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Gesù Cristo, il centro del vangelo

 








Timothy J. Keller, nel suo saggio “La missione che fa la differenza”, espone la seguente riflessione.

“La via maestra per raggiungere i “religiosi” è solo quella della predicazione, la quale deve necessariamente: essere Cristocentrica, puntare alle radici auto-giustificanti di qualsiasi comportamento corrotto, condurre all’adorazione piuttosto che uno sterile nozionismo.

A questo punto, continua Timothy, è utile domandarsi cosa significhi “proclamare l’evangelo”. “Come lo si può fare efficacemente, in modo che i religiosi si convertano, o si risveglino e che le persone secolari vengano raggiunte? La risposta è: per mezzo dell’interpretazione cristocentrica e della predicazione. Bisogna sempre predicare sui testi biblici con lo scopo di far emergere la persona di Gesù e la sua opera salvifica. Se comunichiamo un particolare testo biblico senza inserirlo nella storia principale della rivelazione di Dio (cioè Cristo), stiamo sicuramente cambiando il senso che quel medesimo brano ha per noi. Diventa un’esortazione di tipo moralistico, più che una chiamata a vivere per la fede nell’opera di Cristo. Alla fin fine, esistono solo due modi per leggere la Bibbia: applicandola a noi stessi, ovvero applicandola a Gesù. Qual è la finalità della Parola di Dio? Quella di dire cosa l’uomo deve fare, oppure quella di testimoniare ciò che Cristo ha fatto? Se per esempio leggo la storia di Davide e Golia in un certo modo, sarò portato a vedere che la fede e il coraggio aiutano a combattere i “giganti” della mia vita; ma se lo leggo credendo che esso voglia mostrarmi soprattutto la salvezza di Cristo, il risultato sarà ben diverso. Finché non capirò che il Signore ha combattuto i giganti veri (= il peccato, la legge, la morte), non avrò mai abbastanza coraggio per oppormi a quelli ordinari. La Bibbia non è una raccolta di favole, come quelle di Esopo, né un libro di virtù. Essa contiene la storia di come Dio ci salva. Qualunque esposizione di testo che non guardi a Cristo e che si limiti a spiegare principi biblici, sarà un “sermone da sinagoga”, tendente solo a spronare le persone affinché esercitano la propria volontà con lo scopo di vivere in modo conforme a un determinato modello. Al posto dell’evangelo che dà vita, il sermone offre agli ascoltatori soltanto un ulteriore paradigma etico sotto cui rimanere schiacciati. Ma come proclamare verbalmente l’evangelo alle persone? Abbiamo appena detto che ogni riferimento biblico deve condurre a Gesù Cristo, altrimenti il nostro essere moralisti non ci farà raggiungere religiosi e secolari.” (Da – Il codice del vangelo – Edizioni GBU – 2006)

Una simile riflessione è molto radicale e precisa, per questo è necessario darle il giusto peso, specialmente in una epoca, nella quale Gesù non ha più il posto che deve avere, sia nella lettura Biblica, sia nella predicazione del vero vangelo.

 

