La trinità
Poco dopo la mia arresa spontanea, incondizionata e totale
alla volontà di Dio, lessi una affermazione che, in seguito, si ripercosse notevolmente
sul mio cammino cristiano: “Non ci può essere salvezza dove non c’è fede
nella trinità”. Avendo già sperimentato la salvezza mediante un atto di
fede in Cristo senza, però, essermi posto nessun interrogativo in merito
a cosa fosse, chi fosse e cosa volesse significare la trinità, mi
chiedevo il senso di questa dichiarazione categorica, tuttavia solo con
lo scorrere del tempo ho capito i limiti e l’esattezza di tale assunto.
Infatti, il cristianesimo è trinitario, altrimenti non è; è altresì vero,
tuttavia, che la salvezza non è offerta e ricevuta solo da chi ha il giusto
credo (altrimenti nessuno di noi sarebbe salvato); ma, come sta scritto “Chiunque
avrà invocato il nome di Cristo sarà salvato” (Rm 10.13). A cosa
serve allora avere fede nella trinità? Non basta essere salvati? La risposta
categorica è no! Al ladrone sulla croce che stava per entrare nell’eternità non
serviva certamente un corso sulla dottrina della trinità, ma per chi ha davanti
a sè un cammino che deve glorificare il Dio trino, è indispensabile una serrata
riflessione sul Dio trino perché da quello che comprendiamo dipende la nostra teologia,
il nostro rapportarci con Dio, con il prossimo e con noi stessi. Dunque, niente
è così importante come pensare in termini trinitari. Molto probabilmente
qualcuno, ritenendo necessario il bisogno di argomenti pratici, per il quale
il fatto che Dio sia trino oppure no ha una scarsa valenza, nonostante
queste premesse è ancora dubbioso sulla necessità impegnarsi al massimo
per comprendere un Dio trino; ma - come ogni altra dottrina – lo studio sulla
trinità è eminentemente pratico. Innanzitutto, serve per comprendere la Parola
di Dio, dato che il Dio trino si è rivelato tale fin dalle prime parole della
Genesi, poi serve per una giusta ed efficace predicazione del vangelo. Infatti,
a molti sfugge che l’apostolo Paolo (un ebreo convertitosi dalla fede ebraica
rigidamente monoteista secondo la quale Dio è uno-unico in senso
aritmetico), nelle sue lettere si riferisce a Dio come “il Padre del nostro
Signore Gesù Cristo” (Romani 15.6), e allo spirito di Dio come spirito di
Cristo (Rm 8.9; Ga 4.6)). E poiché senza ombra di dubbio Gesù Cristo è Dio (Gv
1.1-3), lo Spirito Santo è Dio (At 5.4), in cosa e in chi credono i cristiani?
Credono, forse, in tre dèi, o in tre Persone couguali che partecipano una
stessa Natura divina coeterna? Dalla nostra risposta dipende se siamo
cristiani e viviamo da cristiani.
Dobbiamo riconoscere che per i primi cristiani, degli
ebrei convertiti, arrivare a comprendere e a definire che la divinità nella
quale credevano fosse plurima è stato un percorso sofferto, anche se nei libri di
Dio in forma embrionale è rivelato un Dio pluripersonale, perché sia i
detrattori della nuova, ma anche vecchia fede cristiana, sia coloro che
professavano di credere in Cristo, iniziarono a negare, o esasperare una o più
verità al punto da professare delle eresie. Va detto che il termine “eresia”
inizialmente non aveva una connotazione così negativa come può averla oggi,
perché tale parola deriva dal greco che significa “scelta”, passando poi a
significare “scelta sbagliata”. Gli storici mettono i risalto che le
formulazioni dottrinali dei primi cristiani furono fatte sia da pagani la cui
conversione al paganesimo non era stata matura e completa, sia da cristiani che
non avevano del tutto tagliato i ponti con riti e le abitudini del loro
passato, sia da eclettici che di fatto assimilavano tanto le dottrine cristiane
quanto i convincimenti delle altre religioni, e da quei cristiani che
ritornavano al paganesimo. Così, sempre secondo gli storici, il deterioramento
della sana dottrina cristiana si sarebbe realizzata: per diluizione,
cioè quando elementi estranei incidono e prevalgono; per mutilazione,
cioè la rimozione di elementi fondamentali; per distorsione, quando si
insiste in maniera unilaterale e sproporzionata su un aspetto particolare; e
per arcaismo, quando prevalgano forme dottrinali ormai obsolete.
