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Gesù si identifica con JHWH, oppure è JHWH?


 

Gesù si identifica con JHWH, oppure è JHWH?

Le parole hanno il loro valore. 

Lo dimostra il fatto che la fede cristiana fu portata avanti per secoli dai credenti in modo unito, fino a quando la chiesa di Roma non solo avanzò ambizioni imperialistiche, ma introdusse la parola Filioque (e dal Figlio) al credo di Nicea e di Costantinopoli. 

Questa parola divise la teologia trinitaria occidentale da quella orientale. 

S. Cirillo di Alessandria scrisse “Non permetteremo mai ad alcuno di cambiare o di omettere una parola o una sillaba di questo credo”. Proprio perché è così importante ogni parola, alla pagina 145 del libro “Aggiungi alla fede la conoscenza” edito dai GBU di T.C. Hammond edizione riveduta a cura di Rinaldo Diprose 1994, troviamo scritto “La formulazione di una qualsiasi dottrina biblica dovrebbe basarsi su informazioni e termini tecnici derivanti dalla rivelazione stessa, e studiati nel proprio contesto biblico”.

 Il valore del significato di una parola è stato compreso molto bene anche dai “Testimoni di Geova” seguaci della eresia ariana i quali, per dimostrare che Cristo Gesù non ha una Natura Divina comune a quella del Padre, hanno tradotto il primo versetto del vangelo di Giovanni “Nel principio era la Parola, e la Parola era con il Dio, e la Parola era dio,o(un dio)”. Mettendo l’articolo davanti alla prima citazione del termine Dio e scrivendo in seguito la seconda citazione dello stesso termine in minuscolo, i Testimoni di Geova inducono il lettore a comprendere ciò che loro vogliono. Ma questo non è l’unico errore, e lo dimostra molto bene la rivista teologica “Lux Biblica” nel riuscito numero 29 – I semestre 2004 – dal titolo “La fede Trinitaria”. A pagina 143, alla nota 97, leggiamo “Da notare che in questo caso la TNM (Traduzione del Nuovo Mondo) aggiunge arbitrariamente la parola anche nella frase (di Gesù) – chi ha visto me ha visto il Padre -. Che questa sia un’interpolazione è segnata dal fatto che la congiunzione anche è inserita fra le parentesi quadre, ma si può constatare anche nel confronto con qualsiasi testo greco e con la loro stessa interlineare del 1967, pag. 498….. Questa interpolazione del testo è mirata a creare una separazione fra Gesù e il Padre, con lo scopo di far intendere che, vedendo Gesù, si vedono le caratteristiche e le qualità morali del Padre, ma non la presenza del Padre stesso. Sebbene possa sottilmente passare inosservata, la differenza di significato della frase con l’aggiunta della congiunzione (anche) è enorme, se si considera la ragione per cui i TdG l’hanno inserita”. L’autore di questo scritto, Marco Miotto, ha voluto mettere in evidenza quanto una parola possa deviare lontano dalla verità.

 

Dopo 30 anni di vita cristiana ho preso coscienza di una parola, o meglio di un verbo riferito a Gesù, che catapulta in una realtà teologica in grado di generare varie dottrine non scritturali. Da sempre la chiesa ha professato la Deità di Gesù in seno alla trinità. 

Il simbolo di Atanasio recita “In questa trinità, nessuno è prima, nessuno è dopo, nessuno è maggiore o minore dell’altro. Anzi, tutte e tre le Persone sono insieme coeterne e coeguali”. 

Questo porta i cristiani di oggi a professare che Gesù è Dio. Ma vi è di più. 

Nel suo bellissimo libro dal titolo “L’unicità di Gesù”, Chris Wright con una disamina avvincente dimostra che Gesù è veramente unico in tutto, e per dimostrare questa Sua unicità, Chris dedica varie pagine per dimostrare che Gesù è talmente unico, al punto non solo di aver detto di essere Dio, ma di aver dichiarato di essere JaWHeH, cioè il Dio rivelato nell’Antico Patto ai Padri e ai profeti. 

Se preso sul serio, questo aspetto è veramente straordinario oltre che unico, perché anche un pazzo può dire di essere Dio – come del resto è già successo - ma nessuno, ma proprio nessuno, ha mai detto di essere JaWHeH. Invece, Cristo Gesù lo ha affermato molte volte, come è riportato a esempio nel capitolo 8 di Giovanni, dove Egli afferma che Abramo lo ha visto (8.56) e di essere l’IO SONO apparso a Mosè. (8.58) Nessun credente che ha posto fede in Cristo nega questo, come del resto fa anche Mario Miotto nel suo commento su Giovanni 1:1 sempre nella rivista Lux Biblica, dove leggiamo “Quello che i TdG rifiutano di comprendere è che uno degli scopi dell’incarnazione di Gesù è proprio quello di rendere manifesto in modo tangibile e umano quello che è al di sopra della comprensione umana. Tutta la sua vita e le sue parole sono infatti la dimostrazione che Egli era il “Geova” che si era rivelato agli ebrei nell’Antico Testamento”. (pag 142-143) 

Stessa cosa afferma Chris Wright nel suo libro sopraccitato dove, dopo aver dedicato un paragrafo su l’unicità di Yahweh (pag. 116), un’altro su Yahweh il Dio atteso (pag 117), uno su Yahweh e Gesù (pag. 118), un’altro ancora su Gesù e i primi testimoni (pag 121), nel paragrafo Conclusione, scrive “Ma le nostre affermazioni secondo cui Gesù di Nazaret era Yahweh in carne umana, che egli è esaltato come Signore, che è unico in quanto atto finale di rivelazione e di salvezza di Dio, tutte queste cose restano affermazioni di fede”. (pag. 124) Dunque, ovunque i cristiani attestano esplicitamente e implicitamente che Cristo Gesù è JaHWeH al punto che Josh McDowel nel suo stupendo libro apologetico “Nuove evidenze che richiedono un verdetto”, dedica uno schema dallo spiccante titolo “Gesù è iehovah” nel quale paragona 17 versetti dell’Antico Patto con il nuovo Patto. (pag. 197) Questa è la fede di sempre dei cristiani.

 

Ma ecco che questa verità sembra sconvolgere i Cristiani, sembra turbarli, sembra farli sentire a disagio, e subito correggono il tiro delle loro affermazioni sia come proposizioni, sia come professioni di fede, e introducono un verbo che è diventato un termine tecnico non derivante dalla rivelazione stessa; un termine che nega di fatto la confessione appena professata secondo la quale Cristo Gesù è JaHWeH.

 Prendiamo un solo esempio dalla già citata rivista teologica Lux Biblica. Marco Miotto, riferendosi a Gesù, dopo aver scritto “Tutta la sua vita e le sue parole sono infatti la dimostrazione che Egli era il “Geova” che si era rivelato agli ebrei nell’Antico Testamento”, quasi come se si sentisse in imbarazzo, introduce una nota di richiamo a piè pagina “Ci sono nella Bibbia innumerevoli passi in cui si identifica Gesù con lo JHWH dell’Antico Testamento”. (pag 143) Seguono subito dopo circa un centinaio di riferimenti biblici. 

Ma, a dire il vero, Gesù non si è mai identificato con JaWHeH, piuttosto ha sempre detto di essere JaWHeH. Prendendo in prestito alcune parole usate dalla rivista Lux Biblica per condannare l’interpolazione dei Testimoni di Geova – e facendolo solo allo scopo di non voler usare parole inadatte – anche in questo caso possiamo dire che, sebbene possa sottilmente passare inosservata, la differenza di significato tra il verbo identificare e il verbo essere è enorme. Se fosse solo questa nota a dichiarare che Gesù si identifica con JaHWeH non varrebbe la pena soffermarsi, ma devo confessare che dopo 30 anni che leggo riviste e testi di teologia, tutti, ma proprio tutti, usano la terminologia tecnica “Gesù si identifica con JaHWeH”, o “con il Dio dell’Antico Testamento”. 

Credo che non occorra molto per comprendere la grande differenza che passa tra identificarsi e essere. 

