Giustificazione per opere
OPERE DELLA LEGGE (GIUSTIFICAZIONE PER...)
LA GIUSTIFICAZIONE: UN VIAGGIO TRA GRAMMATICA, HALAKHAH E TEOLOGIA
Cari amici, oggi vorrei parlarvi di un concetto fondamentale per la comprensione delle Scritture e del pensiero religioso antico: la giustificazione. Questo termine, spesso al centro di dibattiti teologici, assume un significato profondo e sfaccettato quando viene analizzato alla luce delle fonti bibliche, neotestamentarie, talmudiche ed halakhiche.
Attraverso un'attenta disamina grammaticale e teologica, possiamo riscoprire il suo vero senso e comprendere come esso vada interpretato nel contesto storico-linguistico in cui è nato.
Il nostro punto di partenza è un’analisi grammaticale rigorosa del testo greco.
Quando leggiamo frasi come "l'uomo non è giustificato dalle opere della legge", notiamo subito un elemento cruciale:
il soggetto della frase è l'uomo, ma l'attenzione è rivolta alla sua condizione rispetto alla giustificazione, non alle sue azioni specifiche. Le "opere della legge" sono descritte in modo
impersonale, come un sistema oggettivo di norme divine, indipendente dal comportamento individuale.
Non c'è alcun verbo o costrutto grammaticale che attribuisca direttamente all'uomo l'azione di compiere queste opere. Questo ci porta a una conclusione importante: le "opere della
legge" non sono azioni umane, ma un insieme di pratiche associate alla legge stessa.
Qualsiasi collegamento con l'azione umana è un'interpretazione esterna al testo e non è supportata
direttamente dalla grammatica.
Questa distinzione ha implicazioni significative per la nostra comprensione del testo. Separando le "opere della legge" dall'azione umana, possiamo riconsiderare criticamente le interpretazioni teologiche che enfatizzano l'azione umana come mezzo per ottenere giustificazione.
Il testo si concentra sulle opere come qualcosa di impersonale, aprendo la strada a una riflessione più ampia sul ruolo della fede e della grazia divina. Questo approccio ci invita a leggere le Scritture con maggiore attenzione ai dettagli grammaticali e a evitare proiezioni anacronistiche o teologicamente
preconcette.
Per chiarire ulteriormente questo punto, è utile distinguere tra due concetti chiave: le "opere della Torah" e i "mitzvot". Le opere della Torah rappresentano principi oggettivi stabiliti da Dio, funzionando come classificazioni universali. Sono sistemi divini che esistono indipendentemente dalle azioni umane, come le 39 categorie di lavoro proibite nello Shabbat o la struttura della Mishnah.
I mitzvot, invece, sono azioni specifiche richieste agli individui, che richiedono una scelta e un'azione conscia. Essi hanno un impatto diretto sulla vita quotidiana e dipendono dal luogo, dal tempo e dalle circostanze. Mentre le opere della Torah sono come il "software" di un sistema operativo, i mitzvot sono le "applicazioni" che lo rendono funzionale.
Questa differenza è cruciale per comprendere il dibattito paolino sulle "opere della legge" rispetto alla fede.
Ma cosa significa "giustificare" nell'antico contesto ebraico? Nel Talmud, il termine assume diversi significati pratici.
Può indicare la validazione di una condotta, come in Sanhedrin 10a, dove si parla di "giustificare il giusto e condannare l'empio". Oppure può essere usato per spiegare un
comportamento o difendere una tesi, come in Zevachim 101b, dove Mosè ammette onestamente un errore senza cercare scuse. In altri casi, "giustificare" serve a risolvere conflitti normativi, bilanciare esigenze sociali o interpretare testi in modo ermeneutico. È uno strumento concreto, legato al
mondo reale, e non un concetto astratto come in alcune teologie successive.
Nella tradizione ebraica, infatti, non esiste un "peccato originale" da cui giustificarsi.
Il peccato è visto come un atto specifico, riparabile attraverso pentimento, preghiera e giustizia sociale.
Il focus è sul comportamento etico e sulle azioni concrete, piuttosto che su uno stato spirituale astratto.
