L’espressione secondo la quale Adamo ed Eva «si nascosero dalla presenza di JHWH », rivela che accanto a loro vi fosse Qualcuno. È risaputo che Dio è onnipresente, perciò nascondersi da qualcuno è possibile solo se questo «qualcuno» ha una fisicità, una corporeità. Non è possibile sfuggire o nascondersi da una Divinità evanescente e onnipresente. Non a caso, molti teologi vedono in questo frangente Cristo, impegnato nel dialogo con Adamo ed Eva. «Poi JHWH Elohim fece ad Adamo e a sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì» (Genesi 3:21) Non possiamo rifiutare, come rozzi o primitivi, gli antropomorfismi attribuiti a JHWH. Perché il testo abbia senso, occorre prendere alla lettera il significato di ogni parola. Se queste descrizioni fossero da intendersi come opere di fantasia, JHWH non sarebbe più il Creatore, ma una creatura dell’immaginazione. Possedendo una propria fisicità, JHWH, (Cristo) fece le tuniche e vestì Adamo ed Eva. «E JHWH si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo» (Genesi 6:6) La Parola di Dio non presenta JHWH unicamente con caratteristiche antropomorfiche, ma anche antropopatiche (passioni umane, psichiche, attribuite alla Divinità). Addolorarsi e pentirsi, al di là dei significati figurati loro attribuiti, restano comunque verbi molto forti, perché espressi con un linguaggio tipicamente adatto alla persona umana, più che a una Divinità impersonale. «Questi vennero da Noè, nell’arca, a due a due, di ogni carne in cui vi è alito di vita; entrarono maschio e femmina di ogni carne, come DIO aveva comandato a Noè; poi JHWH li chiuse dentro» (Genesi 7:15-16). Considerando in senso figurato l’espressione: «L’Eterno li chiuse dentro », non vi sono più regole per interpretare la Scrittura. Se è «reale» ciò che è descritto prima, lo è pure quest’espressione. Non rimane altro, se non accettare semplicemente che JHWH, poiché dotato di una fisicità corporea, abbia chiuso l’arca.
Troviamo quasi palpabile la presenza dell’antropomorfismo di JHWH, anche nel racconto della torre di Babele. «Ma JHWH discese per vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. E JHWH disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti la medesima lingua; e questo è quanto essi hanno cominciato a fare; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare. Orsù, scendiamo laggiù e confondiamo la loro lingua, affinché l’uno non comprenda più il parlare dell’altro”» (Genesi 11:5-7) Secondo il Salmo 139, Dio è ovunque. Affermare che JHWH discese, comporta l’idea che Egli si trovi in un luogo e non in un altro. Questo è possibile solo se JHWH ha una fisicità, un corpo. Il verbo "discendere" fa comprendere, anche, che JHWH vive in una dimensione assimilabile a quella spazio-temporale, nella quale può calarsi e che, comunque, non gli è totalmente estranea. Anche l’incontro di JHWH con i patriarchi, se non è considerato unicamente in senso figurato, ha dell’incredibile e fornisce una chiave di lettura nuova che rende molto più verosimile una interpretazione non meramente simbolica. «Quando Abramo ebbe novantanove anni, JHWH gli apparve [si lasciò vedere] e gli disse: “Io sono il Dio onnipotente; cammina alla mia presenza, e sii integro; e io stabilirò il mio patto fra me e te e ti moltiplicherò grandemente”» (Genesi 17:1-2) Quando leggiamo che l’Eterno apparve ad Abramo, nella nostra mente possiamo pensare ad una visione, o a qualcosa di simile. La Scrittura fa delle differenze tra visione e apparizione. In effetti Dio parlò in visione sia ad Abramo, sia a Giacobbe (Genesi 15:1 e 46:2); ma in questo specifico caso, JHWH si lasciò vedere. Infatti, in ebraico, il verbo «apparve» esprime il concetto di «farsi vedere». Che Abramo parlasse con qualcuno avente una propria fisicità, lo dimostra il seguito del racconto.