Identificarsi significa sentirsi identico ad una altra persona, significa avere un rapporto di completa uguaglianza con un altro senza per questo esserlo veramente. Come un attore. Può identificarsi in Napoleone vissuto quasi due secoli fa senza per questo essere Napoleone stesso. Invece, se guardo assieme ad un amico una foto di gruppo nella quale sono presente, io posso dire di essere una delle persone nel gruppo. Non mi identifico con qualcuno ritratto nella mia foto, ma io sono una ben precisa persona riprodotta nella foto. Così, quando i teologi dicono che Gesù si identifica con JaHWeH, vogliono sottintendere – secondo la semantica della parola - che Gesù non è JaHWeH, ma ha caratteristiche simili a quelle di JaHWeH. Ma questo contraddice clamorosamente quei testi di teologia nei quali si afferma che Gesù è JaHWeH. Forse i teologi non credono a quello che dicono o professano.

 

Ma da dove nasce questa confusione? 

Perché questo imbarazzo nell’affermare che Gesù ha detto di essere JaHWeH anziché essersi limitato a identificarsi nella divinità di Israele? Se fosse una cosa da poco conto si potrebbe ignorare, ma le parole di Gesù non possono essere ignorate. «Perciò vi ho detto che morirete nei vostri peccati; perché se non credete che io sono, morirete nei vostri peccati». (Giovanni 8.24) 

Sfido qualsiasi teologo e filologo a comprendere che Gesù stia identificandosi con JaHWeH, piuttosto che stia attestando di essere JaHWeH. 

Per poter essere perdonati dai peccati, Gesù non chiede di essere riconosciuto come colui che si identifica con JaHWeH, piuttosto esige che si riconosca che Egli sia JaHWeH, il Dio dell’Antico Patto. E questo, Gesù lo dice a delle persone che avevano già una fede in Dio, anche se la fede era finta e inoperosa. 

Prendere sul serio Gesù come JaHWeH, significa creare una rivoluzione nel campo della teologia, una rivoluzione che non tutti sono disposti ad accettare perché oltre a buttare alle ortiche tanti libri, scuole bibliche e teologi devono rivedere il loro credo. 

Non tutti saranno d’accordo su questa mia conclusione perché in fondo credono che comunque sia, si dica che Gesù è JaHWeH, ma non è vero. 

La letteratura cristiana è piena di affermazioni, come “I primi cristiani applicarono a Gesù i brani biblici che si riferivano a JaHWeH (L’unicità di Gesù, pag. 123), oppure “Gesù applicava a se stesso la descrizione di sé fatta da Yahweh, come infatti egli fece più tardi” (“Il vangelo di Giovanni” di Colin G. Kruse - edizioni GBU 2003). 

Perché allora questo imbarazzo a ritenere che JaHWeH sia Gesù? 

Perché è convinzione dei teologi che il tetragramma non sia una persona, ma semplicemente siano delle lettere finalizzate a identificare il Dio trino.

 Cioè, come il termine Dio non è usato per definire una persona ben precisa, perché diciamo che Gesù è Dio, il Padre è Dio, e lo Spirito Santo è Dio riferendoci alla loro comune natura divina, così, JaHWeH sarebbe semplicemente una parola per definire la Trinità. 

In definitiva, per i teologi i termini JaHWeH e Dio sono sinonimi, ovvero, vocaboli equivalenti. Se fosse così, perché allora i teologi cristiani sono continuamente attenti e animati da un’inspiegabile prudenza nell’affermare che Gesù si identifica con JaHWeH? Se non hanno paura di affermare che Gesù sia Dio, e se i termini Dio e JaHWeH sono sinonimi, perché non dire allora che Gesù è JaHWeH! Se si continua a dire che Gesù si identificava con JaHWeH, implicitamente si sostiene che di fatto Gesù non è Dio, e questa è una delle ragioni per cui i credenti non riescono ad essere convincenti nei confronti dei Testimoni di Geova. 

Personalmente, quando qualcuno di loro viene a trovarmi, dopo un quarto d’ora di presentazione da parte mia di Cristo quale JaHWeH, se ne va da casa mia. 

O forse dietro a questa paura o prudenza dei cristiani c’è dell’altro? 

Alcuni ritengono che sia un estremismo sostenere di vedere sempre Gesù in JaHWeH, ma è pure un estremismo sostenere che il tetragramma sia una scritta riferita alla Trinità. 

Perciò, il vero problema non è essere estremisti oppure no, è ritenere se il tetragramma che si trova più di 6.000 volte nell’Antico Patto corrisponda solo a quattro lettere per definire la Trinità, oppure sia una Persona della Trinità, è cioè Cristo. 

Dalla risposta che diamo a questo quesito dipende la comprensione della Scrittura.


Contributo

Nuove evidenze che richiedono un verdetto – EDIZIONI CENTRO BIBLICO – Josh McDowell

 L’unicità di Gesù Cristo – GBU – Chris Wright

 


 


 

Unico Dio? - 2° Parte

                            Unico Dio?

Una dimostrazione che il nome Elohim sia plurale, si ha quando, in ebraico, troviamo Elohim riferito alle divinità straniere. I traduttori rendono il termine con dèi, come abbiamo letto nei dieci comandamenti e come leggiamo in Deuteronomio 6:14 "Non seguirete altri dèi (Elohim), fra gli dèi (Elohim) dei popoli che vi circondano". (Anche Giudici 10:6). Proprio per questo, stupiscono più che mai le prime parole della Bibbia, quando un nome plurale è seguito da un verbo al singolare "Nel principio Dio (Elohim) creò i cieli e la terra. Il termine Elohim, nonostante sia un sostantivo che è esclusivamente plurale, quando è riferito alla Divinità di Israele è seguito da verbi e possessivi al singolare. Un esempio lo abbiamo nel libro dei Giudici. "Allora i figli d'Israele gridarono all'Eterno, dicendo: "Abbiamo peccato contro di te, perché abbiamo abbandonato il nostro Elohim e abbiamo servito i Baal" (Giudici 10:10). Anche le espressioni quali "il mio Dio", o "il Dio d’Israele", hanno l’articolo al singolare. Se siamo in grado ogni volta che leggiamo il termine Dio di tradurlo con il termine più preciso Divinità, avremo una comprensione più vicina alla rivelazione di Gesù Cristo.

 

Nella Bibbia Nuova Riveduta con riferimenti paralleli, nell’indice Biblico troviamo scritto, alla parola Dio la seguente proposizione "Il creatore dei cieli e della terra. L’ebraico Elohim, è una parola con terminazione al plurale che indica gli dèi delle nazioni pagane ma, in altri contesti, indica il Dio unico di Israele; oltre a questo indizio, anche alcuni passi dell’Antico Testamento ci inducono a considerare un concetto di molteplicità all’interno dell’unica Divinità, fino a scorgere nel Nuovo Testamento che Dio si manifesta in tre persone. Il suo nome è Yahweh…". Questa spiegazione concorda molto con ciò che abbiamo detto, ma occorre precisare una cosa. Affermare che Dio sia il creatore dei cieli e della terra senza conoscere le sfumature che abbiamo preso in esame, porta il lettore ad avere una comprensione sbagliata. Quando leggiamo che Dio è il creatore di ogni cosa, tenuto presente che il termine ebraico Elohim sta per "divinità", dobbiamo innanzitutto ricordarci che l’Elohim d’Israele, e non un altro, ha creato tutte le cose. In seguito, poiché abbiamo notato che il termine Elohim è un sostantivo plurale, al quale però si riferiscono verbi espressi in forma singolare, siamo indotti da questo fatto straordinario a concludere che vi sia un concetto di molteplicità all’interno dell’unica Divinità d’Israele. Come Cristiani, infatti, crediamo che in Dio, nella divinità d’Israele, sussistano tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo.

