definirsi tale, deve essere a immagine della Roccia. Gesù Cristo ha vissuto tra gli uomini come uomo. Ha avuto compassione verso gli ignoranti, e parole dure per coloro che si reputavano sapienti. Ha perdonato chi si riconosceva peccatore e mancante; è stato intransigente con chi pensava d’essere autosufficiente. Ha salvato gli umili; è stato inesorabile con gli orgogliosi. Ha servito, per dare un esempio di cosa fosse amore; ha imposto, per stroncare personalità forti. Ha risposto alle domande oneste; non ha degnato di una risposta chi voleva ingannarlo. E’ stato pietoso verso l'uomo pio; retto verso l'uomo retto; puro con i puri, ma astuto con il perverso. Questo modo di procedere, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, ha prodotto confusione in chi voleva classificarlo ed etichettarLo. Così, è di chi sia condotto dallo Spirito Santo. “Lo Spirito soffia dove vuole e tu ne odi la voce, ma non sai da dove viene né dove va, così è per chiunque è nato dallo Spirito". L’uomo spirituale non ha il futuro programmato, non ha atteggiamenti e discorsi preconfezionati, non si muove sempre in accordo con i canoni sociali, non pretende di essere compreso, non cerca di piacere agli uomini: la sua grande aspirazione è quella di essere completamente sottomesso all’azione dello Spirito Santo, per piacere a Colui che lo ha comprato a caro prezzo. In definitiva, l’uomo spirituale non si comporta in modo “spirituale” (mistico, ascetico): egli è colui che ha compreso che la sua natura è malvagia, e avendone una terribile paura, si abbandona, senza condizioni, alla voce della Persona dello Spirito di Dio non contristandoLa, né spegnendoLa. 

Questa è la vita NORMALE del cristiano.

 




Nessun commento:

Posta un commento