«Quando ebbe finito di parlare con lui, Elohim lasciò Abrahamo, levandosi in alto» (Genesi 17:22) Attraverso quest’ultima espressione, comprendiamo che si trattò di una presenza viva e corporea, cioè l’unica, rispetto alla quale abbia senso il concetto di allontanamento da qualcuno (Abramo) e di elevazione rispetto al piano terrestre su cui si trova il patriarca. Lo stesso episodio si trova nella vita di Giacobbe. «Così Giacobbe giunse a Luz, cioè Bethel, che è nel paese di Canaan, egli con tutta la gente che era con lui. E là egli costruì un altare e chiamò quel luogo El-Bethel, perché là DIO gli era apparso, quando egli fuggiva davanti a suo fratello. Allora morì Debora, bàlia di Rebecca, e fu sepolta al di sotto di Bethel, ai piedi della quercia, che fu chiamata Allon-Bakuth. DIO apparve [si lasciò vedere] ancora a Giacobbe, quando questi veniva da Paddan-Aram, e lo benedisse. E DIO gli disse: “Il tuo nome è Giacobbe; tu non sarai più chiamato Giacobbe, ma il tuo nome sarà Israele.” E gli mise nome Israele» (Genesi 35:6-10) JHWH (definito Elohim) si lasciò vedere da Giacobbe a Bethel. Questo concorda con quanto più tardi scrisse il profeta Osea: «Lo trovò a Bethel, e là egli parlò con noi, cioè, JHWH, Elohim degli eserciti, il cui nome è JHWH» (Osea 12:5b-6). In seguito, JHWH si lasciò vedere di nuovo a Giacobbe, quando questi veniva da Paddan-Aram. In quell’occasione, l’Eterno cambiò il nome di Giacobbe in Israele (2 Re 17:34) e gli fece delle promesse. In seguito, leggiamo: «Poi Elohim salì in alto da lui, dal luogo dove gli aveva parlato» (Genesi 35:13) Abbiamo, anche in questo caso, una presenza corporea che si allontana dal patriarca. Il fatto che Dio «salga in alto» o «si allontani da lui», come tradotto in altre versioni, non è certamente da considerare in modo allegorico, anche perché non costituisce un episodio unico. Troveremo una scena simile, ma con protagonista l’Angelo dell’Eterno e ancora un’altra, avvenuta millenni più tardi, di cui sarà protagonista Gesù Cristo stesso (Atti 1:9). Nulla di strano, quindi, che Qualcuno dotato di una propria fisicità, si scosti da Giacobbe e sia riconosciuto nella sua Divinità. In Esodo 33, JHWH si rivela a Mosè, usando un linguaggio molto antropomorfico. «Allora Mosè disse: “Deh, fammi vedere la tua gloria!” L’Eterno gli rispose: “Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il nome dell’Eterno davanti a te. Farò grazia a chi farò grazia e avrò pietà di chi avrò pietà.” Disse ancora: “Tu non puoi vedere la mia faccia, perché nessun uomo mi può vedere e vivere.” Quindi l’Eterno disse: “Ecco un luogo vicino a me; tu starai sulla roccia; e mentre passerà la mia gloria, io ti metterò in una fenditura della roccia e ti coprirò con la mia mano, finché io sia passato; poi ritirerò la mano e mi vedrai di spalle; ma la mia faccia non si può vedere”» (Esodo 33:18-23) I verbi sono di chiara matrice antropomorfica. Non è possibile considerare in senso metaforico esclusivamente le espressioni di JHWH: «Non puoi vedere la mia faccia» - «Ti coprirò con la mia mano» - «Mi vedrai di spalle», («il mio dorso» - Mariani e Garofalo) perché un tale modo di procedere nella lettura priverebbe l’accaduto del proprio significato. Da notare che Mosè non chiede a JHWH di vederLo, perché già Lo vedeva costantemente (Numeri 12:8). La testimonianza di JHWH al riguardo è chiara: «Con lui io parlo faccia a faccia, facendomi vedere, e non con detti oscuri; ed egli immagine di JHWH guarda» (Traduzione interlineare ebraica)(Numeri 12:8). Dunque, poiché Mosè vedeva con i suoi occhi JHWH, non contento di questo, ora chiede di vederne la gloria. A questa richiesta, JHWH risponde che è impossibile vedere il Suo volto glorioso. I Testimoni di Geova e gli Ebrei citano questo brano per dimostrare che Dio non si può vedere. A parte il fatto che qui non si parla di Dio, ma di JHWH, se facciamo attenzione alla lettura, le conclusioni sono opposte. Se JHWH fosse incorporeo, cosa non poteva vedere Mosè? Se JHWH non aveva forma umana, perché Mosè non poteva vederne la faccia? Se il discorso di JHWH in riferimento alla Sua Persona,era simbolico, perché allora il divieto era reale? Un fatto è certo: Mosè non poteva vedere e questo «vedere » era riferito alla sembianza fisica gloriosa. Che una presenza corporea fosse nell’accampamento d’Israele, era evidente. Presenza, tra l’altro, assicurata da JHWH stesso. «Verrò io in persona con te.» (Esodo 33:14 - Bibbia Mariani) «La mia presenza andrà con te.» (Luzzi e Diodati) «Facce mie cammineranno» (Traduzione interlineare in ebraico) Nel prossimo studio continueremo col L’antropomorfismo di JHWH 3° parte- Dio ci benedica.