 

A questo punto la domanda che dobbiamo porci è: "Chi dei tre ha creato? O hanno creato tutti e Tre?". E’ vero che Dio è uno in quanto a Natura, ma poiché in Dio sussistono tre Persone, e poiché ogni Persona è distinta dall’altra, non possiamo fare di tutte le erbe un fascio. Una cosa è sicura: a creare non è stato il Padre o lo Spirito Santo, ma Cristo, il figlio di Dio. Gli apostoli non avevano dubbi al riguardo. Giovanni inizia il suo evangelo con queste parole "Nel principio era la Parola e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio. Egli (la Parola) era nel principio con Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (la Parola), e senza di lui nessuna delle cose fatte è stata fatta" (Giovanni 1:1-3). L’esecutore di ogni cosa creata è stata la Parola, e la Parola, il Lui di Giovanni, è Gesù Cristo. Detto questo, noi siamo responsabili di spiegare cosa vogliamo affermare quando parliamo di Dio. Poiché il termine Dio è l’equivalente del termine ebraico plurale Elohim, questo termine non è un nome proprio, ma un sostantivo comune di persona che nel corso della storia e’ stato privato del senso suo originale, diventando nel pensiero comune, nome proprio di persona, singolare, e, azzarderei dire, anche astratto per la sua distanza dalla nostra quotidianità. Sarebbe come dire che Carlo è un muratore. Se mi riferisco a Carlo, so a chi mi riferisco, se parlo del "muratore", il termine può essere riferito a qualsiasi muratore diverso da Carlo. Inoltre posso anche arrivare a parlare del muratore Carlo, definendolo e chiamandolo soltanto "muratore", facendo così di un semplice nome comune un nome proprio con il quale intendo la sua persona specifica (Carlo), ma che può trarre in inganno chi udendomi dire "muratore" non sa che quello e’ il nome con il quale io chiamo Carlo. Questo e’ in sintesi la realtà di ciò che e’ accaduto nei secoli. Così, se parliamo di Dio, con tale termine ci rivolgiamo ad un essere Supremo, ma non lo conosciamo. Sappiamo che è "Divino", ma le sue caratteristiche ci sono nascoste. Solo con la venuta di Gesù Cristo, il quale è nel seno della Trinità, possiamo comprendere meglio Dio, come la Deità distinta da ogni altro dio o divinità a cui l’uomo rivolge la propria attenzione. Così, se diciamo che chi ha creato ogni cosa è Cristo, noi specifichiamo la nostra fede nel Creatore, unico vero Dio di tutta la terra, del quale conosciamo l’identità certa e inequivocabile.

 

Nel Nuovo Testamento, che è stato scritto in greco, troviamo abbondantemente il termine Theos, cioè Dio, ma anche in questo caso dobbiamo capire il vero significato. Una cosa è certa: il termine Theos ha più riferimenti. Poiché Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio, è evidente che tale termine non è a senso unico. A volte Theos è riferito al Padre (Efesini 1:3), a volte al Figlio (Giovanni 1:1), e a volte allo Spirito Santo (Atti 5:4). Non solo. A volte il sostantivo Dio è riferito a tutti e Tre, cioè alla Trinità. L’esempio lo troviamo in 1Timoteo 2:5 "Vi è infatti un solo Dio, ed anche un solo mediatore tra Dio e gli uomini: Cristo Gesù uomo". Quando affermiamo che vi è un solo Dio, vogliamo sostenere che vi è una sola Divinità nella quale sussistono Tre Persone, cioè un Padre, un Figlio, e uno Spirito Santo. Paolo sta affermando che vi è una sola Trinità e anche un solo mediatore tra la Trinità e gli uomini, cioè Gesù Cristo uomo.

 

Se oggi i figli di Dio hanno delle difficoltà a testimoniare della loro fede, è perché hanno le idee confuse riguardo in chi hanno creduto. Continuo a sentire nei dibattiti religiosi, a leggere in alcune riviste evangeliche, che Ebrei, Musulmani, cattolici romani e Protestanti hanno lo stesso Dio. Questo, bisogna dirlo con chiarezza, è una bestemmia che i primi cristiani, se potessero risuscitare, condannerebbero, in quanto è un’offesa all’unico vero Dio che si è rivelato sul monte Sinai. E’ vero che il Dio della Scrittura è l’unico Dio, ma l’unico Dio degli uomini non è il Dio della Scrittura. Il desiderio di appiattire ogni fede, ogni religione, aprirsi al desiderio dell’esperienza del sacro con l’obiettivo di credere senza appartenere, è un principio diabolico che avrà il suo apogeo con la venuta dell’anticristo, il quale, proprio perché le cose continuano così, si presenterà come il Dio di ogni religione. "Or vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signor nostro Gesù Cristo e al nostro adunamento con lui, di non lasciarvi subito sconvolgere nella mente nè turbare o da spirito, o da parola, o da qualche lettera come se venisse da parte nostra, quasi che il giorno di Cristo sia già venuto. Nessuno v'inganni in alcuna maniera, perché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l'apostasia e prima che sia manifestato l'uomo del peccato, il figlio della perdizione, l'avversario, colui che s'innalza sopra tutto ciò che è chiamato dio o oggetto di adorazione, tanto da porsi a sedere nel tempio di Dio come Dio, mettendo in mostra se stesso e proclamando di essere Dio" (2Tessalonicesi 2:1-4). Se ho ben capito, prima del ritorno di Cristo per rapire la sua chiesa, un uomo si innalzerà sopra ogni forma religiosa (tutto ciò che è chiamato dio o oggetto di adorazione), e si proclamerà Dio. Fino a qualche anno fa un simile evento poteva sembrare assurdo, ma alla luce degli avvenimenti a cui stiamo assistendo nell’ambito delle religioni, sarà possibile perché queste avranno un punto in comune, e cioè saranno persuasi di credere tutti nello stesso Dio. Non vi può essere altra spiegazione. Così, i cristiani che vivranno gli ultimi giorni prima del ritorno di Cristo, avranno la stessa situazione sociale religiosa dei primi cristiani al tempo degli apostoli. Come i primi cristiani rifiutarono ogni altra divinità a costo della loro vita, nello stesso modo i cristiani prima del ritorno di Gesù Cristo saranno perseguitati a morte se non rifiuteranno di credere e di confessare che Gesù Cristo è Dio, l’unico vero Dio, e che nella Deità sussistano tre Persone: Padre, Figlio, Spirito Santo. Solo il cristianesimo confessa tale fede, perché i musulmani credono sì in Allah, e che Allah sia Dio, ma per loro non è il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Anche gli ebrei credono in Dio, in JHWH, ma non credono che JHWH sia Cristo, il figlio di Dio. I cattolici romani credono sì in Dio, che sia Trino, ma non credono che Gesù Cristo sia il solo Dio al quale bisogna rendere culto, pregare, e servire.

 

Negli ultimi giorni, l’unicità del messaggio del vangelo, la sua radicalità, sarà un ostacolo per unificare le confessioni di fede, così, poiché saranno un disturbo per la società, coloro che lo professano e lo vivono, saranno perseguitati a morte. L’apertura al vangelo da parte delle altre religioni è una farsa perché a dire il vero, il vangelo e chi lo predica nella sua interezza vengono sopportati, più che accettati; ma, come disse l’apostolo Paolo duemila anni fa "Verrà il tempo, infatti, in cui non sopporteranno la sana dottrina ma, per prurito di udire, si accumuleranno maestri secondo le loro proprie voglie e distoglieranno le orecchie dalla verità per rivolgersi alle favole" (2Timoteo 4:3-4). Proprio per questo, l’apostolo aveva detto precedentemente con un cuore che ardeva per la verità: "Ti scongiuro dunque davanti a Dio e al Signore Gesù Cristo, che ha da giudicare i vivi e i morti, nella sua apparizione e nel suo regno: predica la parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, rimprovera, esorta con ogni pazienza e dottrina". Predicare la Parola significa annunciare l’evangelo, il messaggio che presenta un unico vero Dio e, con il termine Dio, noi ci riferiamo soprattutto alla divinità d’Israele, a Cristo. Gesù non ci ha lasciati alternative: "Perciò vi ho detto che voi morirete nei vostri peccati, perché se non credete che io sono, voi morirete nei vostri peccati" (Giovanni 8:24). Gesù non chiede che lo si riconosca come un dio, come fanno i Testimoni di Geova, come un profeta, come fanno i Musulmani, come un grande maestro di morale, come fanno gli induisti, come il Figlio di Dio, ma incapace di salvare per grazia coloro che pongono fede in Lui, come fanno i cattolici. Gesù Cristo vuole essere riconosciuto come la Divinità d’Israele, l’Elohim, cioè la divinità che era presente nell’Antico Testamento, il Dio creatore, l’Altissimo, il Salvatore.

