E’ stato un colpo di fulmine. Stavo studiando la persona di Gesù Cristo quale Figlio di Dio, e pensavo ad un esempio per dimostrare che questa preposizione non significa che Dio abbia un Figlio, altrimenti Gesù Cristo sarebbe sì dio, ma un dio inferiore, come sostengono alcuni dei detrattori della fede cristiana. Gesù Cristo è Figlio di Dio in relazione alle altre due Persone della Trinità, ma non in quanto a Natura. Gesù Cristo è partecipe della natura eterna, perfetta, santa, del Padre e dello Spirito Santo e per questo è Dio, ma, rapportandosi con le altre Persone della Deità, ha assunto una relazione di figliolanza, di sottomissione.
Questa è la fede dei cristiani da sempre.
Spiegare una simile dottrina e realtà all’interno della Deità non è facile, perciò volevo trovare un esempio per far comprendere questa professione di fede. Ad un tratto, ho pensato che l’esempio più efficace sarebbe stata la mia persona. Il mio nome è Domenico- per tutti: Mimmo; nome che mi è stato dato alla nascita. Così, quando mi chiamano mi identificano con questo nome. Però, questo non è l’unico con il quale sono definito. A volte mi si attribuisce l’appellativo di figlio, marito, padre, zio, ecc,ecc. Mentre il primo nome, Mimmo, è il vero e proprio, gli altri, figlio, marito, padre, nonno, sono generici e comuni. Mentre il primo nome si riferisce alla mia persona, gli altri nomi si riferiscono al mio rapporto con gli altri. Sono marito in relazione a mia moglie, sono figlio in relazione a mia madre, sono padre in relazione a mio figlio, sono nonno in relazione ai miei nipoti. Ma io non sono né figlio, né marito, né padre, né nonno, nè zio.
E’ come il presidente della repubblica. Egli non è il presidente della repubblica, ma svolge la funzione di capo dello stato. Se io fossi un figlio, il giorno in cui mi muore mia madre io non sono più un figlio? Ho perso, sì, la relazione di figliolanza a livello umano, ma io continuo ad esistere e a essere quello che sono. E allora, chi sono io? Se tutti morissero e io rimanessi solo e, per questo non potessi avere nessuna relazione col prossimo, chi sono io, se ad attestare la mia identità fosse solo la mia relazione con gli altri? Chi sono, dunque? Io… io sono. Punto e basta.
Sono figlio, marito, padre,
nonno, solo in rapporto con gli altri, ma ancor prima, io ero io, esistevo,
mangiavo, bevevo, dormivo, anche senza queste relazioni. Se vogliamo, non sono
neppure Mimmo, perché questo è solamente un nome che mi è stato imposto;
avrebbero anche potuto impormi il nome di Carlo o Giovanni. E allora, chi sono?
Come ho detto, sono io, cioè io sono. Non vi è nulla da aggiungere,
perché ogni aggiunta a tale affermazione non farebbe altro che mettere in
evidenza la mia relazione con gli altri. Il solo fatto di esistere, già di per
sé, è sufficiente per dar valore al mio essere.
Tutto ad un tratto ho preso coscienza, ho avuto la consapevolezza di una realtà che mi era sfuggita. Io sono. Stupendo! Io, sono io, sia nel dolore, sia nella gioia, sia nel benessere, sia nella povertà, nell’umiliazione e nella gloria, quando cammino, lavoro, mangio, penso. Non ho bisogno di nulla per essere quello che sono, non ho bisogno degli altri per realizzare la mia individualità, non c’è nulla e niente che possa togliermi ciò che sono.
Perché io sono ciò che sono.
Questo mi basta.
Mi sento compiuto.
Realizzato.
Appagato.
Così, il mio relazionarmi come figlio, marito, padre, nonno, e ogni altro tipo di rapporto con il prossimo, non toglie e non aggiunge nulla a ciò che io sono. Sono rapporti importanti, indispensabili su questa terra, ma rimangono confinati come relazioni che possono mettere in evidenza le mie caratteristiche di persona, del mio io, ma non indispensabili per stabilire o valorizzare il mio essere.
Proprio perché non è stato compreso questo aspetto, la maggioranza dell’umanità ha fallito miseramente nella propria esistenza. C’è chi si crede realizzato solo quando ha raggiunto un certo benessere, chi si identifica con la propria professionalità, chi nella notorietà, c’è chi si sente realizzato quando raggiunge l’obiettivo segreto del suo cuore. Succede così che quando queste cose vengono meno, c’è chi perde lo scopo della sua esistenza, tutto e tutti diventano vani e inutili, e c’è chi arriva all’atto estremo togliendosi la vita. Trovandosi senza queste cose per loro indispensabili, manca qualcosa al loro io. Sono eternamente insoddisfatti. Queste manifestazioni mettono in evidenza che queste persone non fossero coscienti che il loro valore consiste nel fatto di essere delle persone, ma si identificavano in quello che avevano, o nella reputazione del prossimo.