(Giancarlo Rinaldi. Cristianesimi nell’Antichità. Pag 362. Ed. GBU, settembre
2009). Perciò, nulla di sorprendente se nel corso dei secoli sono state
formulate eresie trinitarie, delle quali, per brevità, possiamo citarne
cinque in modo molto sintetico. Vi è l’eresia del Triteismo, cioè le tre
Persone – il Padre, il Figlio e lo Spirito – sono diverse in essenza, quindi
tre divinità. Questa eresia nega la consustanzialità delle tre Persone e
l’unità della loro deità. Vi è il Subordinazionismo, cioè Gesù è
ontologicamente (cioè in quanto tale) inferiore al Padre e gerarchicamente
subordinato. Questa eresia nega l’uguaglianza divina delle Persone della
Trinità e la pericoresi (l’abitazione di una Persona della trinità nelle altre)
tra le tre Persone. Vi è il Modalismo, cioè Dio è una Persona che si
manifesta in modi operativi diversi (chiamata anche sabellianismo) Eresia che
nega la distinta personalità del Padre, del Figlio e dello Spirito. Vi è il Monoteismo,
cioè Dio è una unità numerica. Eresia che nega la tri-unità di Dio. Vi è
l’eresia dell’Adozionismo, cioè Gesù è una figura divina adottata dal
Padre. Eresia che nega l’eterna divinità e figliolanza del Figlio.
Vi sono due modi, due scuole o due concezioni diverse per
comprendere chi è il Dio trino: partire dall’unica essenza comune delle tre
Persone che noi individuiamo, o definiamo, con il termine Dio per arrivare a
comprendere la peculiarità di ogni Persona, o porre al centro della questione
le tre Persone per comprendere la loro consustanzialità, cioè l’indivisa
essenza divina che appartiene pienamente al Padre, al Figlio e allo Spirito.
Personalmente ritengo più adatto alla mente umana l’approccio iniziale che
considera la natura eterna comune condivisa dalle tre persone, soprattutto
e fondamentalmente perché l’autorivelazione di Dio inizia in questo modo.
Infatti, la Bibbia inizia col dire che JHWH, definito Dio, ha creato ogni cosa
e formato l’uomo a sua immagine, parola, questa, che nel suo significato
originale vuol dire anche che fu fatto in “forma corporea” di Dio. Infatti,
JHWH nella Bibbia viene presentato con un corpo di un uomo (Giudici 13), viene
visto dai patriarchi, dai profeti e dai settanta anziani d’Israele (Esodo
24.10-11). Una divinità accessibile e una. Nulla di particolare, perché
nella pienezza dei tempi, Cristo assunse una natura umana mediante la
vergine Maria e affermò di essere lui colui che i profeti e i patriarchi
avevano visto (Giovanni 12.41; Giovanni 8.56), giungendo addirittura a
sentenziare «.. se non credete che io sono (cioè che lui è JHWH), morirete nei vostri
peccati» (Giovanni 8.24). Ma la rivelazione delle rivelazioni di Cristo
Gesù è nel testimoniare di avere un Padre ontologicamente uno con lui
(Giovanni 10.30), nel dichiarare lo Spirito come un altro Consolatore
oltre lui (Giovanni 14.6). E’ vero che il concetto di padre era presente anche
nell’Antico Patto, prospettando JHWH Dio come il creatore e anche
come Padre nei confronti dell’uomo, ma il pensiero era relativo a
un rapporto tra Dio e gli uomini. Ma che JHWH Dio avesse una relazione
con la persona del Padre, e che la Persona dello Spirito fosse il Consolatore
divino come lo era Cristo, è stata una rivelazione di una portata cosmica tale
da far sconvolgere ogni ragionamento umano. Tre Persone uguali non create,
eterne, onnipotenti, infinite, che si distinguono a seconda delle loro qualità
particolari e delle loro relazioni personali. Un solo Dio in quanto alla loro
Natura divina in comune, ma tre Persone distinte in quanto a relazione. Qui sta
il cuore teologico della fede cristiana.