Poiché l’antropomorfismo è l’attribuire qualità umane, sia fisiche, sia intellettuali, sia morali alla divinità, nel nostro studio, usiamo questo termine in modo improprio perché, come si vedrà, JHWH possiede veramente caratteristiche fisiche, morali e organi di senso, quali udito e vista. Per correttezza morale, non è mia abitudine portare il lettore a certe conclusioni, senza prima aver fatto un certo percorso logico. Porre dei presupposti iniziali in un ragionamento, spesso, è fonte di errore, anche per il pensiero più rigoroso. Considerato, però, che in questo studio dimostreremo che JHWH, il quale è Dio, ha un corpo, la prima reazione di chi legge è pensare che le seguenti riflessioni siano infondate, poiché nel Nuovo Patto è scritto che Dio è spirito. Su questa verità non ci sono dubbi, ma è l’interpretazione di questo assioma, che difetta. Affinché ciò che andremo ad esaminare sia comprensibile, premetto ciò che prenderemo in esame dal sesto studio in poi: cioè che JHWH, il Dio dell’Antico Patto non è, come comunemente si pensa, la prima Persona della trinità, cioè il Padre, ma Cristo. Una verità questa riconosciuta anche da Calvino, nel suo primo volume dell’opera «Istituzione della religione Cristiana» (Capitolo XIII, punto 27). Poiché Gesù Cristo è Dio e, come tale, si è fatto carne (Gv1:14), ha assunto un corpo umano (1Timoteo 3:16), è stato visto e toccato, le seguenti riflessioni sono una preparazione ad accettare «il grande mistero della pietà: Dio manifestato in carne» (1Timoteo 3:16). Se nelle riflessioni teologiche si inizia a dire che Dio è spirito e non può avere un corpo, se questo è il primo messaggio che ricevono i musulmani, come possono in seguito questi, assieme ad altri religiosi di altre fedi, accettare che Dio si è fatto carne? Una chiarezza su questo aspetto farà tacere, una volta per sempre, i testimoni di Geova e tutti coloro che possiedono una divinità puramente intellettuale.
Abbiamo considerato che il nome proprio del Creatore è composto da quattro consonanti: JHWH. Il Tetragramma non è una parola, né solo un insieme di lettere, ma una Persona. Questo è il motivo, per cui l’Antico Patto non si riferisce mai a JHWH senza attribuirgli delle caratteristiche umane. Di per sé questo non è un fenomeno particolare. Le Divinità degli altri popoli semiti erano personificazioni di forze naturali e di realtà sociali: ad esse erano attribuite caratteristiche e comportamenti umani. È difficile trovare, nell’Antico Patto, un antropomorfismo che non abbia paralleli in un’altra antica letteratura semitica, anche se è significativo che certe qualità ascritte agli dèi greci (come la sessualità), non siano mai attribuite a JHWH nell’Antico Patto. Eppure, attraverso gli antropomorfismi è possibile una comprensione di Dio, altrimenti irraggiungibile mediante discorsi più astratti e raffinati. Dopo tutto, la parola umana non dispone di nessun altro mezzo, adatto a enunciare la realtà ineffabile della Divinità. Dio, attraverso la cultura dell’uomo, si esprime con concetti intelligibili aventi un senso compiuto. JHWH è Dio. Non è un Dio astratto, vago, ma è un essere che parla, vede, sente e ha contatti con gli uomini. È il Dio dell’incontro, della familiarità e che, come tale, è conosciuto. Esaminiamo una serie di versetti, tratti dalla Genesi, funzionali alla riflessione in ordine all’antropomorfismo, considerando se si tratti solo di espressioni atte a riferirsi ad una Divinità irreale, come quella dei romani o greci. «Queste