 

Il compromesso religioso è l’atto di debolezza di chi non ha più un’identità. Io posso raggiungere il confronto solo quando definisco la mia identità, solo quando saremo io – l’altro e la nostra distinzione, una diversità che non sarà motivo di umiliazione o di orgoglio. L’apostolo Paolo poteva dire alla fine della sua vita "Per questo motivo io soffro anche queste cose, ma non me ne vergogno, perché so in chi ho creduto, e sono persuaso che egli è capace di custodire il mio deposito fino a quel giorno" (2Timoteo 1:12). Essere pienamente coscienti della propria fede, conoscere in chi si crede, avere la rivelazione dell’unico Dio così come si è rivelato, appaga pienamente l’anima. E un’anima appagata non ha bisogno di fare la guerra per imporsi, di contendere con chi la pensa diversamente, ma si limita a testimoniare con gioia e sofferenza che l’unico Dio, il Dio della Scrittura, si è rivelato in Gesù Cristo, poiché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità (Colossesi 2:9).

 

Unico Dio -1° Parte


 

L’unico Dio ?

La fede dei cristiani è basata, da sempre, sulla Parola di Dio, la Bibbia. Il termine Bibbia deriva dal greco che significa "Raccolta di libri". Infatti, la Bibbia non è un unico libro, ma è composta, per quanto riguarda il canone protestante ed ebraico, di sessantasei libri. Questi libri non sono stati scritti in questi giorni, neppure da alcuni anni o secoli, ma da alcuni millenni. Infatti, il più giovane libro della Bibbia ha quasi duemila anni. Inoltre essi non sono stati scritti da persone della nostra cultura, ma da persone che avevano una cultura semitica, cioè orientale. Questi dati, comportano tutta una serie di problemi uno tra i quali è comprendere il significato delle loro parole e quindi delle loro espressioni.

 

Facciamo un esempio. Ammesso che io non abbia mai letto niente di ciò che è scritto nella Bibbia e inizi a leggere il vangelo di Matteo, incontro subito, alle prime parole, grosse difficoltà di comprensione. "Libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di Davide. Chiunque legge una simile proposizione senza preconcetti, comprende, come me, che Gesù Cristo è figlio di Davide. Non vi sono dubbi. Per cui, con questa comprensione non posso che affermare, e insegnare, se ho tale compito, che Davide aveva un figlio di nome Gesù Cristo. Un’altra persona, più afferrata nella cultura ebraica, sostiene che la mia comprensione di tale proposizione non corrisponde alla verità. Ma io, che ho letto senza ombra di dubbio che Gesù Cristo è Figlio di Davide, continuo a sostenere che non posso sbagliarmi, perché ho letto e sta scritto, che Gesù Cristo è figlio di Davide. Inevitabilmente, ne nasce una controversia. Questo, in linea di principio, è ciò che succede in certi ambienti, dove la Bibbia, cioè la Parola di Dio, è l’unica fonte in materia di fede e di condotta. Si cita la Parola di Dio per sostenere opinioni e dottrine, ma il contenuto delle loro esposizioni a volte non corrisponde a ciò che la Parola di Dio vuole sostenere. Posso per tutta la vita predicare con la più profonda convinzione che Gesù Cristo è Figlio di Davide, senza per questo rendere ragione alla Parola di Dio. E’ vero che Gesù Cristo è figlio di Davide, ma non nel senso che Davide aveva un figlio di nome Gesù Cristo. Secondo la cultura ebraica, Gesù Cristo viene definito Figlio di Davide perché discendente dal ceppo genealogico del re d’Israele, oppure, perché appartenente alla stessa fede. Per questo, Gesù Cristo non viene solo definito figlio di Davide, ma anche figlio di Abramo. Il termine figlio nella Scrittura è polisemico, cioè ha più significati, e chi legge la Parola di Dio deve tenerne conto per non incorrere errori che potrebbero essere fatali.

 

Vi è un’altra problematica. Quando frequentavo le elementari la maestra, perché imparassimo, ci faceva leggere pagine intere di alcuni racconti. Di tanto in tanto chiedeva ad alcuni alunni che cosa avevano capito e a volte alcuni di questi non sapevano rispondere. Sapevano leggere, ma non comprendevano ciò che leggevano. Un fatto non eccezionale. Da vari anni ho il piacere di insegnare la Parola di Dio ad alcuni ragazzi dai tredici ai vent’anni d’età. Spesso leggiamo alcuni episodi descritti in essa e ho notato che alcuni leggono abbastanza speditamente, ma quando chiedo a loro che cosa hanno letto, devono rileggere di nuovo per potermi rispondere. Dunque capire ciò che si legge non è da tutti. Per questo diventa più che mai urgente non solo leggere la Bibbia, ma comprenderla. Comprendere la Scrittura è indispensabile per poter compiere la volontà di Dio, per poterla insegnare correttamente, per vivere bene e soprattutto perché si evitano quegli scontri di opinioni così frequenti tra i figli di Dio. Non vi è dubbio che i figli di Dio leggano le Scritture, non vi è dubbio che amino il loro Salvatore, non vi è dubbio che desiderino onorare Gesù Cristo, eppure, quante divisioni e duelli su versetti e dottrine! E questo perché la loro comprensione delle Scritture è diversa. Ancora una volta dobbiamo onestamente chinare il capo davanti ad una verità lapalissiana: noi non siamo fedeli alla Scrittura, ma alla comprensione che abbiamo di essa. L’errore di comprensione relativo a un termine poco usato, pur distorcendo il pensiero della Scrittura procura un danno limitato; ma nel caso di un termine usato non solo decine di volte, o centinaia, ma migliaia di volte, la comprensione errata di un vocabolo può portare a stravolgere completamente ciò che la Parola di Dio ci vuole comunicare. Uno di questi termini usati migliaia di volte nella Scrittura come nel nostro linguaggio, è la parola Dio. Noi diciamo "Io credo in Dio", "Che Dio ti benedica", "Dio mi ha parlato". Poiché in tutte queste espressioni il soggetto è Dio, secondo il concetto che abbiamo di Dio, cambia anche il significato di ciò che stiamo dicendo. Se ad esprimerle è un cristiano ha un significato, se invece è un musulmano. ne acquisisce un altro nonostante ostinatamente si continui a sostenere che abbiamo lo stesso Dio. Non possiamo, perciò, ammettere compromessi per ciò che riguarda l’unico Dio.

 