Perché i nostri discorsi non siano “da sinagoga” e affinché Cristo sia visto in tutta la Bibbia, non è sufficiente insegnarlo, né vedervi una semplice tipologia, ma a volte è necessario anche fare un serio esame del testo biblico. Nel leggere la Bibbia, quale Parola di Dio, occorre compiere un atto di onestà, che non solo può risultare benefico per la nostra morale, ma anche capace di renderci in grado di comprendere cosa veramente voglia trasmetterci Dio con la sua Parola. Ciò che comprendiamo è condizionato dai nostri presupposti. Questo è il nostro vero limite. Un esempio classico è costituito dai Testimoni di Geova, i quali, partendo dal preconcetto che Cristo Gesù non sia Dio e non partecipi la stessa Natura coeterna con il Padre e lo Spirito Santo, trovano nelle Scritture decine e decine di affermazioni della sua mancata Divinità. Così è pure per il cattolicesimo romano. Partendo dal presupposto di costituire la continuazione della vera fede cristiana, e ritenendo il papa sia il successore di Pietro, trova nella Bibbia tanti appoggi per sostenere tale opinione. Stessa cosa accade alle correnti religiose che si rifanno alla Bibbia; per questo esistono tante denominazioni, quali i Battisti, i Valdesi, i Pentecostali, la chiesa di Cristo, le chiese dei fratelli… e più chi ne ha, più ne metta. La verità che i presupposti condizionano la nostra lettura della Bibbia, può essere vista anche nella fede ebraica, anche se gli ebrei, nascono alla luce delle Scritture, vivono secondo le leggi ebraiche, muoiono invocando il Dio di Abrahamo, di Isacco e di Isra-el. L’esempio possiamo vederlo nel versetto di Genesi 1 "Nel principio Dio creò i cieli e la terra". (leggiamo in ebraico berêšît – berescit, principio). E’ risaputo che la scrittura ebraica sia in origine consonantica, cioè priva di vocali, per cui, una parola con due lettere si può leggere in vari modi. In italiano, per esempio, una M e una L possono formare le parole – Mele – mulo – male – molo. Così, se prendiamo le prime lettere del libro della Genesi, una B, una R, una S, una T., gli ebrei leggono berêšît, cioè in principio, alludendo in questo modo ad un concetto di tempo. Questa è la lettura classica, interpretata da tutti. Però, se al posto delle E noi mettiamo una A, la lettura diventa bareschit e si può leggere bar, cioè figlio nell’aramaico biblico (Dizionario teologico dell’Antico Testamento – Marietti). E’ evidente che una simile lettura per gli ebrei è impossibile, perché dovrebbero ammettere che a creare ogni cosa è stato il Figlio di Dio, cioè Cristo, cosa che nessun ebreo è disposto a fare, anche a costo della propria vita, dato che suonerebbe blasfemo.

 

Giovanni, nella sua introduzione al vangelo, voleva proprio far sapere che a creare ogni cosa è stato Cristo, il lo,goj (logos) quale Dio, diversamente accostare il logos a Dio non era possibile. Perciò, la traduzione di Giovanni 1.1 sarebbe: Il Figlio era il logos, il logos era presso Dio, e il logos era Dio.

Il Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, afferma che il sostantivo principio si trova 8 volte nel vangelo di Giovanni, 8 volte in 1Giovanni, e 2 volte in 2Giovanni. Leggendoli alla luce di quello che stiamo esaminando, si scoprono delle verità sorprendenti.

 Per un cristiano non vi è nulla di nuovo, perché in Giovanni 1.1 si dice espressamente che il Logos, cioè Cristo, ha creato tutte le cose e, accettare che il Figlio ha creato ogni cosa, fa parte della sua fede. Come abbiamo detto, la lettura è sempre condizionata dai presupposti, perciò dobbiamo leggere il sostantivo archè /principio) come un nome proprio; ritenerlo sempre un avverbio di tempo, come molti sostengono, è possibile solo, quando l’armonia della Scrittura ci costringe a farlo, come per esempio in Marco 1.1. "Principio (Archè) della buona notizia di Gesù Cristo Figlio di Dio". Che archè non sia sempre un avverbio di tempo, ma che indichi sempre un primato, lo dimostra anche il gruppo di termini al quale è associato. Infatti, archè ha come desinenza arch, la quale forma il verbo archo, che significa dominare, cominciare, o archon, dominatore, signore, principe. Oppure archegos, (compare 4 volte ed è predicato esclusivo di Cristo), significa dominatore, signore, capo. Solo l’aggettivo archaios indica ciò che era fin da principio, e significa antico, antenati. In questi vocaboli non vi è accenno al tempo, ma ad una determinata sfera di potere. Preso atto di questo, possiamo considerare il termine arché nella prima lettera di Giovanni.

  • 1 Giovanni 2:7 - Carissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento vecchio che avevate fin da principio: il comandamento vecchio è la parola che avete udita.

Ritenendo un avverbio di tempo, il traduttore ha scritto "fin da principio", ma il greco è ".. da principio", un sostantivo, cioè da Cristo Gesù. (in molti codici principio è scritto due volte)

  • 1 Giovanni 2:13 - Padri, vi scrivo perché avete conosciuto colui che è fin dal principio.

