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Salvo da solo o nel...? 2° Parte



Salvo da solo o nel...? 2° Parte



QUINDI? SALVEZZA PERSONALE NEL GIUDIZIO UNIVERSALE? O NO? 

UN PARADOSSO BIBLICO DA RISCOPRIRE 


Alla luce delle considerazioni sin qui esposte (parte 1°), emerge con chiarezza una verità che, pur essendo scolpita nei sacri testi, è stata sovente dimenticata dai tempi moderni: la salvezza dell'uomo non è mai un fatto unicamente individuale, poiché essa si intreccia indissolubilmente con la sorte del popolo al quale egli appartiene. 

È un paradosso biblico, antico quanto le Scritture stesse, che ci ammonisce a riflettere sul destino del singolo e della comunità insieme, come due fili che si legano in un medesimo tessuto divino. 

I profeti dell'Antico Testamento, dalla voce di Geremia a quella di Ezechiele, fino al Presbitero Giovanni nelle sue visioni apocalittiche, ci ammoniscono che Dio giudica non solo l'individuo per le sue opere personali, ma anche il popolo intero per la sua corruzione sistemica. 

Un israelita poteva essere moralmente integro, come Geremia o Baruc, eppure patire l'esilio perché parte di una nazione infedele. 

Allo stesso modo, oggi un cristiano può credersi salvo per la sua fede personale, ma se fa parte di una comunità o di un popolo che non è più ‘tale’ e/o che ha tradito il Vangelo, il giudizio divino lo raggiunge anche come membro di quel corpo corrotto. 

La storia sacra ci offre numerosi esempi di questa verità: Lot, benché giusto "personalmente", come attesta l'apostolo Pietro, fu nondimeno coinvolto nella distruzione di Sodoma, poiché viveva tra i malvagi; Daniele e i tre giovani furono salvati miracolosamente, ma dovettero soffrire l'esilio insieme al popolo ribelle; la Chiesa di Laodicea, descritta nell'Apocalisse, era composta da singoli credenti, ma Cristo stesso la dichiarò tiepida e degna di essere vomitata. 

Questi esempi ci insegnano che la nostra sorte personale non sia separabile dal ‘destino’ del popolo al quale apparteniamo; ammesso che esista ancora poiché, come un ramo non può vivere senza la pianta, così l'uomo non può salvarsi isolandosi dal suo popolo. 

E qui nasce la responsabilità del cristiano come italiano ma anche come parte del popolo di Dio. 

La Scrittura è chiara: l'elezione non è un privilegio, ma una responsabilità collettiva. 

Nell'Antico Testamento, Israele era chiamato ad essere "luce delle nazioni", ma quando abbandonò la sua  vocazione, divenne peggiore dei pagani, come lamenta il profeta Geremia.

 Nel Nuovo Testamento, la Chiesa è definita "popolo santo", ma se si assimila al mondo, come le chiese di Pergamo e Tiatira presenti nell'Apocalisse, perde la propria identità e la protezione divina. 

Oggi se i cristiani italiani adottano modelli stranieri, come il falso vangelo della prosperità elfica, lo spettacolo vuoto o la gnosi individualista, tradiscono la loro propria vocazione. 

I singoli credenti, anche se devoti, subiranno le conseguenze del declino comunitario: persecuzioni, scandali, perdita di credibilità davanti agli uomini e dinanzi a Dio fino alla stessa desiderata ‘salvezza’ personale. 


Qual è, dunque, la soluzione biblica? 


Essa è duplice: pentimento personale e ubbidienza, poiché il singolo deve rimanere fedele alla legge di Cristo, rifiutando compromessi; e insieme, riforma comunitaria, separandosi dalle pratiche corrotte. 

"Uscite da mezzo a loro", esorta san Paolo, ricostruendo l'identità del popolo di Dio come fece Neemia quando diede centralità alla Torah. 

Resistere all'assimilazione è un imperativo categorico: "Non conformarsi a questo mondo", ammonisce l'apostolo Paolo, poiché solo così si può preservare la purezza della fede.

Recuperare il senso di appartenenza etnico secon il mandato di Cristo: Mt 28 :19-20: ammaestrate tutte le Nazioni, battezzandole (le Nazioni) nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, 20 insegnando loro (alle Nazioni) ad osservare tutto ciò che vi ho comandato … 

Giungiamo dunque, alla conclusione, che porta con sé un avvertimento e una speranza. 

L'avvertimento è chiaro: se i cristiani se-dicenti credenti, continuassero a prostituirsi con i modelli vincenti del mondo d’oltre Oceano o d’oltre Manica – moneta, spettacolo, sincretismo, società liquide, falsi ecologismi, linguaggio estero con la perdita dell’idioma di Dante, l’amore per il proprio territorio – il giudizio sarà inevitabile, e molti se-dicenti credenti si penseranno salvati davanti a Dio, ma bruciati nel giudizio, come scrive l'apostolo Paolo ai Corinzi. 

Ma esiste forse anche una speranza: Dio preserva sempre un resto fedele. 

Chi si distacca dalla corruzione sistemica e lotta per l’identità cristiana contro i processi di assimilazione, sarà salvato non solo come singolo, ma come parte del vero popolo di Dio. 

In sintesi, non basta dire: "Gesù è il mio Signore e personale salvatore". 

Serve una fede incarnata in una comunità santa, che rifiuti l’assimilazione. 

La salvezza è personale, ma il giudizio è comunitario. 

E qui sorgono domande che ciascuno di noi deve porsi: la mia Patria assomiglia più alla Gerusalemme fedele o ha venduto anche l’anima ai Babilonesi? 

M’impegno per qualificare la mia Patria da cristiano o mi sto adattando al compromesso dell’assimilazione? 

Sono/siamo disposto/i a pagare il prezzo della separazione per essere parte del resto fedele? 

La scelta è urgente: servire Dio come popolo santo o essere complici di un sistema che Egli giudicherà. 

"Per la trasgressione del mio popolo fu percosso a morte", dice Isaia. 

"Consolate, consolate il mio popolo", aggiunge il profeta. 

Dio rivuole il Suo popolo della Hi-Tal-Yah (Isola della rugiada di Dio) che Gli appartenga. 

Chi ha dato la vita per il tricolore, ha fatto un sacrificio inutile? Chi ha il coraggio di andare ad esempio al Sacrario di Redipuglia senza piangere di vergogna e farsi crepare il cuore sentendo il silenzio del loro sacrificio? 

Facciamo una prova? Saremo tra questi?

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