La giustificazione non è mai intesa come assoluzione dal peccato o trasformazione ontologica del peccatore, ma come processo legale o razionale. Questo ci permette di rileggere anche i passi neotestamentari in una prospettiva più autenticamente giudaica.
Le 39 occorrenze del termine "giustificazione" nei Vangeli e nelle lettere di Paolo possono essere ricondotte a tre categorie
principali dell'halakhah: validazione giuridica, auto-difesa legittima o illegittima, e riconoscimento della giustizia divina.
In conclusione, il concetto di giustificazione va compreso nel suo contesto storico-linguistico originale, evitando letture anacronistiche o teologicamente preconcette.
Solo così possiamo cogliere appieno il significato delle Scritture e il loro messaggio spirituale ed etico, che rimane
profondamente radicato nella tradizione ebraica.
Questo viaggio attraverso la grammatica, l'halakhah e la teologia ci invita a un approccio più rigoroso e rispettoso del testo biblico, considerando sempre il retroterra culturale e religioso in cui è nato. Che sia un invito a leggere le Scritture con occhi nuovi, riscoprendone la ricchezza e la profondità.
Introduzione.
La frase greca εἰδότες ὅτι οὐ δικαιοῦται ἄνθρωπος ἐξ ἔργων νόμου (Galati 2:16) è un passo fondamentale per comprendere il rapporto tra giustificazione, legge e fede. Tuttavia, l'analisi
grammaticale rivela un aspetto cruciale spesso trascurato: il testo non attribuisce direttamente all'uomo l'azione di compiere le "opere della legge".
Questa scoperta ha implicazioni significative per la comprensione del testo e delle interpretazioni teologiche che ne derivano.
Analisi grammaticale.
Dal punto di vista grammaticale, la frase si concentra sulle "opere della legge" (ἔργων νόμου) come sistema impersonale, senza alcun riferimento esplicito a un soggetto umano che le mette in pratica.
Ecco i punti chiave.
• Soggetto della frase: il soggetto è ἄνθρωπος ("uomo"), ma il verbo δικαιοῦται ("è giustificato") indica che l'attenzione è rivolta alla condizione dell'uomo rispetto alla giustificazione, non alle sue azioni.
• ἐξ ἔργων νόμου: la preposizione ἐκ ("da", "a partire da") introduce il genitivo ἔργων νόμου , descrivendo le "opere della legge" come fonte o origine. Questo costrutto grammaticale
non implica un agente specifico che compie tali opere.
• Assenza di un soggetto agente: non c'è alcun verbo o costrutto grammaticale che attribuisca direttamente all'uomo l'azione di compiere le opere. Le "opere della legge" sono descritte in modo impersonale, come un insieme di pratiche associate alla legge stessa.
Cosa il testo NON dice L'analisi grammaticale evidenzia ciò che il testo non dice:
• non menziona esplicitamente un soggetto umano. Il testo non dice che un uomo compie le opere della legge. L'idea che siano gli esseri umani a mettere in pratica queste opere è
un'interpretazione teologica o concettuale, non un dato grammaticale.
• Non implica un'azione diretta: non c'è alcuna indicazione grammaticale che suggerisca un'azione volontaria o intenzionale da parte dell'uomo. Le "opere della legge" sono trattate come un sistema impersonale, indipendente dal comportamento individuale.
• Non attribuisce efficacia salvifica alle opere: il testo dichiara semplicemente che le opere della legge non possono giustificare un uomo, senza entrare nel merito di chi le compie o del perché non funzionino.
Implicazioni
Questa analisi grammaticale ha importanti implicazioni per la comprensione del testo e delle sue interpretazioni:
1. separazione tra legge e azione umana:
• Il testo non lega direttamente le "opere della legge" all'azione umana. Ciò significa che la critica paolina alle "opere della legge" piuttosto che alle azioni individuali degli esseri umani.
• In altre parole, l'enfasi è sulla legge, non sull'obbedienza personale.
2. Evitare interpretazioni anacronistiche:
• molte interpretazioni tradizionali presuppongono che le "opere della legge" siano azioni compiute dagli esseri umani per ottenere giustificazione. Tuttavia, questa assunzione non è supportata dalla grammatica del testo.