Diciamo subito che la parola Dio nell’Antico Testamento non ha assolutamente lo stesso significato che le attribuiamo noi oggi. Infatti, mentre nell’ambito del mondo monoteista la parola Dio ha il significato di Creatore, Essere Supremo, Padre, nella mente di un ebreo dell’epoca aveva un significato sicuramente più "povero", per quanto fosse ovviamente riferito a un essere superiore. Una simile affermazione lascia senz’altro sbalorditi perché nelle nostre Bibbie troviamo scritto la parola Dio, non solo decine di volte, neppure centinaia, ma migliaia di volte. Infatti, già l’ultima delle tre parole iniziali del primo libro della Bibbia, il Genesi, è il termine Dio. "Nel principio Dio creò i cieli e la terra". E’ vero che la parola Dio nell’Antico Testamento si trova circa tremila volte, ma si tratta di una traduzione imprecisa, o sarebbe meglio dire che è la traduzione propria di un termine che nella storia del pensiero umano ha assunto un improprio significato. Come leggiamo anche nel glossario di alcune Bibbie, nella lingua originale dell’Antico Testamento, l’ebraico, il termine relativo è Elohim, cioè un sostantivo esclusivamente plurale la cui esatta traduzione si rende con "Dei" o, più corretto, Dii, un plurale generico, e il cui significato è divinità". Il fatto che tale termine fosse un plurale ci induce a pensare che per gli ebrei la parola Elohim non fosse indicativa di una persona come erroneamente immaginiamo, ma che questo termine plurale fosse teso a indicare un qualcosa che non è in quest’epoca ancora distintamente definito, ma che pare si voglia anticipare. Quando leggiamo la Parola Dio nell’Antico Testamento dobbiamo attribuirle il significato di Divinità, Essere Divino. In sintesi, quando un ebreo dell’epoca dichiarava che il suo Elohim era l’Elohim di Israele, non faceva nella sostanza una dichiarazione diversa da un greco che dicesse che la sua divinità era Giove. Nel testo ebraico compare anche un altro termine, El, che viene a sua volta tradotto con la parola Dio, come troviamo scritto ad esempio in Giudici 16:23 "Ora i principi dei Filistei si radunarono per offrire un gran sacrificio a Dagon, loro dio, e per rallegrarsi ", e al capitolo 11 versetto 24 "Non possiedi tu quello che Kemosh, il tuo dio, ti ha dato di possedere?". Purtroppo chi legge la Bibbia, anche a causa delle traduzioni improprie, generalmente non riesce a cogliere questa sfumatura. Ripetiamo che bisogna tener presente che i testi sono tradotti da persone che hanno subito da generazioni un condizionamento storico nel pensiero, il quale forma un presupposto di partenza e impedisce di vedere il reale senso della parola o frase in questione. Questa è la vera causa della traduzione errata. Troviamo il termine dio scritto diversamente anche nel secondo comandamento. "Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non le servirai, perché io, l'Eterno (JHWH), tuo DIO (Elohim), sono un Dio (El) geloso che punisce l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano" (Esodo 20:5). Vi è una curiosità in merito che vale la pena sottolineare. Leggiamo nelle Bibbie che quando Giacobbe lottò con Dio, cioè l’Eterno, Questi gli pose nome Israele, perché aveva lottato con Dio (Per questo non ho capito come si possa sostenere che Giacobbe abbia lottato con un essere angelico). Se teniamo presente l’ebraico, il nome che l’Eterno diede a Giacobbe, è Isra-el. Quel el finale, corrisponde a ciò che l’Eterno disse a Giacobbe "Tu hai lottato con Dio (el) e hai vinto". Per cui Isra, sta che tu hai lottato, el, sta per Dio. Il nome italianizzato Israele nasconde una verità meravigliosa. Ancora una volta ciò dimostra che non stiamo spaccando un versetto o una parola in quattro, ma si tratta di comprendere ciò che leggiamo.

 

Che la parola Elohim abbia il significato di divinità, lo dimostra il fatto che anche le divinità degli altri popoli venivano chiamate Elohim, cioè con lo stesso termine usato dagli ebrei per la loro divinità. Prendiamo come esempio l’introduzione ai dieci comandamenti. "Allora DIO pronunziò tutte queste parole, dicendo: "Io l'Eterno, DIO tuo, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avrai altri dèi davanti a me". Questa introduzione merita un piccolo esame. Il capitolo inizia inducendoci a una presa di coscienza su come dobbiamo capire DIO, cioè l’Elohim, la Divinità che parla. "Allora DIO pronunziò tutte queste parole". Poi continua: "Io l'Eterno". La divinità d’Israele, una divinità definita in modo vago, con un altrettanto vago e comune vocabolo, Elohim, si presenta però come una persona, io, e con il suo vero nome, cioè JHWH. Il discorso di JHWH è dunque questo: "Chi ti parla non è una divinità vaga, impersonale, indefinita, come tutte le altre ma sono io, JHWH, Colui che ti ha salvato e che ha una identità precisa". Dopo aver mostrato la sua carta di identità, il suo vero nome, JHWH, l’Elohim di Israele, continua dicendo "DIO tuo". In definitiva JHWH sta asserendo che lui ora è diventato la divinità del popolo d’Israele perché lo ha salvato facendolo uscire mediante opere potenti dal paese di Egitto. Dopo aver attestato con dimostrazione tangibile dei fatti la propria opera di Salvatore del popolo, JHWH ordina nel primo comandamento: "Non avrai altri dèi davanti a me". In ebraico sta scritto "Non avrai altri Elohim davanti a me", cioè non avere altre divinità oltre me, o di fronte a me, perché l’Elohim che ti ha salvato e che è degno di adorazione, sono io, e nessun altro.

Continua....


La Trinità



La trinità

Poco dopo la mia arresa spontanea, incondizionata e totale alla volontà di Dio, lessi una affermazione che, in seguito, si ripercosse notevolmente sul mio cammino cristiano: “Non ci può essere salvezza dove non c’è fede nella trinità”. Avendo già sperimentato la salvezza mediante un atto di fede in Cristo senza, però, essermi posto nessun interrogativo in merito a cosa fosse, chi fosse e cosa volesse significare la trinità, mi chiedevo il senso di questa dichiarazione categorica, tuttavia solo con lo scorrere del tempo ho capito i limiti e l’esattezza di tale assunto. Infatti, il cristianesimo è trinitario, altrimenti non è; è altresì vero, tuttavia, che la salvezza non è offerta e ricevuta solo da chi ha il giusto credo (altrimenti nessuno di noi sarebbe salvato); ma, come sta scritto “Chiunque avrà invocato il nome di Cristo sarà salvato” (Rm 10.13). A cosa serve allora avere fede nella trinità? Non basta essere salvati? La risposta categorica è no! Al ladrone sulla croce che stava per entrare nell’eternità non serviva certamente un corso sulla dottrina della trinità, ma per chi ha davanti a sè un cammino che deve glorificare il Dio trino, è indispensabile una serrata riflessione sul Dio trino perché da quello che comprendiamo dipende la nostra teologia, il nostro rapportarci con Dio, con il prossimo e con noi stessi. Dunque, niente è così importante come pensare in termini trinitari. Molto probabilmente qualcuno, ritenendo necessario il bisogno di argomenti pratici, per il quale il fatto che Dio sia trino oppure no ha una scarsa valenza, nonostante queste premesse è ancora dubbioso sulla necessità impegnarsi al massimo per comprendere un Dio trino; ma - come ogni altra dottrina – lo studio sulla trinità è eminentemente pratico. Innanzitutto, serve per comprendere la Parola di Dio, dato che il Dio trino si è rivelato tale fin dalle prime parole della Genesi, poi serve per una giusta ed efficace predicazione del vangelo. Infatti, a molti sfugge che l’apostolo Paolo (un ebreo convertitosi dalla fede ebraica rigidamente monoteista secondo la quale Dio è uno-unico in senso aritmetico), nelle sue lettere si riferisce a Dio come “il Padre del nostro Signore Gesù Cristo” (Romani 15.6), e allo spirito di Dio come spirito di Cristo (Rm 8.9; Ga 4.6)). E poiché senza ombra di dubbio Gesù Cristo è Dio (Gv 1.1-3), lo Spirito Santo è Dio (At 5.4), in cosa e in chi credono i cristiani? Credono, forse, in tre dèi, o in tre Persone couguali che partecipano una stessa Natura divina coeterna? Dalla nostra risposta dipende se siamo cristiani e viviamo da cristiani.

 

Dobbiamo riconoscere che per i primi cristiani, degli ebrei convertiti, arrivare a comprendere e a definire che la divinità nella quale credevano fosse plurima è stato un percorso sofferto, anche se nei libri di Dio in forma embrionale è rivelato un Dio pluripersonale, perché sia i detrattori della nuova, ma anche vecchia fede cristiana, sia coloro che professavano di credere in Cristo, iniziarono a negare, o esasperare una o più verità al punto da professare delle eresie. Va detto che il termine “eresia” inizialmente non aveva una connotazione così negativa come può averla oggi, perché tale parola deriva dal greco che significa “scelta”, passando poi a significare “scelta sbagliata”. Gli storici mettono i risalto che le formulazioni dottrinali dei primi cristiani furono fatte sia da pagani la cui conversione al paganesimo non era stata matura e completa, sia da cristiani che non avevano del tutto tagliato i ponti con riti e le abitudini del loro passato, sia da eclettici che di fatto assimilavano tanto le dottrine cristiane quanto i convincimenti delle altre religioni, e da quei cristiani che ritornavano al paganesimo. Così, sempre secondo gli storici, il deterioramento della sana dottrina cristiana si sarebbe realizzata: per diluizione, cioè quando elementi estranei incidono e prevalgono; per mutilazione, cioè la rimozione di elementi fondamentali; per distorsione, quando si insiste in maniera unilaterale e sproporzionata su un aspetto particolare; e per arcaismo, quando prevalgano forme dottrinali ormai obsolete. (Giancarlo Rinaldi. Cristianesimi nell’Antichità. Pag 362. Ed. GBU, settembre 2009). Perciò, nulla di sorprendente se nel corso dei secoli sono state formulate eresie trinitarie, delle quali, per brevità, possiamo citarne cinque in modo molto sintetico. Vi è l’eresia del Triteismo, cioè le tre Persone – il Padre, il Figlio e lo Spirito – sono diverse in essenza, quindi tre divinità. Questa eresia nega la consustanzialità delle tre Persone e l’unità della loro deità. Vi è il Subordinazionismo, cioè Gesù è ontologicamente (cioè in quanto tale) inferiore al Padre e gerarchicamente subordinato. Questa eresia nega l’uguaglianza divina delle Persone della Trinità e la pericoresi (l’abitazione di una Persona della trinità nelle altre) tra le tre Persone. Vi è il Modalismo, cioè Dio è una Persona che si manifesta in modi operativi diversi (chiamata anche sabellianismo) Eresia che nega la distinta personalità del Padre, del Figlio e dello Spirito. Vi è il Monoteismo, cioè Dio è una unità numerica. Eresia che nega la tri-unità di Dio. Vi è l’eresia dell’Adozionismo, cioè Gesù è una figura divina adottata dal Padre. Eresia che nega l’eterna divinità e figliolanza del Figlio.