sono le origini dei cieli e della terra quando furono creati, nel giorno che l’Eterno DIO fece la terra e i cieli» (Genesi 2:4) «Allora l’Eterno Dio formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito di vita, e l’uomo divenne un essere vivente. Poi l’Eterno DIO piantò un giardino in Eden, ad oriente, e vi pose l’uomo che aveva formato» (Genesi 2:7-9) «Poi l’Eterno DIO disse: Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto conveniente a lui. E l’Eterno DIO formò dalla terra tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli dei cieli e li condusse dall’uomo per vedere come li avrebbe chiamati; e in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ogni essere vivente, quello doveva essere il suo nome» (Genesi 2:18-19) «Allora l’Eterno DIO fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; e prese una parte di esso, e rinchiuse la carne al suo posto. Poi l’Eterno DIO con la parte che aveva tolta all’uomo ne formò una donna e la condusse all’uomo» (Genesi 2:21-22) Noi siamo abituati a leggere il racconto della creazione in senso figurato; sia perché pensiamo che questo accostamento non ci esponga a grossi problemi teologici, sia perché alcuni padri della chiesa hanno preferito questo tipo di lettura. Inoltre, vi è una scuola teologica, che preferisce ostinatamente ritenere i primi capitoli della Genesi come scritti per una mentalità primitiva. Ma questo è un esempio di cattiva metodologia storica, ermeneutica e teologica, perché tutta questa serie di verbi citati nei versetti risultano tipicamente adatti ad una realtà fisica concreta e non si addicono ad un Dio astratto, vago, senza alcuna corporeità. Leggere la creazione e la disubbidienza di Adamo ed Eva soltanto ed esclusivamente alla luce del linguaggio figurato, impedisce un approfondimento della teologia che sottende al brano biblico. L’antropomorfismo nel testo biblico non è mitigato o nascosto; è proprio grazie a questo «stile forte» dell’antropomorfismo che si può conoscere il Creatore, JHWH. «Tu solo sei JHWH! Tu hai fatto i cieli dei cieli dei cieli e tutto il loro esercito, la terra e tutto ciò che sta su di essa, i mari e tutto ciò che è in essi. Tu conservi in vita tutte queste cose, e l’esercito dei cieli ti adora» (Neemia 9:6) Continuiamo la nostra lettura in Genesi 3:8. «Poi udirono la voce di JHWH Elohim che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno; e l’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza di JHWH Elohim fra gli alberi del giardino» Il passeggiare, è attribuibile solo ad una persona avente una propria fisicità e non ad una entità indefinita. Purtroppo, sono addolorato nel leggere in testi di teologia, utilizzati nelle scuole bibliche, che si parla «in modo figurato di Dio, che cammina nel giardino dell’Eden con Adamo ed Eva» (6) 6 Aggiungi alla fede la conoscenza, Edizioni GBU 1994, pag 61. Continueremo L’antropomorfismo di YHWH nel prossimo studio- Dio vi benedica
Solo l’uomo è stato creato ad immagine di Dio, perché egli non è guidato esclusivamente da impulsi naturali come gli animali, ma è stato fornito di coscienza e di discernimento; cioè, è una Persona morale. La Scrittura ci presenta lo Spirito dell’Elohim non come una forza impersonale, né come un’invisibile Energia, ma come una Persona. Mi dispiace fortemente, leggere in libri di Teologia che nel «V.T. lo spirito sia considerato non un essere personale. È un principio di azione, non un soggetto.» ( Grande Commentario Biblico, Queriniana, 1974, pag.1791.)