• La scoperta invita a riconsiderare le interpretazioni teologiche che enfatizzano l'azione umana, poiché il testo si concentra sulle opere come qualcosa di impersonale.
3. Nuovo approccio alla giustificazione:
• la frase suggerisce che la giustificazione non dipende dalle "opere della legge".
Questo aspetto grammaticale che si evince dal testo apre la strada a una riflessione più ampia sul ruolo della fede e della grazia divina.
Dal punto di vista puramente grammaticale, la frase εἰδότες ὅτι οὐ δικαιοῦται ἄνθρωπος ἐξ ἔργων νόμου non attribuisce direttamente all'uomo l'azione di compiere le opere della Legge.
Le "opere della legge" sono descritte in modo impersonale, come un sistema o un insieme di pratiche associate alla legge stessa. Qualsiasi collegamento con l'azione umana di obbedire alla legge è un'interpretazione esterna al testo e non è supportata direttamente dalla grammatica.
Questa puntualizzazione c’invita a leggere il testo con maggiore attenzione ai dettagli grammaticali e a evitare interpretazioni che proiettano significati non presenti nel testo originale. Inoltre, ci incoraggia a riflettere sul ruolo della legge e della fede in modo più sfumato, tenendo conto del contesto storico e linguistico del Nuovo Testamento.
Riflessione halachica e grammaticale
La grammatica del testo ci offre un'opportunità unica per riconsiderare le nostre interpretazioni teologiche. Piuttosto che assumere che le "opere della legge" siano azioni umane, dobbiamo riconoscere che il testo si concentra sul sistema stesso della legge e sulla sua incapacità di giustificare.
Questa scoperta non solo arricchisce la nostra comprensione del passo, ma ci invita a un approccio più rigoroso e rispettoso del testo biblico.
Opere della Torah (sistema divino):
1. principi oggettivi stabiliti da Dio
• Non dipendono dalle azioni umane specifiche
• Funzionano come classificazioni universali
• Esempi:
• le 39 categorie di lavoro proibite nello Shabbat
• Il sistema del Tabernacolo
• La struttura della Mishnah
Mitzvot (azioni umane specifiche):
1. richiedono una scelta e un'azione conscia
• Sono compiute da individui specifici
• Hanno un impatto diretto sulla vita quotidiana
• Esempi:
• osservare personalmente lo Shabbat
• Lasciare il mazzolino dimenticato
• Costruire la propria sukkah
In sintesi: le "opere della Torah" creano il sistema generale, mentre i mitzvot sono le azioni concrete che vi corrispondono. Una è teorica e universale (opere della Torah), l'altra pratica e personale (mitzvot).
La differenza chiave è che le opere della Torah esistono come sistema divino indipendentemente dalle azioni umane, mentre i mitzvot richiedono un'azione volontaria e intenzionale da parte dell'uomo MA NON HANNO LEGAME NE’ CON LA ‘GIUSTIFICAZIONE’ CIOE’ ABILITAZIONE, NE’ CON LA ‘SALVEZZA’ PER OPERE DELL’UOMO.
Basandoci sui testi le mitzvot (comandamenti) differiscono dalle "opere della Torah" in quanto:
1. sono azioni specifiche richieste agli individui:
• comandamenti di osservanza personale
• Precetti che richiedono azioni concrete degli individui
• Obblighi rituali personali
2. Richiedono una scelta e un'azione conscia:
• devono essere intenzionalmente osservate
• Implicano una decisione attiva di compiere l'azione
3. Esempi di mitzvot come azioni specifiche:
• osservare personalmente lo Shabbat
• Lasciare il mazzolino dimenticato
• Costruire la propria sukkah
• Aiutare la moglie nei preparativi per lo Shabbat
4. Hanno un impatto diretto sulla vita quotidiana:
• modificano il comportamento personale
• Richiedono azioni concrete nel momento presente
5. Sono compiute da individui specifici in situazioni particolari:
• non sono sistemi universali ma azioni contestuali
• Dipendono dal luogo, tempo e circostanze
Dall'analisi dei testi tannaitici, le principali differenze concrete tra "opere della Torah" e mitzvot sono:
1. le opere della Torah sono sistemi oggettivi:
• esistono indipendentemente dalle azioni umane
• Sono considerate creazione divina
• Funzionano come classificazioni universali
Esempi concreti:
• il sistema del Tabernacolo
• Le 39 categorie di lavoro proibite nello Shabbat
• La struttura della Mishnah
2. Le mitzvot sono azioni specifiche:
• richiedono scelta e azione conscia
• Sono compiute da individui specifici
• Hanno impatto diretto sulla vita quotidiana
Esempi concreti:
• osservare personalmente lo Shabbat
• Lasciare il mazzolino dimenticato
• Costruire la propria sukkah
• Aiutare la moglie nei preparativi per Shabbat
In termini pratici:
• le opere della Torah sono come il "software" o il sistema operativo
• Le mitzvot sono le "applicazioni" o azioni specifiche che vi si eseguono
Questa distinzione è cruciale per comprendere il dibattito paolino sulle "opere della legge" vs fede.