 

Vi sono due modi, due scuole o due concezioni diverse per comprendere chi è il Dio trino: partire dall’unica essenza comune delle tre Persone che noi individuiamo, o definiamo, con il termine Dio per arrivare a comprendere la peculiarità di ogni Persona, o porre al centro della questione le tre Persone per comprendere la loro consustanzialità, cioè l’indivisa essenza divina che appartiene pienamente al Padre, al Figlio e allo Spirito. Personalmente ritengo più adatto alla mente umana l’approccio iniziale che considera la natura eterna comune condivisa dalle tre persone, soprattutto e fondamentalmente perché l’autorivelazione di Dio inizia in questo modo. Infatti, la Bibbia inizia col dire che JHWH, definito Dio, ha creato ogni cosa e formato l’uomo a sua immagine, parola, questa, che nel suo significato originale vuol dire anche che fu fatto in “forma corporea” di Dio. Infatti, JHWH nella Bibbia viene presentato con un corpo di un uomo (Giudici 13), viene visto dai patriarchi, dai profeti e dai settanta anziani d’Israele (Esodo 24.10-11). Una divinità accessibile e una. Nulla di particolare, perché nella pienezza dei tempi, Cristo assunse una natura umana mediante la vergine Maria e affermò di essere lui colui che i profeti e i patriarchi avevano visto (Giovanni 12.41; Giovanni 8.56), giungendo addirittura a sentenziare «.. se non credete che io sono (cioè che lui è JHWH), morirete nei vostri peccati» (Giovanni 8.24). Ma la rivelazione delle rivelazioni di Cristo Gesù è nel testimoniare di avere un Padre ontologicamente uno con lui (Giovanni 10.30), nel dichiarare lo Spirito come un altro Consolatore oltre lui (Giovanni 14.6). E’ vero che il concetto di padre era presente anche nell’Antico Patto, prospettando JHWH Dio come il creatore e anche come Padre nei confronti dell’uomo, ma il pensiero era relativo a un rapporto tra Dio e gli uomini. Ma che JHWH Dio avesse una relazione con la persona del Padre, e che la Persona dello Spirito fosse il Consolatore divino come lo era Cristo, è stata una rivelazione di una portata cosmica tale da far sconvolgere ogni ragionamento umano. Tre Persone uguali non create, eterne, onnipotenti, infinite, che si distinguono a seconda delle loro qualità particolari e delle loro relazioni personali. Un solo Dio in quanto alla loro Natura divina in comune, ma tre Persone distinte in quanto a relazione. Qui sta il cuore teologico della fede cristiana.

 

Perché allora la dimensione trinitaria è ritenuta quasi universalmente incomprensibile per la mente umana nella sua essenza? E’ vero! L’evangelista e apostolo Giovanni asserisce che nessuno ha mai visto Dio (1Giovanni 4.12), ma continua col dire che l’unigenito Dio (cioè Cristo Gesù) che è nel seno del Padre (cioè è partecipe della sua natura divina), è quello che l’ha fatto conoscere (Giovanni 1.18). Se prendiamo sul serio questa affermazione dobbiamo concludere che se parlando di Dio ci accorgiamo di parlare di uno sconosciuto, è a motivo del nostro approccio ellenistico (pensiero greco-romano) ad una testo e ad una cultura ebraica. Stabilito che, quando nelle Scritture ci si riferisce la Padre, al Figlio e all’altro Consolatore, si parla di un solo Dio, il passo seguente è non confondere le relazioni esistenti all’interno della loro comunione, con le loro specifiche relazioni con il creato e l’uomo. I teologi chiamano questa diversità “trinità ontologica” e “trinità economica”. La trinità ontologica è riferita all’interno della trinità dove le tre Persone sono uguali in onore, gloria e potenza. Tre persone sussistenti nell’unico tutto indiviso e indivisibile Dio. La trinità economica si riferisce alla parti svolte da ciascuna delle tre Persone della deità, distinte tra loro, nell’opera di salvezza. Per fare questo occorre una mente trinitaria, senza la quale predichiamo un monoteismo trinitario, e cioè che tutti abbiamo uno stesso Dio, o Dio ha fatto ogni cosa. Tutti i teologi sono d’accordo che Dio Figlio è l’agente grazie alla quale la creazione è posta in essere, e Lui sarà quello che giudicherà ogni cosa, come lui stesso ha detto. “.. il Padre non giudica nessuno, ma ha affidato tutto il giudizio al Figlio” (Giovanni 5.22). Perciò, sostenendo che Dio (cioè la trinità o solo il Padre) ha creato ogni cosa e giudicherà ogni cosa si mostra di non pensare in termini trinitari. Ecco perché la lettura della Bibbia e la predicazione, di fatto risentono di una sindrome da deficienza trinitaria e, i credenti non abituati a pensare in termini trinitari usano la parola Dio come una panacea per ogni discorso. Dobbiamo ribadirlo. In merito alla trinità vi sono certe cose che devono essere dette di ciascuna delle persone trinitarie, e altre caratteristiche unicamente di una delle tre, che non possono essere dette delle altre due. Forse la cosa più saggia è iniziare a studiare e conoscere le peculiarità o le opere individuali di ogni Persona della trinità, solo dopo si sarà in grado di pensare, parlare, predicare, vivere in termini trinitari. L’impegno è arduo, ma le limitazioni delle nostre menti non sono ragioni sufficienti per rigettare quello che Dio ha rivelato a Gesù Cristo suo Figlio (Apocalisse 1.1), il quale ha insegnato per mezzo dello Spirito Santo (Atti 1.2).

 

YHWH CI APRE L’ACCESSO ALLA DEITÀ

 Ho fiducia che questo lungo cammino non abbia stancato il lettore. 

Questo è l'ultimo studio della serie riguardante "La DIVINITA' "

Prossimo anno- a Dio piacendo ci dedicheremo ad altri studi teologici.

Uno studio del genere ha comportato un impegno non indifferente, perché si è trattato, non di comprendere alcune verità su Dio, ma di cercare di comprendere la Natura stessa del Dio Trino, di capire le Tre Persone sussistenti nell’unica Natura Divina rivelata ad Israele e ai cristiani.

In questa ricerca sono emerse alcune verità fondamentali, senza le quali tutto il nostro sapere su Gesù Cristo è compromesso. 

Infatti, la nascita di nuove religioni e errate dottrine basate sulla Bibbia è dovuta ad una inesatta comprensione della Persona di Gesù. 

Considerato che l’Antico Patto presenta la Persona del Cristo prima della sua incarnazione, le religioni, che si rifanno alla Scrittura, devono enunciare ogni dottrina partendo da questo presupposto.

Abbiamo dimostrato che Gesù afferma, in modo inequivocabile, di essere il Dio dell’Antico Patto. 

Questo per alcuni è sconvolgente, anche se non si tratta di una novità. 

