Errori interpretativi
Mi trovo costretto affrontare in poche righe alcuni
errori di interpretazione della Bibbia che trovo in tanti libri divulgativi
scritti da famosi teologi e scrittori. Sembra una cosa strana, ma una volta che
si è battuto un certo sentiero in una folta boscaglia, sembra che tutti
preferiscano seguire quelle orme. Da un lato è comprensibile perché non ci si
espone a dover affrontare novità, dall’altro, se il sentiero è sbagliato, tutti
continuano a sbagliare. Così, per quanto riguarda la Parola di Dio, vi sono
stati credenti che secoli addietro hanno interpretato alcuni passi biblici, i
quali in seguito, misteriosamente, hanno continuato a esser interpretati dai
credenti delle generazioni future nella stessa maniera. Ho ancora presente un
fratello a cui feci notare che stava interpretando, come tanti altri, un passo
evangelico in modo errato. Accortosi dell’errore, si mise le mani sulla faccia
dicendo: “Mio Dio! Ho sempre letto ciò che avevo nella mente”. Ora, se a
sbagliare fossero dei credenti alle prime armi con la Parola di Dio, non mi
stupirebbe più di tanto, ma poiché continuo a leggere errori interpretativi
scritti da teologi di fama mondiale, trovo opportuno da parte mia fare anche un
solo piccolo accenno per vedere se sia possibile arginare questo “passa parola”
sbagliato. Prima di entrare in merito agli errori che si trasmettono nel
leggere la Bibbia, è bene ricordare che non siamo i primi a comprendere
malamente la Parola di Dio. Nei vangeli leggiamo che quando Gesù disse ai discepoli
di vendere il mantello per comprarsi una spada in caso che non l’avessero, i
discepoli, che da vari anni lo seguivano, avevano compreso che Gesù volesse
intendere una spada vera e propria. Inoltre, quando Gesù rispose a Pietro che
Giovanni sarebbe rimasto finché Lui fosse venuto, si sparse tra i fratelli
l’erronea voce che quel discepolo non sarebbe morto. Anche l’apostolo Paolo fu
frainteso nelle sua lettere. Quando scrisse ai credenti di Tessalonica in
merito al ritorno di Cristo, i Tessalonicesi compresero che Cristo sarebbe
tornato subito, e Paolo dovette scrivere una seconda lettera per correggere la
loro opinione. Perciò, fraintendere ciò che leggiamo nella Parola di Dio non è
né unico né malvagio, si tratta solo di essere degli umani soggetti a sbagliare.
E’ con questo spirito che prendiamo in esame gli errori interpretativi più
comuni che i credenti commettono quando leggono la Parola di Dio.
L’errore più frequente
che ho trovato nei testi che commentano la Bibbia, è in riferimento al sudore
che Gesù versò nel Getzemani. Ecco cosa leggiamo nel vangelo di Luca. “Ed
essendo in agonia, egli pregava ancor più intensamente; e il suo sudore diventò
come grosse gocce di sangue che cadevano in terra”. E’ opinione comune
interpretare che Gesù abbia sudato del sangue, altri suppongono che il sudore
di Gesù fosse mescolato con del sangue, ma anche una lettura superficiale del
testo senza preconcetti, mette in evidenza che Gesù nel Getzemani non sudò
sangue, bensì che il suo sudore diventò grosso come delle gocce
di sangue. Con questa descrizione, Luca ha voluto mettere in enfasi non la sostanza
del sudore, ma la sua grossezza, per dimostrare quanto Gesù soffrisse.
Un altro errore
interpretativo comune a molti è quello in merito allo Spirito Santo che
si ferma su Gesù nel momento del Suo battesimo. “Giovanni rese
testimonianza, dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una
colomba e fermarsi su di lui”. Condizionati molto probabilmente da certe
raffigurazioni dei pittori, si pensa che lo Spirito Santo avesse assunto la
forma corporea di una colomba, e questo perché Giovanni potesse vedere lo
Spirito Santo. Ma la descrizione che ne fa l’evangelista Giovanni è che lo
Spirito Santo assunse sì una forma corporea, ma con questa forma corporea si posò
su Gesù con la dolcezza di una colomba. L’enfasi della Parola di Dio non è
tanto sulla forma, ma la dolcezza con la quale si posò lo Spirito Santo.