Esempio facile facile: il SISTEMA CODICE DELLA STRADA (Torah) non ti abilita (giustifica vuol dire abilitazione non perdono) alla guida, ma SOLO IL CONSEGUIMENTO DELLA
PATENTE abilita alla guida.
Giustificare cosa significava all’epoca di Cristo secondo la Legge ebraica?
Ecco una spiegazione del concetto di "giustificare" (litzdok o lehatzdik in ebraico) basata esclusivamente sui testi talmudici forniti, senza riferimenti esterni al pensiero cristiano.
1. Giustificare come "dare ragione" o "difendere un comportamento"
Zevachim 101b, 101a: Mosè, quando corregge un errore, non cerca scuse ("Non l'avevo sentito") ma ammette: "l'ho sentito e l'ho dimenticato". Qui "giustificarsi" significa trovare una ragione onesta per le proprie azioni, senza falsità.
Bava Kamma 106a: Rav Naḥman chiarisce che non sta giustificando una sentenza (nel senso di difenderla a tutti i costi), ma solo spiegandola.
2. Giustificare come "rendere giusto un giudizio"
Sanhedrin 10a, 36a: il termine appare in contesti legali: "Giustificheranno il giusto e condanneranno l'empio" (Deuteronomio 25:1). In questo caso "giustificare" significa dichiarare innocente o validare una posizione giuridica.
Shevuot 30b: un giudice non deve giustificare (saneigeron)
decisioni sbagliate con pretesti, ma deve cercare la verità.
3. Giustificare come "trovare una ragione halakhica"
Rosh Hashanah 21a: non servono ulteriori ragioni per giustificare l'anno bisestile, perché la Torah già lo comanda ("Osservate il mese di primavera"). In questo caso è trovare un fondamento logico normativo. Ketubot 41a, Sukkah 54a: si discute se un'omissione nella Mishnah possa giustificare
(cioè rendere accettabile) un'interpretazione successiva.
4. Giustificare come "scusare un comportamento discutibile"
Berakhot 43b: Rav Pappa giustifica la sua condotta per uscire da una situazione spiacevole,mostrando che il termine può avere una sfumatura di auto-assoluzione.
Shabbat 105a: Giuda chiede "Come possiamo giustificarci?" (nitztadak), usando il verbo in senso di difendersi moralmente.
5. Giustificare come "validare una condizione oggettiva"
Yerushalmi Kilayim 5:6: la crescita di una pianta proibita non può giustificare il suo uso, anche se diventa abbondante. Qui significa rendere lecito ciò che non lo è. Bava Batra 61b: due campi giustificano l'uso del plurale ("campi"), mostrando un uso linguistico del termine per stabilire un criterio minimo.
