Le seguenti riflessioni, assieme a quelle finali del prossimo studio, costituiscono le inevitabili conclusioni derivanti da ciò che abbiamo considerato nei dieci studi precedenti. Forse, qualcuno avrà delle perplessità ad accettarle, ma non ne vedo altre possibili, considerando ciò che è stato esposto fin qui, come corrispondente alla verità.
Se le conclusioni sembrano assurde, sono disposto, come sempre, a mettere in discussione queste riflessioni finali e a farne oggetto di confronto, con chi avesse una visione differente.
La presa di coscienza che esista un Supremo, un Essere Infinito, è sempre stata propria di qualsiasi cultura e nazione. Nulla di strano che anche il popolo d’Israele avesse coscienza di un Creatore, di un Altissimo.
Ma che in seno alla Divinità vi sia relazione filiale, paterna e spirante, è una rivelazione esclusiva operata da Gesù Cristo. Per comprendere ciò, occorre per un attimo dimenticare duemila anni di storia e ritornare al tempo di Gesù Cristo.
Fino a quel momento, il popolo d’Israele aveva creduto e credeva in un unico Dio, rivelatosi con il nome JHWH. Il profeta Isaia è categorico al riguardo.
«I miei testimoni siete voi, dice JHWH, insieme al servo che ho
scelto, affinché voi mi conosciate e crediate in me, e comprendiate che sono io. Prima di me nessun Dio fu formato, e dopo di me non ve ne sarà alcuno. Io, io sono JHWH, e all’infuori di me non c’è Salvatore.» (Isaia 43:10-11)
È in quest’ottica dottrinale che dobbiamo «ambientare» la venuta di Gesù e le sue parole.
Quando Gesù nacque, Israele professava una fede monoteista, di un monoteismo assoluto corrispondente a quello di oggi.
In un contesto del genere, è rivelata al popolo di Dio la pluralità della Deità; pluralità, tra l’altro, preannunciata velatamente fin dalle prime pagine della Scrittura.
Gesù, all’età di dodici anni, per la prima volta dichiara di avere una relazione con la pluralità di persone sussistenti in Dio.
«E avvenne che, tre giorni dopo, lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, intento ad ascoltarli e a far loro domande. E tutti quelli che l’udivano, stupivano della sua intelligenza e delle sue risposte.
E, quando essi lo videro, rimasero stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo!.” Ma egli disse loro: “Perché mi
cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?.” Ma essi non compresero le parole che aveva detto loro.» (Luca 2:46-50)
Maria rimprovera Gesù per aver provocato ansia a lei stessa e a suo padre nel doverlo cercare, ma Gesù, facendo orecchie da mercante, risponde a Maria, riferendole di avere un altro Padre, al quale dover ubbidire.
Non a caso, Luca riporta che i suoi genitori non capirono la risposta di Gesù.
La seconda volta, in ordine cronologico, nella quale s’incontra il divino, che rivela una pluralità in sé rapportandosi a Gesù, è al momento del battesimo di Gesù.
«E Gesù, appena fu battezzato uscì fuori dall’acqua; ed ecco i
cieli gli si aprirono, ed egli vide lo Spirito di DIO scendere come una colomba e venire su di lui; ed ecco una voce dal cielo che disse: “Questi è il mio amato Figlio, nel quale mi sono compiaciuto”» (Matteo 3:16-17)
Dobbiamo pensare all’imbarazzo di coloro che erano presenti. Il Divino afferma di avere un Figlio. Se consideriamo esplicitamente il testo biblico, la voce del Divino è udibile tre volte soltanto: durante il battesimo (Matteo 3), sul monte della trasfigurazione (Matteo 17), quando Gesù entra a Gerusalemme montato su di un asinello (Giovanni 12). Subito si pensa che la voce sia quella della Persona del Padre, ma non abbiamo nessun supporto biblico per affermare ciò. Perfino Pietro, nella sua seconda lettera, si riferisce alla voce per due volte (2Pietro 1:17-18) senza, tuttavia, identificarla con la Persona del Padre.
Anche Giovanni il battista, al quale fu rivolta la Parola di Dio, definì il mandante con il pronome colui, ma senza specificarne il nome, come leggiamo in Giovanni 1:33.
«Io non lo conoscevo, ma colui che mi mandò a battezzare con
acqua mi disse…»
Fino al battesimo di Gesù, nessuno pensava che in seno alla Divinità vi fosse una pluralità di Persone, che una fosse il Padre, una il Figlio, l’altra la Persona dello Spirito Santo. La voce che ha definito Gesù «mio figlio» può essere attribuita, oltre che alla Persona del Padre, anche alla Persona dello Spirito Santo, o a entrambe.
Nel libro dell’Apocalisse, la voce è attribuita allo Spirito Santo. (Apocalisse 14:13) Questo ci porta a comprendere che anche la parola Padre non sia sempre da attribuire alla prima Persona della Trinità, ma anche a tutta la Trinità, in quanto Divinità.
Con le sue affermazioni, il figlio della vergine non ci concede una alternativa: solo tramite Gesù Cristo apprendiamo l’esistenza del Padre in seno alla Deità, perché la conoscenza di un Padre è possibile solo tramite il Figlio.
Leggiamo in Matteo 11:27. «Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo.»
Gesù afferma in modo categorico che l’uomo, per natura, non può accedere alle relazioni trinitarie. Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre.
Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio.
La Divinità è inaccessibile.
Vi è una sola possibilità affinché l’uomo possa conoscere il Padre: la rivelazione operata da Gesù.