Questi due errori
interpretativi hanno un punto in comune: la parola - avverbio come.
Questo termine non significa che il soggetto in questione sia ciò che segue, ma
serve per fare un paragone tra una cosa e un’altra, esprime un rapporto di
somiglianza o di identità. Se non si tiene conto di questo aspetto, i credenti
fanno lo stesso errore di una sedicente setta che associa l’affermazione
dell’apostolo Pietro che per il Signore un giorno è come mille anni, e mille
anni come un giorno, con ciò che disse l’Eterno ad Adamo in merito al
frutto proibito, che nel giorno che lo avrebbe mangiato sarebbe morto. Questa
setta ha concluso che poiché un giorno è come mille anni, perciò Adamo è morto
entro mille anni, cioè a 930. Interpretazione, questa, veramente senza
senso.
Un altro grande errore interpretativo della Parola di
Dio trascinato nel corso dei secoli, causato, questa volta, dai traduttori, è
quello in merito alla costola di Adamo. Leggiamo l’episodio in
questione: "L'Eterno DIO fece cadere un profondo sonno sull'uomo, che
si addormentò; e prese una delle sue costole, e rinchiuse la carne al suo
posto. Poi l'Eterno DIO con la costola che aveva tolta all'uomo ne formò una
donna e la condusse all'uomo". Poiché l’uomo non ha una costola in
meno rispetto alla donna, le ipotesi sono due: o il racconto è solo
un'allegoria, per cui non ha importanza che l’Eterno abbia tolto una costola ad
Adamo per formare Eva, oppure siamo di fronte ad un enigma insolubile. Sono
invece del parere che il traduttore abbia tradotto in modo imperfetto la parola
che in ebraico sta per costola. Tenendo presente che il maggior numero
di volte il significato con cui viene tradotta la parola ebraica tselàh
è un fianco, un lato, una parte, la descrizione della creazione di Eva
va più probabilmente letta così: "Allora l'Eterno DIO fece cadere un
profondo sonno sull'uomo, che si addormentò; prese una parte di lui e
rinchiuse la carne al suo posto. Poi l'Eterno DIO con la parte che aveva
tolta all'uomo ne formò una donna e la condusse all'uomo." Dunque,
Cristo non prese una costola ad Adamo, cioè un osso, ma una parte delle sua
carne e con la quale formò Eva.
Altro errore molto comune perché dovuto al nostro
modo di esprimerci è quello della prima pietra.
Così leggiamo nel vangelo di Giovanni quando Gesù
prese le parti della donna adultera: "E, siccome continuavano a
interrogarlo, egli, alzato il capo, disse loro: «Chi di voi è senza peccato,
scagli per primo la pietra contro di lei.» Proprio perché viene
letta con superficialità, questa famosa frase di Gesù è spesso citata e
commentata scorrettamente. Sappiamo infatti che in Deuteronomio Dio aveva dato
precise disposizioni a Mosé riguardo la lapidazione: "la tua mano sia
la prima a levarsi su di lui, per metterlo a morte; poi venga la mano di
tutto il popolo" (De 13:9).
L’insegnamento di Gesù non
è che il diritto di scagliare la pietra era unicamente di chi non aveva
peccato, ma con le sue parole egli voleva soltanto invitare il proprio uditorio
a un auto esame, dopo il quale chi avesse trovato se stesso senza peccato
avrebbe potuto scagliare la prima pietra.
Altro grande errore che passa di bocca in bocca tra
la gente è l’interpretazione dell’affermazione ormai nota di Gesù di porgere l’altra
guancia: "Io vi dico: non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti
percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra."