Contesto Significato di "Giustificare" Fonti Etica personale Dare una spiegazione onesta, senza scuse false Zevachim 101b, Berakhot 43b Legge e giudizio Dichiarare innocente, validare una sentenza Sanhedrin 10a, Shevuot 30b Halakhah Trovare un fondamento normativo per una decisione Rosh Hashanah 21a, Ketubot 41a
Contesto Significato di "Giustificare" Fonti Auto-difesa Scusare un comportamento, spesso con sfumature negative
Shabbat 105a, Yerushalmi Nedarim 3:8
Condizioni oggettive
Rendere valido o lecito qualcosa (o stabilire criteri)
Yerushalmi Kilayim 5:6, Bava Batra 61b
Nel Talmud ad esempio, che raccoglie ogni sfumatura della halacha anche dei tempi precedenti a quelli della narrazione del NT, "giustificare" non è un concetto astratto (come in alcune teologie), ma un'azione concreta: in tribunale. Validare una tesi. Nella halakhah: trovare una base logica. Nella
vita quotidiana: spiegare o difendere un'azione, a volte con onestà, altre con sofismi (criticati dai Saggi). Il filo rosso è l'uso della ragione per sostenere, correggere o assolvere, sempre in dialogo con la verità e la legge.
Quindi: nella letteratura tannaitica, l'istituto della giustificazione ha diversi significati pratici oltre all'abilitazione:
1. è uno strumento per validare decisioni I rabbini usavano la giustificazione per confermare la correttezza delle loro decisioni legali. Ad esempio, Rav Pappa giustifica le sue azioni per uscire da situazioni difficili.
2. Serve a risolvere conflitti normativi Quando ci sono contrasti tra diverse leggi, la
giustificazione aiuta a trovare soluzioni pratiche. Come nel caso dell'anno bisestile, dove si cerca una ragione valida per aggiungere un mese.
3. È uno strumento di equilibrio sociale La giustificazione viene usata per bilanciare esigenze diverse, come nel caso dei poveri e dei ricchi che devono essere trattati equamente nei loro doni.
4. Funziona come sistema di controllo I saggi usano la giustificazione per monitorare comportamenti e assicurarsi che le norme siano rispettate, come nel caso di chi "dimentica"
di proposito durante Shabbat.
5. È uno strumento ermeneutico Viene utilizzata per interpretare testi e trovare basi valide per nuove applicazioni delle leggi, come nel caso delle discussioni sulle cipolle kilaim (miste semine di terreno).
6. Ha funzione educativa La richiesta di giustificare le proprie azioni serve a mantenere alta l'attenzione sui precetti divini e a non trascurare nulla.
Nel Talmud e nella tradizione ebraica, il concetto di "giustificazione" (hatzdakah o tziduk) non è centrato sull'assoluzione dal peccato come in alcune teologie cristiane (es. la giustificazione per fede di Paolo). Perché è marginale?
Perchè per l’ebraismo, così come nella Ortodossia, non esiste un "peccato originale" da cui giustificarsi. L'ebraismo non ha una dottrina del peccato ereditario che richieda una giustificazione ontologica. Il peccato (chet) è un atto specifico, riparabile con teshuvà (pentimento), tefillàh (preghiera) e tzedakà (giustizia sociale).
Il focus è sul comportamento, non sullo "stato dell'anima" e/o della persona. Giustificare nel Talmud riguarda: giudizi legali (es. Sanhedrin 10a: "giustificare il giusto").
Spiegazioni logiche (es.Rosh Hashanah 21a: giustificare una decisione halakhica). Auto-difesa etica (es. Zevachim 101b:
Mosè che ammette un errore). Non c'è un termine tecnico per "giustificazione dal peccato" come atto divino unilaterale, perché la colpa si risolve con azioni concrete, non con una "dichiarazione di giustizia". In Yoma 85b, il perdono dipende dalla teshuvà (pentimento attivo), non da una "giustificazione" esterna. Anche in Keritot 5b, quando si parla di Dio che "giustifica il giudizio", si intende la retta applicazione della giustizia, non la grazia sul peccatore.
Eccezioni minori: Yerushalmi Berakhot 9:2. L'arcobaleno è un segno che Dio non punisce nonostante i peccati umani potrebbero "giustificare" un altro diluvio.
In questo limitatissimo caso si riscontra un accenno al "perdono preventivo", ma è un caso isolato.
Zevachim 101b / Keritot 5b: Mosè e Nabucodonosor usano il linguaggio della giustificazione in contesti di errore o colpa, ma sempre in senso orizzontale (verso gli altri o la legge), non verticale (tra l'uomo e Dio).