Il Padre, quindi, è conoscibile solo attraverso Gesù Cristo.
Se questa verità non ci fosse già famigliare, ci colpirebbe per la sua straordinarietà.
«Non che alcuno abbia visto il Padre, se non colui che è da Dio,
questi ha visto il Padre.» (Giovanni 6:46)
Il Padre di Gesù Cristo non solo non è conoscibile se non tramite Gesù, ma neppure è stato mai visto da alcuno.
Se prestiamo attenzione all’affermazione di Giovanni, secondo la quale: «nessuno ha mai visto Dio» (Giovanni 1:18), perché «Dio è Spirito»
(Giovanni 4:24), notiamo che questa per l’autore è una vera e propria provocazione.
Infatti, è vero che in 19 secoli i commentatori e i filosofi greci
hanno fatto di questa verità quasi un «dogma», ma la grande sorpresa, anche per gli stessi Giudei, è che il TaNaCh (gli ebrei chiamano così la Bibbia),afferma proprio il contrario.
In effetti, nell’Antico Patto, esseri umani hanno visto JHWH, che è Dio.
«Poi Mosè ed Aaronne, Nadab e Abihu e settanta degli anziani
d’Israele salirono, e videro il DIO d’Israele. Sotto i suoi piedi
c’era come un pavimento lavorato di zaffiro, della chiarezza del
cielo stesso. Ma egli non stese la sua mano contro i capi dei figli d’Israele; ed essi videro DIO, e mangiarono e bevvero.» (Esodo 24:9-11)
O prendiamo sul serio ciò che per due volte è scritto, oppure, siamo di fronte ad un libro di fantascienza: 74 persone (non due o tre), hanno visto DIO.
Se abbiamo dei problemi di comprensione, non derivano da ciò che è scritto, ma da ciò che abbiamo capito e, a volte, dalla nostra incredulità di fronte a ciò che è scritto nel testo. Nessuno si offenda, perché anche Christopher J.H. Wright, nel suo commentario al libro del Deuteronomio, palesa di non credere che Mosè abbia digiunato, né che si sia astenuto dal bere per 40 giorni e 40 notti (che poi diventarono 80).
22 - Oltre l’episodio di Isaia, capitolo 6, ricordato in Giovanni 12:37-41, nella Torah dobbiamo citare inoltre l’esperienza di Giacobbe a Betel e a Penuel (Genesi 32) e quella di Manoah (Giudici 13:22).
Mosè è descritto come colui che parlava faccia a faccia con JHWH, come un uomo parla col proprio amico (Esodo 33:11), testimonianza questa, data direttamente da JHWH stesso ad Aaronne e Miriam «Con lui io parlo faccia a faccia, facendomi vedere, e non con detti oscuri; ed egli contempla la sembianza di JHWH» (Numeri 12:8).
L’affermazione di Giovanni, che Dio è spirito, perciò sta a significare che nessuno ha visto DIO nella sua pluralità, cioè Elohim, ma JHWH Dio è stato visto e anche toccato dai santi dell’Antico Patto.
Le affermazioni di Gesù e degli apostoli vogliono far intendere che JHWH, la Divinità dell’Antico Patto, abbia un Padre, il quale è una delle Persone di una Deità pluripersonale, che non può essere né vista, né conosciuta.
Solo attraverso il Figlio, si conosce l’esistenza del Padre e si può avere relazione con Lui.
22 Christopher J.H. Wright, Deuteronomio, GBU, Dicembre 2009, pag 206.
«Il Padre che mi ha mandato, egli stesso ha reso testimonianza di me. La sua voce, voi non l’avete mai udita; il suo volto, non l’avete mai visto; la sua parola non dimora in voi, perché non credete in colui che egli ha mandato.» (Giovanni 5:37-38)
Per conoscere il Padre, per udire la sua voce, occorre credere in Gesù.
Non solo. Gesù stesso disse a Filippo che vedere Lui,equivaleva a vedere il Padre.
Il Padre non era, dunque, conoscibile prima di Cristo. Così, pure la Trinità.
Questo fatto ribalta completamente l’opinione comune, che vede nell’Antico Patto la rivelazione della Persona del Padre e nel Nuovo, quella del Figlio. Questa interpretazione ha dato adito a tanti equivoci ed errori dottrinali.
A questo punto, si impone una domanda: «In che dio credono, coloro che non accettano Gesù come l’unico tramite per accedere alla Deità?» La risposta di Lutero è alquanto perspicace: «Chi va a Dio, senza Cristo, incontra il Diavolo.»
A confondere il credente non accorto, impedendogli di comprendere che la Divinità dell’Antico Patto non è la Persona del Padre, sono anche le Scritture degli ebrei, nelle quali JHWH è invocato come Padre.
Ma ciò avviene solo in relazione al rapporto creatore/creatura e non con riguardo alle relazioni interne alla Divinità di Israele, cioè all’Elohim.
«Così Davide benedisse l’Eterno davanti a tutta l’assemblea e
disse: “Benedetto sei tu, o Eterno, DIO di Israele, nostro padre,
per tutta l’eternità”» (1Cronache 29:10)
«Non abbiamo forse tutti un solo padre? Non ci ha creati uno
stesso Dio? Perché dunque siamo perfidi l’uno verso l’altro così
che profaniamo il patto dei nostri padri?» (Malachia 2:10)
«Poiché tu sei nostro padre, anche se Abrahamo non ci conosceva e Israele ci ignora.
Tu, o Eterno, sei nostro padre nostro Redentore, da sempre è il tuo nome.» (Isaia 63:16)