Fino al quarto secolo, ciò era considerato una verità ovvia. In seguito, è stato dimenticato, anche se molti dipinti del XIV, XV e XVI secolo, mostrano la Persona di Cristo che crea Adamo, o che detta i comandamenti a Mosè. (Vedi: «Anonimo maestro lombardo» nella «Creazione di Adamo» e «Mosè e le tavole della Legge» una miniatura del XIV secolo). Forse la novità più sorprendente del Nuovo Patto è che JHWH, il Dio dell’Antico Patto, avesse un Padre. 

Alla luce della nostra cultura cristiana, non stupisce più di tanto affermare che Gesù avesse un Padre; ma asserire che JHWH avesse un Padre è un’altra cosa. 

A stupire e aprire il nostro cuore, è che l’incarnazione di JHWH in Gesù, la sua morte e resurrezione non siano servite solo alla salvezza dell’uomo dalla perdizione, ma che la Sua opera di redenzione e di propiziazione ci abbia dato la possibilità di avere accesso al Padre.

 Se consideriamo che nell’Antico Patto il credente nell’adorazione si avvicinava a JHWH e serviva JHWH, dobbiamo dire che con la Sua opera di riconciliazione, Gesù sia la porta per avvicinarci al Padre di Lui.

«Ed egli venne per annunziare la pace a voi che eravate lontani e a quelli che erano vicini, poiché per mezzo di lui abbiamo entrambi accesso al Padre in uno stesso Spirito.» (Efesini 2:18)

Paolo mette in evidenza che l’accesso al Padre è possibile mediante Gesù Cristo. Ciò significa che prima dell’incarnazione di Cristo, il Padre non fosse accessibile. 

A sfuggire ai cristiani è che, rompendosi la cortina del tempio alla morte di Gesù, fu aperta la porta che dà accesso non tanto a Dio quale JHWH, quanto alla Persona di Abbà, la prima Persona della Trinità e a tutta la Deità stessa. 

Oggi, noi possiamo dunque, parlare, pregare, chiedere e presentarci, direttamente, alla Maestà (Ebrei 8:1), tramite

Gesù. «Giustificati dunque per fede abbiamo pace presso Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale abbiamo anche avuto, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio.» (Romani 5:1-2)

Il cristiano, mediante il nuovo Patto, ha avuto la grazia di accedere alla presenza della Deità in pace, cosa non possibile prima della venuta di Cristo. 

Il cristiano ha ora comunione con l’Elohim, con tutta la pluralità della Divinità. La venuta di Gesù Cristo sulla terra ha avuto un duplice scopo: quello di dare all’uomo l’accesso al Padre e quello di indicargli l’unica via per avere accesso alla Maestà.

Il dono, di avere la possibilità di entrare in comunione direttamente con la Deità, non deve essere sottovalutato, perché solo il cristianesimo insegna tale verità. Un vescovo indiano testimoniò di essere stato una persona molto religiosa prima di convertirsi al cristianesimo. 

Una sola parola lo aveva fondamentalmente spinto verso la fede in Cristo: «accesso». Nella sua espressione religiosa non aveva mai trovato, entrando in tutti quei templi, accesso ai suoi dèi, benché fossero miriadi. Aveva, infine, trovato accesso a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Il concetto chiave del Nuovo Patto è che abbiamo accesso alla Divinità trina.

Dobbiamo considerare cosa comporti avere accesso alla Maestà.

Nell’Antico Patto, JHWH aveva ordinato l’osservanza di prescrizioni ferree per avvicinarsi a Lui. Senza certi presupposti, l’uomo non era accettato.

Il credente doveva ricorrere ad un intermediario stabilito da JHWH: il sacerdote. Il sacerdote, a sua volta, doveva lavarsi e vestirsi in un certo modo; doveva osservare vari rituali ogni giorno e, una volta all’anno, poteva entrare nel luogo santissimo. Non solo. Se il sacerdote non eseguiva i rituali secondo le prescrizioni della legge, poteva anche morire. Pensiamo ai figli di Aaronne, i quali offrirono un fuoco non secondo i parametri di JHWH e morirono sull’istante. Ricordiamo anche Uzzah, che stese la mano per «salvare» l’arca e morì.

Gli scrittori del Nuovo Patto hanno messo in evidenza che tutti gli apparati sacerdotali e rituali fossero ombra di futuri beni, cioè esprimessero verità realizzate e spiegate solo con la venuta di Gesù Cristo e della Persona dello Spirito Santo. Il credente si è soffermato quasi esclusivamente sull’opera di salvezza di Gesù, trascurando tanti altri benefici ricevuti dall’opera di redenzione. Per comprendere il valore del sacrificio di Gesù Cristo, dobbiamo prendere in prestito delle immagini che ci pervengono dalle parole di Gesù stesso. Nella parabola del re che prepara le nozze di suo figlio, troviamo un uomo, che era entrato nella sala dove si celebravano le nozze senza indossare l’abito adatto, quello nuziale. Il re lo fa legare e gettare fuori nelle tenebre.

Questa parabola ci mostra fondamentalmente due cose.

1. Davanti alla Maestà, non ci si può presentare con l’abbigliamento comune di tutti i giorni.

2. L’inosservanza di certe regole, suscita l’esclusione dalla presenza della Maestà.

Questi due principi sono esposti dagli apostoli nelle loro lettere.

L’uomo è una creatura invitata alle nozze di Gesù Cristo. Avendo una natura corrotta (non ha l’abito da nozze), non può presentarsi davanti alla Maestà e, per questo, Dio ha provveduto a rigenerarlo e a rivestirlo della giustizia di Gesù Cristo.

«Poiché la sua divina potenza ci ha donato tutte le cose che appartengono alla vita e alla pietà, per mezzo della conoscenza di colui che ci ha chiamati mediante la sua gloria e virtù, attraverso le quali ci sono donate le preziose e grandissime promesse, affinché per mezzo di esse diventiate partecipi della natura divina, dopo essere fuggiti dalla corruzione che è nel mondo a motivo della concupiscenza.» (2Pietro 1:4)

«Perché siete stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio vivente e che dura in eterno.» (1Pietro 1:23)

Il cristiano, benché sia una creatura, è stato fatto partecipe della stessa natura divina del DIO Trino: di Dio Padre, di JHWH e della Persona dello Spirito Santo (In Ebraico ruah, femminile). Egli è stato reso degno di accedere alla presenza della Deità. Se Gesù Cristo con la Sua morte e resurrezione ci avesse salvati dalla sola perdizione, noi saremmo più disperati di prima. Saremmo come quello che è stato salvato da un naufragio, ma non ha dove posare il piede sulla terra ferma. Oppure, come Absalom, figlio del re Davide, al quale, sebbene ne avesse ricevuto il perdono, fu comunque impedito di recarsi alla presenza del padre. Dopo due anni, Absalom disse a Joab: «Sarebbe meglio per me se fossi rimasto dov’ero prima»(2Samuele 14:32).

 Proprio perché l’opera di salvezza di Gesù Cristo è completa, chi crede in Lui, non solo è stato reso figlio di Dio, ma è anche stato reso degno di accedere alla presenza della Maestà.

Questa nuova relazione derivante dal nuovo Patto (Luca 22:30), comporta da parte del credente nuovi atteggiamenti spirituali ed esteriori.

Alcuni nuovi atteggiamenti spirituali sono descritti nel libro di Geremia (Geremia 31:31-34).

«“Ecco, i giorni vengono”, dice JHWH, “in cui io farò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che feci con i loro padri il giorno che li presi per mano per condurli fuori dal paese d’ Egitto: patto che essi violarono, sebbene io fossi loro signore”, dice JHWH; “ma questo è il patto che farò con la casa d’Israele, dopo quei giorni”, dice JHWH: “io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo. Nessuno istruirà più il suo compagno o il proprio fratello, dicendo: ‘Conoscete JHWH!’ poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande”, dice JHWH. “Poiché io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò del loro peccato.”»