Milioni di persone vivono
con pesi morali inauditi e nascosti solo perché sono state colpevolizzate, si
sentono inutili, vane, e non vi è via d’uscita per loro se non prendere
coscienza che il loro valore consiste nel fatto che esistono, che sono
qualcuno, che sono un… io sono. Proprio perché esistono, proprio perché
sono state create, esse fanno parte delle benedizioni e ricchezze del creato,
come lo sono una foglia, un filo d’erba. Se mancasse quel filo d’erba, quella
foglia, nessuno se ne accorgerebbe solo perché noi siamo limitati; ma essi
occupano il loro posto, posto che non può esser sostituito da qualcuno,
o qualcos’altro. Il valore sta nel loro essere, nella loro presenza,
non nella loro funzione. Se questo lo è per ciò che non dura, quanto più lo è
per una creatura umana!
Queste riflessioni e prendere coscienza dell’io sono, di essere, per associazione di idee mi hanno ricordato un episodio unico nel suo genere.
Quando JHWH si presentò a Mosé nel pruno ardente, gli disse di essere la Divinità dei suo padri.
Mosé, non contento di questa vaga presentazione, non contento di sapere solo che tipo di rapporto aveva instaurato con i suoi padri, gli chiese il nome, che per la mentalità ebraica significava chiedere chi era. Per la prima volta, la Divinità d’Israele già rivelata agli uomini, espresse la sua identità, dicendo: "IO SONO COLUI CHE SONO".
E’ vero che il verbo ebraico ha due tempi: uno perfetto, che indica azione già compiuta, e uno imperfetto, o futuro, che indica azione da compiersi, perciò alcuni traduttori preferiscono rendere Io sarò quello che sarò; ma, comunque sia, la risposta dell’Eterno è stata volta a esprimere chi era, a riferire la sua natura, la sua identità, senza riguardare alla propria funzione. Rivelò l’essere, quindi, non l’operato. Fino a quel giorno, infatti, la divinità del popolo d’Israele si era rivelata in conformità alla relazione che aveva con gli uomini; per questo ad Abrahamo si rivelò quale Dio Onnipotente (El Shaddai), o il Dio per sempre (El Olam), ma mai come Colui che è, per il solo motivo che è.
In nessuna
cultura, in nessuna religione, vi è mai stata una divinità che si è espressa in
questo modo; anche perché, tra l’altro, si tratta divinità inesistenti;
divinità, create dalla mente umana. Questa sola peculiarità dovrebbe attestare
l’unicità straordinaria della religione ebreo-cristiana, oltre a conferirle il
titolo di unica e vera professione di fede. Poiché secondo la fede
giudeo-cristiana, l’essere umano è stato creato ad immagine di Dio, diventa
quindi evidente che ogni creatura umana abbia un valore intrinseco, un valore
proprio, indipendente dall’apporto del suo operato. Come l’Eterno Creatore:
Egli è, perché è, e non perché opera in modo divino a favore della sua
creatura. E’ questa caratteristica che, più di ogni altra rende l’essere umano
simile a Dio, che rende l’io sono della personalità umana simile all’IO
SONO della personalità divina.
Una simile riflessione potrebbe essere il frutto di un ragionamento filosofico, ma è Cristo Gesù stesso, quale Dio, ad averlo messo in evidenza. In una ennesima conversazione con i giudei, Gesù rispose loro: "Non è scritto nella vostra legge: "Io ho detto: Voi siete dèi"? (Giovanni 10:34).
A definire la creatura umana una divinità, non è stato dunque l’uomo stesso, ma la medesima Divinità che lo ha creato. E se lo ha detto l’Eterno Dio, l’uomo è veramente una divinità. In definitiva, l’IO SONO, COLUI CHE E’, definisce colui che ha creato un essere che è nientemeno che un io sono, una personalità ad immagine della personalità di Dio. L’UOMO (maschio e femmina) che Cristo ha creato, è talmente simile a Dio che ha la possibilità, non solo di essere perché è, ma anche di opporsi al suo Creatore, al punto di avere l’opportunità di scegliere di essere colui che è separato dal suo Creatore. Questo fa della creatura umana un dio simile al Dio creatore, l’io sono dell’essere umano simile all’IO SONO dell’essere Divino, capace di essere autosufficiente, somigliante a Dio e persino in grado di contrapporsi a Dio.