Quindi nella letteratura tannaita circa l'80% delle volte, "giustificare" significa validare una posizione giuridica, spiegare un comportamento, o difendere una tesi. Il 20% restante tocca il peccato, ma sempre in un'ottica di processo legale (es. un giudice che assolve) o auto giustificazione umana (es. ammettere un errore). Manca completamente l'idea di una
"giustificazione divina" che trasformi il peccatore in "giusto" per decreto.
QUINDI LE 39 CITAZIONI SULLA ‘GIUSTIFICAZIONE) NEL NT COME VANNO INQUADRATE?
Ecco una lettura rigorosamente halakhica dei passi greci che citano il concetto di "giustificazione"
(dikaióō), depurandoli da riletture non giudeo-cristiane aliene a queste considerazioni elementari e riallacciamole alle categorie talmudiche che abbiamo analizzato.
1. "Giustificazione" come validazione di una condotta (non perdono del peccato). Matteo 11:19 / Luca 7:35.
"La sapienza è giustificata dalle sue opere". Interpretazione halakhica: La "sapienza" (cioè l'insegnamento halakhico) è validata dalla sua coerenza pratica, come in Sanhedrin 10a
("giustificare il giusto").
Niente a che fare con il peccato: è un principio talmudico classico (ma'aseh hu ha‘ikkar, "l'azione è l'essenziale").
Luca 7:29 "I pubblicani giustificarono Dio". Interpretazione
halakhica: Riconobbero la giustizia del giudizio divino (cfr. Keritot 5b, dove Dio "giustifica il giudizio" su Ioiachin).
2. "Giustificazione" come auto-difesa legittima (o illegittima). Luca 10:29 / Luca 16:15. "Volendo giustificare se stesso" / "Voi che vi giustificate davanti agli uomini". Interpretazione halakhica: simile a Zevachim 101b (Mosè che non si auto-giustifica con scuse) o Shevuot 30b (il giudice che non deve difendere decisioni sbagliate). È un monito contro la tziduk atzmi ("auto-giustificazione") ipocrita, condannata anche in Avot 2:4 ("Non giustificarti davanti a te stesso").
3. "Giustificazione" come assoluzione in un contesto giuridico. Luca 18:14.
"Questo scese a casa sua giustificato". Interpretazione halakhica: Il termine non implica redenzione spirituale, ma l'esito di un processo (come in Sanhedrin 10a). Il fariseo è "condannato", il pubblicano "assolto".
4. "Giustificazione" come adempimento della Legge (non sostituzione). Atti 13:39 / Romani 2:13 /Romani 3:20. "Giustificato dalla Legge" / "Osservatori della Legge saranno giustificati".
Interpretazione halakhica: la Legge (Torah) definisce cosa è giusto, non "giustifica" magicamente.
Corrisponde a Rosh Hashanah 21a: la Legge è il criterio oggettivo, non un mezzo di grazia. Romani 3:20 ("Nessuna carne sarà giustificata") riflette Bava Metzia 58b: "Tutti sono colpevoli davanti a Dio", ma si risolve con teshuvà, non con una "dichiarazione" estrinseca.
5. "Giustificazione" come atto divino di giustizia (non grazia). Romani 3:26 / Romani 8:33 "Dio è giusto e giustificatore". Interpretazione halakhica: Dio "giustifica" nel senso di far prevalere la giustizia (tziduk ha-din), come in Yerushalmi Berakhot 9:2 (Dio trattiene il castigo nonostante i peccati). Nessuna idea di "imputazione di giustizia": Dio applica la legge, non la bypassa (cfr. Sanhedrin 6:8).
6. "Giustificazione per fede"? No, giustificazione per verità. Romani 3:28 / Romani 4:2-5.
"Giustificati per fede" / "Abramo giustificato per opere". Interpretazione halakhica: Abramo fu "giustificato" (Genesi 15:6) perché agì con fedeltà (emunah = affidabilità, non "fede" in senso cristiano). In Makkot 23b-24b, emunah è legata all'osservanza dei comandamenti, non a un atto di credenza. Paolo rilegge il concetto ebraico: nel Talmud infatti, nessuno è "giustificato" (cf. Avot 1:17).