Purtroppo questa è l’opinione di molti teologi, i quali non lo dicono tuttavia apertamente; ma, evidentemente, la mia fede è tutta un’altra cosa. Solo una persona può parlare e comunicare con un’altra: «Quindi lo Spirito di JHWH cadde su di me e mi disse: “Dì: Così dice l’Eterno: Voi dite così, o casa d’Israele, e io conosco le cose che vi passano per la mente”» (Ezechiele 11:5) «Lo Spirito di JHWH ha parlato per mezzo mio e la sua parola è stata sulle mie labbra» (2 Samuele 23:2) Solo una Persona divina può dare vita. «Così dice il Signore, JHWH, a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo Spirito e voi rivivrete» (Ezechiele 37:5) «Lo Spirito di Dio mi ha fatto e il soffio dell’Onnipotente mi dà la vita» (Giobbe 33:4) Solo una persona ha la volontà. «Dovunque lo Spirito voleva andare, andavano anch’essi» (Ezechiele 1:20) Se lo Spirito ha una volontà, può anche contendere. «E JHWH disse: “Lo Spirito mio [Ebraico: ruah mia] non contenderà per sempre con l’uomo, perché nel suo traviamento egli non è che carne…”» (Genesi 6:3) Solo una persona può aver fatto l’uomo. «Lo Spirito di Dio mi ha fatto e il soffio dell’Onnipotente mi dà la vita» (Giobbe 33:4) Solo uno persona può avere sapienza, intelligenza, consiglio, conoscenza. «Lo Spirito di JHWH riposerà su lui: Spirito di sapienza e d’intelligenza, Spirito di consiglio e di potenza, Spirito di conoscenza e di timore di JHWH» (Isaia 11:2) LO SPIRITO È DIO La Parola di Dio ci presenta lo Spirito dell’Elohim non solo come una Persona, ma come una Persona che ha le stesse caratteristiche della Deità. La testimonianza di Ezechiele al riguardo, è straordinaria. «Quindi lo Spirito di JHWH cadde su di me e mi disse: “Dì: Così dice JHWH: Voi dite così, o casa d’Israele, e io conosco le cose che vi passano per la mente”» (Ezechiele 11:5) Lo Spirito di JHWH attribuisce le proprie parole a JHWH stesso, come se questi parlasse in prima persona. Elihu afferma di essere stato fatto dallo Spirito di Dio. Senza contraddizioni, il Creatore è Dio. «Lo Spirito di Dio mi ha fatto e il soffio dell’Onnipotente mi dà la vita» (Giobbe 33:4) Lo Spirito dell’Elohim e di JHWH è, dunque, Dio. Queste conclusioni ci portano a pensare che difficilmente Israele credesse in una Divinità unipersonale e avesse, così, una teologia monoteistica assoluta. Solo nel periodo susseguente la diaspora babilonese, dopo la predicazione dei profeti, si arriverà a quel monoteismo assoluto che conosciamo anche oggi, e che contraddistinse i giudei dagli altri popoli pagani e politeisti. Molto probabilmente, gli Israeliti credevano in una Divinità espressa al plurale e che l’espressione di questa pluralità fosse in JHWH. Attraverso JHWH, l’Ebreo poteva percepire in forma sintetica la pluripersonalità di Dio nella sua unità essenziale. Ciò che sorprende nella nostra ricerca, è che JHWH non è una Divinità vaga e impersonale, ma talmente presente e reale, da vivere in stretto contatto con l’uomo.
Questo sarà il soggetto del prossimo studio. RIEPILOGO La Scrittura attribuisce alla Divinità d’Israele tre nomi: Adonaj, Elohim, JHWH. JHWH, Elohim e Adonaj, non sono sinonimi indicanti la stessa personalità divina. Solo JHWH è il vero nome proprio della Divinità d’Israele. La Parola di Dio usa una pluralità di termini per indicare lo stesso ed unico Dio. JHWH è il nome che il Creatore si è dato e che ha rivelato, per la prima volta, a Mosè. La fede dei santi dell’Antico Patto non era in un Elohim vago, ma in JHWH. Il Dio rivelato ad Israele è pluripersonale. Dio ha uno Spirito. JHWH ha uno Spirito. Lo Spirito sia di Dio, sia di JHWH, è una Persona. Gli israeliti prima della diaspora credevano in una Divinità espressa al plurale e che l’espressione di questa pluralità fosse in JHWH.