L'ordine datoci da Gesù di porgere l'altra guancia è stato
incompreso, di conseguenza anche mal insegnato. L’Eterno non ha ordinato di non
fermare mai il male o il malvagio, altrimenti nessun cristiano difenderebbe le
proprie ragioni in nessun campo, contravvenendo in questo modo a ciò che invece
la Scrittura invita a fare quando è opportuno” (Proverbi 25:9; Isaia 1:17).
Visto nel suo contesto, questo comandamento di Gesù si riferiva al campo
spirituale: poco prima avvertiva i Suoi discepoli che sarebbero stati
perseguitati, e qui li stava invitando a non far valere le proprie ragioni e a
non fermare il malvagio sotto persecuzione, lasciando a Dio la vendetta e la
giustizia. Questo ordine rientra nell’accettare la sovranità di Dio, perché:
"Se vedi nella provincia l'oppressione del povero e la violazione del
diritto e della giustizia, non te ne meravigliare; poiché sopra un uomo in alto
veglia uno che sta' più in alto, e sopra di loro sta un Altissimo"
(Ecclesiaste 5:7-8). Gesù stesso realizzò quanto aveva ordinato perché quando
fu "maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca"
(Isaia 53:7).
Altro errore interpretativo in merito alla Parola di
Dio è il tributo che spetta a Cesare.
Quando qualcuno chiese a Gesù se era lecito pagare le
tasse, Gesù rispose: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a
Dio quello che è di Dio». Poiché questa risposta di Gesù continua ad essere
letta frettolosamente, si insegna che bisogna dare a Cesare ciò
che è di Cesare e dare a Dio ciò che è di Dio, senza considerare
che Gesù ha detto di rendere e non di dare. Il verbo usato
da Gesù è significativo. Si può dare a qualcuno ciò che si possiede, ma si può
rendere solo ciò che non ci appartiene. Solo quello che spetta al legittimo
proprietario è da rendere, cioè da restituire. Così l’uomo non avendo nulla di
suo in questo mondo perché nulla vi ha portato quando è entrato, come nulla
porterà via quando ne uscirà, può essere solo un amministratore dei beni che
Dio gli elargisce. Da sempre Dio ha stabilito delle autorità che governassero
gli uomini, comandando la sottomissione verso di questi e l’obbedienza verso le
leggi da essi emanate; principio, questo, universalmente valido in ogni campo.
L’uomo, afferma in sintesi Gesù, è tenuto a restituire all’autorità la
posizione conferitagli da Dio, come, per esempio, con il pagamento delle tasse,
ma senza scordare che Dio vige quale autorità assoluta anche in campo politico.
Così l’obbedienza all’uomo, come la posizione di autorità di un uomo sugli
altri uomini, non deve mai far dimenticare colui che è assolutamente al di
sopra di tutti.
Infine, prendiamo in esame un ultimo errore interpretativo.
Ne esistono ancora svariati ma non è possibile considerarli tutti. Questo errore generalmente si compie su di un altro ordine di Gesù: "Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più".
Molte persone nel predicare su questo passo, concludono che Gesù abbia promesso, a chi cerca prima il regno di Dio, che tutte le altre cose gli saranno sopraggiunte. Gesù non dice tutte le altre cose ma tutte queste cose, riferendosi a quelle di cui stava parlando, ovvero quelle di primaria importanza: il mangiare, il bere e il vestire. Egli non ha mai promesso di rendere la vita di chi cerca prima il Suo regno, prosperosa e ricca di ogni sorta di beni, ma solo che gli avrebbe fornito gli strumenti necessari per vivere.
Dopo questo breve sguardo su alcuni
errori interpretativi della Parola di Dio che vengono tramandati da secoli,
chiediamo con umiltà il dono di comprendere ciò che è scritto e non ciò che
desideriamo, o presupponiamo sia scritto.