Perché allora la dimensione trinitaria è ritenuta quasi
universalmente incomprensibile per la mente umana nella sua essenza? E’ vero!
L’evangelista e apostolo Giovanni asserisce che nessuno ha mai visto Dio
(1Giovanni 4.12), ma continua col dire che l’unigenito Dio (cioè Cristo Gesù)
che è nel seno del Padre (cioè è partecipe della sua natura divina), è quello
che l’ha fatto conoscere (Giovanni 1.18). Se prendiamo sul serio questa affermazione
dobbiamo concludere che se parlando di Dio ci accorgiamo di parlare di
uno sconosciuto, è a motivo del nostro approccio ellenistico (pensiero
greco-romano) ad una testo e ad una cultura ebraica. Stabilito che, quando
nelle Scritture ci si riferisce la Padre, al Figlio e all’altro Consolatore, si
parla di un solo Dio, il passo seguente è non confondere le relazioni esistenti
all’interno della loro comunione, con le loro specifiche relazioni con il
creato e l’uomo. I teologi chiamano questa diversità “trinità ontologica”
e “trinità economica”. La trinità ontologica è riferita all’interno
della trinità dove le tre Persone sono uguali in onore, gloria e potenza. Tre
persone sussistenti nell’unico tutto indiviso e indivisibile Dio. La
trinità economica si riferisce alla parti svolte da ciascuna delle tre
Persone della deità, distinte tra loro, nell’opera di salvezza. Per fare questo
occorre una mente trinitaria, senza la quale predichiamo un monoteismo
trinitario, e cioè che tutti abbiamo uno stesso Dio, o Dio ha fatto ogni cosa.
Tutti i teologi sono d’accordo che Dio Figlio è l’agente grazie alla quale la
creazione è posta in essere, e Lui sarà quello che giudicherà ogni cosa, come
lui stesso ha detto. “.. il Padre non giudica nessuno, ma ha affidato tutto il giudizio al Figlio” (Giovanni 5.22). Perciò, sostenendo che
Dio (cioè la trinità o solo il Padre) ha creato ogni cosa e giudicherà ogni
cosa si mostra di non pensare in termini trinitari. Ecco perché
la lettura della Bibbia e la predicazione, di fatto risentono di una sindrome
da deficienza trinitaria e, i credenti non abituati a pensare in termini
trinitari usano la parola Dio come una panacea per ogni discorso.
Dobbiamo ribadirlo. In merito alla trinità vi sono certe cose che devono
essere dette di ciascuna delle persone trinitarie, e altre caratteristiche
unicamente di una delle tre, che non possono essere dette delle altre due.
Forse la cosa più saggia è iniziare a studiare e conoscere le peculiarità o le
opere individuali di ogni Persona della trinità, solo dopo si sarà in grado di
pensare, parlare, predicare, vivere in termini trinitari. L’impegno è arduo, ma
le limitazioni delle nostre menti non sono ragioni sufficienti per rigettare
quello che Dio ha rivelato a Gesù Cristo suo Figlio (Apocalisse 1.1), il quale
ha insegnato per mezzo dello Spirito Santo (Atti 1.2).
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