7. "Giustificazione" come atto di riconoscimento pubblico. Romani 3:4 ("Affinché tu sia giustificato nelle tue parole"). Parallelo talmudico: Shabbat 105a, dove Giuda chiede "come giustificarci" (nitztadak) davanti a Yosef. Significato: riconoscere la correttezza di un argomento in un dibattito,
non "salvezza dal peccato". Romani 5:1 / 5:9 ("Giustificati per fede... dal sangue").
Contrasto halakhico: nel Talmud, il sangue è associato all’espiazione sacrificale (Zevachim 6a), ma solo se
accompagnato da teshuvà (pentimento attivo). Nessun testo ebraico parla di "giustificazione per sangue".
8. "Giustificazione" come liberazione legale (non spirituale) Romani 6:7. ("Chi è morto è giustificato dal peccato"). Interpretazione halakhica: Bava Kamma 28a: La morte pone fine alle conseguenze giuridiche del peccato (es. multe, pene terrene). NON significa "redenzione dell’anima": per quello serve teshuvà (Yoma 85b). Romani 8:30 ("Quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati"). Parallelo talmudico: Sanhedrin 90a, dove i giusti sono riconosciuti (mitchayev)
nel Giudizio Finale, ma solo dopo aver superato un processo legale (din ve-cheshbon).
9. "Giustificazione" come pretesa umana (condannata). 1 Corinzi 4:4 ("Non per questo sono giustificato"). Parallelo talmudico: Avot 2:4 ("Non giustificarti davanti a te stesso"). Principio:
L’auto-giustificazione è invalidante in halakhah, come in Shevuot 30b (il giudice che inventa scuse).
10. "Giustificatore" come titolo divino (senza grazia)
Romani 3:26 / 8:33 ("Dio che giustifica"). Interpretazione halakhica: Dio è ha-Matzdik ("il giusto giustificatore") solo nel senso di applicare la giustizia (Sanhedrin 6b). In Yerushalmi Ta’anit 1:6, Dio "giustifica" il digiuno solo se il popolo si pente.
Tutte le 39 occorrenze greche di dikaióō possono essere ricondotte a tre categorie halakhiche:
validazione giuridica (es. Sanhedrin 10a). Auto-difesa legittima o illegittima (es. Shevuot 30b).
Riconoscimento della giustizia divina (es. Keritot 5b)
Conclusione: il vocabolario greco riletto in chiave halakhica.
Dikaióō nei Vangeli/Atti può essere tradotto con: convalidare (Matteo 11:19) o assolvere (Luca 18:14); riconoscere come giusto (Luca 7:29). Nelle ‘nostre interpretazioni paoline’, invece, il termine è teologicamente manipolato: da "dichiarazione legale" (Talmud) diventa "trasformazione
ontologica" (Romani 5:1-9). L'ebraismo rifiuta questa visione.
Riassunto finale. Analisi Halakhica del concetto di "Giustificazione" su fonti halachiche dell’epoca evangelica.
1. Giustificazione come validazione legale. Sanhedrin 10a, 10a:6-9: giustificare il giusto e condannare l’empio" (Deut. 25:1). Significato: processo giudiziario in cui si convalida la posizione corretta di una parte in disputa. Esempio: in una controversia finanziaria, i giudici devono emettere
un verdetto basato sulle prove (Sanhedrin 26b:25).
2. Giustificazione come spiegazione razionale. Rosh Hashanah 21a:8: "non serve trovare ulteriori ragioni per giustificare l’anno bisestile". Significato: fornire una base logica per una decisione halakhica, ma senza sofismi. Collegamento: Shevuot 30b vieta di "difendere decisioni errate con pretesti".
3. Giustificazione come auto-difesa (Legittima o Illegittima). Zevachim 101a-b / Berakhot 43b:10:
Mosè ammette: "Ho dimenticato" invece di inventare scuse. Rav Pappa cerca di "giustificare la sua condotta" in una situazione spinosa. Principio: l’auto-giustificazione è accettabile se onesta (Zevachim 101b), ma condannata se disonesta (Shabbat 38a:6: penalità per chi finge di aver
"dimenticato").
4. Giustificazione come riconoscimento di giustizia divina. Keritot 5b / Orazio 11b:18: Dio "giustifica il giudizio" su Ioiachin, cioè ne riconosce la correttezza. Nessuna assoluzione: Il giudizio divino è legato alla legge, non a un perdono arbitrario.