In questo brano profetico, per i credenti vi sono almeno sette vantaggi derivanti dal nuovo patto:

1. La legge di JHWH è scritta nelle loro menti

2. La legge di JHWH è scritta sui loro cuori

3. JHWH è il loro Dio

4. JHWH li fa partecipi del popolo di Dio

5. Il credente è istruito direttamente da JHWH

6. Tutti conoscono personalmente Cristo quale JHWH

7. JHWH non si ricorda più dei peccati dell’uomo

Avendo i peccati perdonati, il credente ha la libertà di entrare, senza sensi di colpa, alla presenza del Dio trino; una grazia, così palesata nella lettera agli ebrei:

«Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù, per quella via nuova e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne, e avendo noi un grande sacerdote sopra la casa di Dio, avviciniamoci con cuore sincero e con piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi di quell’aspersione che li purifica da una cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura.» (Ebrei 10:19-22)

Atteggiamenti esteriori: come il sacerdote doveva presentarsi a Dio lavato e vestito in un certo modo, con abiti adatti per andare alla presenza della Deità, così, è pure per il credente del nuovo Patto. Purtroppo, avendo compreso che l’abbigliamento sacerdotale era figura di realtà celesti, certi credenti sono finiti con il passare dalla parte opposta, privando l’esteriorità del proprio giusto valore. In questo modo, quando la chiesa si riunisce per rendere un culto a Dio pubblicamente, vi sono credenti che non danno valore al decoro e all’ordine. Mantenere l’ordine ed essere vestiti con decoro alla presenza di Dio può essere ritenuto una forma, una pesante usanza tramandata, un’esteriorità inutile, perché tanto Dio guarda al cuore. 

Ma che Dio non guardi all’esteriore, è una conclusione del tutto arbitraria.

Paolo ordina, alla chiesa di Corinto che «ogni cosa sia fatta con decoro e con ordine» (1Corinzi 14:40), mentre a Timoteo ordina che le donne, vestendosi decorosamente, si adornino con pudore e riservatezza (1Timoteo 2:8). 

Per essere accettati da Dio, quando si raduna la chiesa, occorre guardare non solo alle motivazioni, ma anche alla forma.

La parabola delle nozze esprime un’altra verità: il credente che non si presenterà davanti al tribunale di Cristo vestito di buone opere (Efesini 2:10; 1Timoteo 2:10; Tito 2:7; 3:8; Ebrei 10:14) sarà svergognato. «Ora dunque, figlioletti, dimorate in lui affinché, quando egli apparirà, noi possiamo avere fiducia e alla sua venuta non veniamo svergognati davanti a Lui» (1Giovanni 2:28. Vedi anche Apocalisse 3:18; 7:13; 16:15). Chi si gloria della certezza della salvezza (1Corinzi 1:31), deve preoccuparsi anche di non essere confuso e svergognato nel giorno di Gesù Cristo, perché non tutti i credenti regneranno con Gesù (2Timoteo 2:12), anche se faranno parte del suo regno.

Dopo la morte e la resurrezione di Gesù, il credente è stato reso degno di entrare alla presenza della Deità, ricevendo la natura divina per mezzo della Persona dello Spirito Santo. Come Gesù è stato fatto partecipe della natura umana (Giovanni 1:14), così, il credente è reso partecipe della natura divina (2Pietro 2:4). Questo fatto ha indotto Paolo a formulare tutta quella teologia di Cristo in voi. Nel credente abita la natura della Persona del Consolatore, della Persona di Cristo, della Persona di Abbà, il Padre, poiché tutti e Tre sono partecipi della stessa Natura.

In merito a Cristo leggiamo:

«Ai quali Dio ha voluto far conoscere quali siano le ricchezze della gloria di questo mistero fra i gentili, che è Cristo in voi, speranza di gloria.» (Colossesi 1:27)

In merito al Padre leggiamo:

«Gesù rispose e gli disse: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui.”» (Giovanni 14:23)

In merito allo Spirito Santo leggiamo:

«Non sapete voi che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1Corinzi 3:16)

Poteva, un unico DIO Trino, onorare la sua creatura in modo migliore?

Giovanni, nella sua prima lettera è ancora più ardito:

«Dio è amore… quale egli è, tali siamo anche noi in questo mondo.» (1Giovanni 4:17)

La creatura è innalzata al livello della Deità e ciò suscita irresistibilmente la nostra adorazione. Non solo. Secondo la Sua promessa, vedremo Dio, in Cristo.

«Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è ancora stato manifestato ciò che saremo; sappiamo però che quando egli sarà manifestato, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è.» (1Giovanni 3:2)

E ancora. Chi ama DIO, tramite Gesù, ha delle prospettive immense.

«Or noi parliamo di sapienza fra gli uomini maturi, ma di una sapienza che non è di questa età né dei dominatori di questa età che sono ridotti al nulla, ma parliamo della sapienza di Dio nascosta nel mistero, che Dio ha preordinato prima delle età per la nostra gloria, che nessuno dei dominatori di questa età ha conosciuta; perché, se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma come sta scritto: “Le cose che occhio non ha visto e che orecchio non ha udito e che non sono salite in cuor d’uomo, sono quelle che Dio ha preparato per quelli che lo amano.”» (1Corinzi 2:6-9)

Riposiamo in questa promessa, per indagare ogni giorno i pensieri di Dio.

«È gloria di DIO nascondere una cosa, ma è gloria dei re investigarla.» (Proverbi 25:2)

Tra le tante verità da ricordare, una in particolar modo non deve essere dimenticata.«Voi siete di quaggiú, mentre io sono di lassú; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Perciò vi ho detto che voi morirete nei vostri peccati, perché se non credete che Io Sono, voi morirete nei vostri peccati.» (Giovanni 8:24)24

In un mondo intriso di pluralismo religioso, occorre passare non solo dal Teocentrismo al Cristocentrismo, ma proclamare anche una Cristologia Jahwehista. 

Presentare al mondo Gesù, come JHWH, l’IO SONO, l’unico Signore, diventa il messaggio indispensabile e insostituibile per una nuova evangelizzazione del terzo millennio

«affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio delle creature celesti e terrestri e sotterranee, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, [JHWH] alla gloria di Dio Padre.» (Filippesi 2:10)

RIEPILOGO E CONCLUSIONE

La Scrittura attribuisce alla Divinità d’Israele tre nomi: Adonaj, Elohim, JHWH.

JHWH, Elohim e Adonaj, non sono sinonimi indicanti la stessa personalità divina.

Solo JHWH è il vero nome proprio della Divinità d’Israele.

La Parola di Dio usa una pluralità di termini per indicare lo stesso ed unico Dio.

JHWH è il nome che il Creatore si è dato e che ha rivelato, per la prima volta, a Mosè.

La fede dei santi dell’Antico Patto non era in un Elohim vago, ma in JHWH.

Il Dio rivelato ad Israele è pluripersonale.

Dio ha uno Spirito.

JHWH ha uno Spirito.

Lo Spirito sia di Dio, sia di JHWH, è una Persona.

Gli israeliti, prima della diaspora, credevano in una Divinità espressa al plurale e che l’espressione di questa pluralità fosse in JHWH.

JHWH ha caratteristiche antropomorfiche e antropopatiche. Egli ha un corpo e si è rivelato nell’Angelo dell’Eterno.

L’Angelo dell’Eterno era l’immagine sostanziale di Elohim, la Persona nella pluralità dell’Elohim, alla quale l’essere umano può accedere.

L’Antico Patto è l’annuncio (vangelo) dell’opera e del messaggio dell’Angelo dell’Eterno.

Giovanni il battista attesta che Gesù sia il Tetragramma.

Gesù Cristo attesta di essere JHWH con l’espressione: «Io sono»

Gesù e gli apostoli testimoniano della presenza di Cristo nella Torah.

Quando i primi cristiani attribuivano a Gesù il titolo di «Signore» confessavano che Gesù Cristo è JHWH, il Dio dell’Antico Patto.

Il Nuovo Patto conferma la pluralità della Divinità d’Israele, confessando un Dio unico in Tre Persone: Padre, Figlio, Spirito Santo.

Gesù Cristo, JHWH, rivela di avere un Padre e dà al credente la possibilità e la dignità di accedere alla Deità.

Il credente riceve per la fede lo Spirito Santo, che lo rende partecipe della stessa Natura di Dio JHWH.


Dio continua a benedirci e farci capire chi veramente stiamo adorando e servendo.

Buon Anno a tutti.