Qui troviamo scritto"..avete conosciuto colui che da principio".

  • 1 Giovanni 2:14 - Padri, vi ho scritto perché avete conosciuto colui che è fin dal principio.

Anche qui è scritto "..avete conosciuto colui che da principio". (nome proprio)

  • 1 Giovanni 2:24 - Quanto a voi, ciò che avete udito fin dal principio rimanga in voi. Se quel che avete udito fin dal principio rimane in voi, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre.

Anche qua è "da principio". (nome proprio)

  • 1 Giovanni 3:8 - Colui che persiste nel commettere il peccato proviene dal diavolo, perché il diavolo pecca fin da principio.

In questo caso è da ritenere avverbio di tempo.

  • 1 Giovanni 3:11 - Poiché questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci amiamo gli uni gli altri.

Anche in questo caso, "da principio", è nome proprio. Gli altri passi sono stati tradotti "avete udito dal principio", mentre in questo, essendo uguale, è stato tradotto senza articolo.

 

Bisogna ammetterlo. Solo dopo una analisi del genere possiamo comprendere appieno le parole di Gesù, quando disse ai giudei: “Voi investigate le Scritture, perché pensate di aver per mezzo di esse vita eterna; ed esse sono quelle che testimoniano di me.“ (Giovanni 5:39) In genere si pensa a qualche tipologia di Cristo, o a una Teofania, oppure, al massimo, una Cristofania, cioè una apparizione di Cristo, precedente alla sua incarnazione, ma le cose non sono esattamente così. La presenza di Cristo è citata migliaia di volte, specialmente per quello che riguarda le profezie adempiutesi quando è nato a Betlemme e quelle riguardanti il suo ritorno per regnare sulla terra con la chiesa, da Lui acquistata con il suo sangue. Ma la presenza di Cristo nell’antico Patto, la troviamo sopratutto nel tetragramma, pronunciato JaHWeH, il quale si trova più di seimila volte. L’apostolo Paolo stesso, citando Isaia, sovrappone il nome di Cristo al tetragramma, dicendo “Perciò la Scrittura dice: "Risvegliati, o tu che dormi, risorgi dai morti, e Cristo risplenderà su di te". (Isaia 60:1 – Efesini 5:14) Qualcuno potrebbe anche non vedere questo accostamento tra l’Antico Patto e il Nuovo, ma una cosa è certissima e senza contraddizioni: Paolo cita l’antico Patto, nel quale non compare mai il nome Cristo. Con questa osservazione, cade l’opinione secondo la quale l’Antico Patto rivela il Padre, mentre i vangeli rivelano il Figlio. Se nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, come disse,Gesù (Matteo 11:27), come è possibile conoscere il Padre prima del Figlio? Ecco perché è giunto il momento di “far emergere la persona di Gesù e la sua opera salvifica”, in modo particolare, quando si parla del libro della legge di Dio, perché questo significa “proclamare il vangelo.” Condivido pienamente con Timothy J. Keller, che “la Bibbia non è una raccolta di favole, né un libro di virtù, e qualunque esposizione di testo che non guardi a Cristo e che si limiti a spiegare principi biblici, sarà un “sermone da sinagoga”, tendente solo a spronare le persone affinché esercitino la propria volontà con lo scopo di vivere in modo conforme a un determinato modello.” L’autore, quindi, così prosegue: “Al posto del vangelo che dà vita, il sermone offre agli ascoltatori soltanto un ulteriore paradigma etico sotto cui rimanere schiacciati.” Parole che non possono lasciare il tempo che trovano, ma obbligano il cristiano del ventunesimo secolo a proclamare la persona di Gesù quale unico vero Dio (1Giovanni 5:20), quale unico Salvatore e quale sola Persona da adorare e da pregare. Il Vangelo è Gesù Cristo; se non si predica Gesù Cristo, non si può predicare il Vangelo con la V maiuscola. Che possiamo far parte di quella generazione che tiene alta la Parola della vita, sapendo di predicare un messaggio quale dinamite per il genere umano. Una responsabilità, questa, divina.