5. Giustificazione come permesso halakhico. Yerushalmi Yoma 8:1:9 / Taanit 1:6:8: si può omettere una regola rabbinica (es. indossare scarpe di cuoio) solo con una giustificazione valida (es. motivi di salute). Principio: La deroga richiede una ragione halakhicamente fondata.
6. Giustificazione come quantificazione oggettiva. Bava Batra 61b:12 / 69b:3: due campi giustificano l’uso del plurale". Significato: Stabilire un criterio minimo per definire termini legali.
7. Giustificazione come difesa di una posizione halakhica. Yevamot 37b:24 / Shekalim 7:1:3: i rabbini giustificano opinioni con argomentazioni logiche. Esempio: "Per sostenere l’opinione di Admon, Rava cita un caso con 4 proprietari".
8. Giustificazione come limite alla crescita del proibito. Yerushalmi Kilayim 5:6:4/Orlah 1:1:13: "la crescita di un prodotto proibito non lo giustifica". Principio: Ciò che nasce da una radice proibita rimane proibito, anche se abbondante.
SCHEDA RIASSUNTIVA
Tipo Definizione Halakhica Fonti Usate Validazione legale Dichiarare conforme alla legge Sanhedrin 10a, Keritot 5b
Spiegazione razionale Fornire basi logiche per una decisione Rosh Hashanah 21a, Shevuot 30b
Auto-difesa Ammissione onesta o pretesto illegittimo Zevachim 101b, Shabbat 38a
Permesso halakhico Deroga giustificata da condizioni Yerushalmi Yoma 8:1
Quantificazione Stabilire criteri oggettivi Bava Batra 61b
Conclusione finale.
Nella tradizione dei tannaim all’epoca del NT, "giustificare" significa:
1. convalidare una posizione (legale, logica o morale).
2. Spiegare con argomentazioni halakhiche.
3. Ammettere errori senza falsità.
4. Stabilire parametri oggettivi.
Questa nostra ricerca ha analizzato il concetto biblico di "giustificazione" nell'antico contesto ebraico, mettendo in luce come vada interpretato alla luce delle fonti talmudiche e halakhiche.
Attraverso un'attenta disamina grammaticale e teologica, si evidenzia che le "opere della legge" non devono essere considerate come azioni umane specifiche volte a ottenere la salvezza, bensì come un sistema oggettivo di norme divine. Questa distinzione è fondamentale per comprendere il dibattito paolino sulle opere della legge rispetto alla fede.
Nel pensiero ebraico, la giustificazione rappresenta principalmente un concetto giuridico-legale, connesso alla validazione di una condotta o alla dichiarazione di conformità alla legge. Non esiste quella concezione di giustificazione come trasformazione ontologica del peccatore che si ritrova in
alcune interpretazioni teologiche successive.
Il focus è sull'azione concreta e sul comportamento etico, piuttosto che su uno stato spirituale astratto.
L'analisi dimostra che nel Talmud il termine "giustificare" assume diversi significati pratici: dalla validazione di decisioni legali, alla risoluzione di conflitti normativi, fino al ruolo educativo e di controllo sociale. La giustificazione non è mai intesa come assoluzione dal peccato originale, inesistente nella tradizione ebraica, ma come processo legale o spiegazione razionale di una condotta.
Questo approccio permette di rileggere anche i passi neotestamentari in una prospettiva più autenticamente giudaica.
Le 39 occorrenze del termine "giustificazione" nei Vangeli e nelle lettere di Paolo possono essere ricondotte a tre categorie principali dell'halakhah: validazione giuridica, auto-difesa legittima o illegittima, e riconoscimento della giustizia divina.
La conclusione fondamentale è che il concetto di giustificazione va compreso nel suo contesto storico-linguistico originale, evitando letture anacronistiche o teologicamente preconcette.
Solo così si può cogliere appieno il significato delle Scritture e il loro messaggio spirituale ed etico, che rimane profondamente radicato nella tradizione ebraica.
Questa analisi invita quindi a un approccio più rigoroso e rispettoso del testo biblico, considerando sempre il retroterra culturale e religioso in cui è nato.
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