Questa è la grandezza della creatura umana, la quale, però, contemporaneamente possiede anche la più tremenda libertà da gestire, dato che ha l’arbitrio di trasformarsi in un elemento infernale. Molte persone non hanno ancora compreso che il luogo di perdizione di cui ha parlato diffusamente Gesù Cristo, non è un’invenzione dei religiosi cristiani per spaventare le persone, né il frutto di una loro speculazione teologica, e tantomeno è una dottrina, ma semplicemente il luogo dove l’essere umano, con la sua identità, l’io sono, continua ad esistere ed esprimersi lontano e separato da Dio, dall’IO SONO, COLUI CHE È.
Chi non accetta il metafisico, troverà che
queste riflessioni non lo riguardano, ma chi crede in una vita che continua
oltre la tomba, deve rendersi conto che in definitiva la condanna per l’uomo
non è causata dalla sua appartenenza ad una razza perduta, dal peccato che ha
compiuto, o dall’ignoranza, ma dalla presa di posizione che assume nei
confronti del Creatore, di Gesù Cristo (Giovanni 16:9). Proprio perché gli
uomini sono divini e figli dell’Altissimo (Salmo 82:6), proprio perché
nessuna creatura in cielo e sulla terra è stata creata ad immagine della
Divinità come la razza umana, questi hanno l’onore e il diritto di essere
trattati secondo la scelta responsabile del loro io sono, andando in un
luogo dove la presenza della Divinità non li disturba, o meglio, dove la
mancanza della presenza della Divinità sarà la loro condanna (2Tessalonicesi
1:9).
Una volta presa coscienza di essere perché si è, l’esistenza si vive in una dimensione tutta nuova. Non sarà più la filosofia cartesiana per cui cogito ergo sum, cioè, io penso, dunque esisto, ma sum ergo cogito, esisto, dunque penso.
La definizione di Descartes vuole mettere in enfasi che se vi fosse il dubbio della propria esistenza, questa è demolita dal fatto che siamo esseri pensanti, ma a mio avviso ciò che ci valorizza è il fatto di sapere che, poiché siamo, poiché esistiamo, come risultato di questa realtà, noi pensiamo. Noi pensiamo, amiamo, odiamo, scegliamo, perché siamo una identità, una personalità, un io sono; non siamo individui, un io sono, perché pensiamo, amiamo, odiamo, scegliamo.
La mia esistenza è valorizzata solo dal fatto che io esisto, non
dalla relazione che ho con il mondo in cui vivo. Certo! La mie caratteristiche
personali sono espresse mediante il rapporto che ho con il mondo, con le altre
persone, con Dio, e per questo possono essere apprezzate o condannate, ma sono
le caratteristiche della mia personalità che sono rifiutate o apprezzate,
ma non possono essere indirizzate a me come individuo. Nessuno può, e potrà mai
sdegnare il fatto che io esisto. Neppure Dio. Perché sono stato creato a Sua
immagine. Disprezzare la mia esistenza, equivale a disprezzare l’esistenza di
Dio, perché io sono divino creato ad immagine di Dio. "Guai a colui che
dice a suo padre: "Perché generi?", e a sua madre: "Perché
partorisci?" (Isaia 35:10).
Non credo che possa esservi, in questo mondo, un pensiero più insondabile del fatto che la creatura umana venga all’esistenza dal nulla, e che, da quanto ne sappiamo, l’incontro di due gameti dia origine non solo ad un corpo, ma anche ad un essere con la caratteristica intrinseca divina dell’individualità. Per questo, la nostra esistenza ha tutti i diritti di essere vissuta pienamente in tutti i suoi aspetti: amare e odiare, ridere e piangere, nascere e morire, costruire e abbattere, parlare e tacere.
Dato che noi esseri umani veniamo all’esistenza senza aver precedentemente aver fatto alcuna esperienza, dobbiamo prendere ogni esperienza terrena come dono inestimabile per essere partecipi e simili a Dio in tutto, poiché il tutto è in Dio. In questo modo, il mio essere, l’io sono, non rimane una entità staccata dalla realtà, ma compartecipe dell’IO SONO, COLUI CHE E’. JHWH Dio, che ci ha creati divini a Sua immagine e somiglianza, non era in obbligo di farci partecipi anche delle sue caratteristiche, ma, nel suo amore ha voluto donarci un’esistenza che potesse farci comprendere non solo chi Lui è, ma anche renderci partecipi delle sue relazioni.
Non ci rimane che adorare Gesù Cristo,
quale Figlio di Dio, perché egli è l’IO SONO, COLUI CHE E’, che ha un rapporto
di Figliolanza con il Padre e lo Spirito Santo, affinché chiunque crede in Lui
abbia il diritto di diventare figlio di Dio a propria volta, e
abbia una relazione eterna, immutabile, con tutta la DEITA', simile alla
sua. Questo è possibile solo perché ci ha creati esseri divini, con una nostra
personalità, con una individualità, una libertà, una coscienza, un io sono.
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