Abbiamo compreso che il Creatore ha diversi nomi: Adonaj, Elohim, JHWH. Con i nomi plurali Elohim e Adonaj, comprendiamo che in seno alla Deità vi è una pluralità, una molteplicità numerica. Ma il nome non è sufficiente per chiarire «quanta» pluralità vi sia in seno alla Divinità. L’interrogativo non è da poco e lo studioso deve essere aperto a qualsiasi possibilità, senza partire da presupposti. La Torah, oltre a manifestare l’esistenza di una pluralità di Persone nella Divinità, rivela la presenza di uno Spirito (l’ebraico ruah è un femminile). Con questo studio riprendiamo a parlare della Ruach ...ne avevo già parlato in questo studio
Spirito in ebraico
LO SPIRITO DI DIO Che la Divinità d’Israele, JHWH, sia una Persona, è una verità immediatamente percepibile; ma che vi sia lo Spirito dell’Elohim, non è così automatico. «La terra era informe e vuota e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso; e lo Spirito di DIO aleggiava sulla superficie delle acque» (Genesi 1:2) Il primo versetto della Genesi presenta l’Elohim, cioè una Divinità pluripersonale, mentre il secondo versetto presenta lo Spirito di Dio. «Mosè disse ai figli d’Israele: “Vedete, l’Eterno ha chiamato per nome Betsaleel, figlio di Uri, figlio di Hur, della tribù di Giuda, e lo ha ripieno dello Spirito di DIO, di sapienza, d’intelligenza e di conoscenza e di ogni abilità”» (Esodo 35:30-31) Mosè parla dell’Eterno e dello Spirito dell’Elohim. Nel testo citato, ci si riferisce allo Spirito di Dio come a qualcosa di fronte all’Eterno. Infatti, Mosè non dice: «Lo ha riempito del suo Spirito.» Ovviamente, ciò non significa che lo Spirito di Dio non sia lo Spirito dell’Eterno, ma il testo si esprime in un modo tale, da indurre a pensare che vi sia una certa differenza. Più di venti volte la Scrittura associa lo Spirito della Deità al nome che contraddistingue la pluripersonalità della Divinità (Elohim), utilizzando l’espressione «Spirito di Dio». Istintivamente, noi pensiamo allo «Spirito» come a qualcosa di vago, etereo e, conseguentemente, lo contrapponiamo a ciò che è «materiale». Lo Spirito dell’Elohim non è una forza impersonale della Divinità, una sostanza immateriale e invisibile, ma è una Persona della Divinità. Una Persona della Divinità, espressa al plurale. LO SPIRITO DI JHWH Se continuiamo la ricerca, cogliamo che lo Spirito di Dio non è una prerogativa unicamente dell’Elohim. Lo spirito dell’Antico Patto è anche lo Spirito di JHWH. «E JHWH disse: “Lo Spirito mio [ebraico: ruah mia] non contenderà per sempre con l’uomo, perché nel suo traviamento egli non è che carne; i suoi giorni saranno quindi centovent’anni”» (Genesi 6:3) «Ma lo Spirito di JHWH investì Gedeone che suonò la tromba… » (Giudici 6:34) «Allora lo Spirito di JHWH ti investirà e profetizzerai con loro… » (1Samuele 10:6) «… da quel giorno in poi lo Spirito di JHWH investì Davide…» (1Samuele16:13) «Lo Spirito di JHWH ha parlato per mezzo mio...» (2Samuele 23:2) Questi versetti dimostrano che gli uomini di Dio furono guidati e investiti dallo Spirito di JHWH. Anche il Messia agirà per lo spirito dell’Eterno. «Lo Spirito di JHWH riposerà su lui: spirito di sapienza e d’intelligenza…» (Isaia 11:2) «Lo Spirito del Signore, JHWH, è su di me, perché JHWH mi ha unto…» (Isaia 61:1) Con il Suo Spirito, JHWH porta avanti i suoi piani. In Isaia 30:1, abbiamo una chiara dichiarazione, nella quale JHWH afferma l’esistenza dello Spirito Divino e la partecipazione di quest’ultimo alla sua Natura. «Guai ai figli ribelli, dice JHWH, che fanno progetti che non vengono da me, che contraggono alleanze ma senza il mio Spirito, per accumulare peccato su peccato» Lo Spirito dell’Antico Patto è partecipe sia dell’Elohim, sia di JHWH. Ma chi e che cosa è questo Spirito? È una forza impersonale derivante dalla Divinità pluripersonale? Ne parleremo al prossimo studio. La sua Personalità.
La pluralità nella Torah Abbiamo un altro testo importante, in Esodo 33:18-19. «Allora Mosè disse: Deh!, fammi vedere la tua gloria! L’Eterno gli rispose: Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il nome dell’Eterno davanti a te. Farò grazia a chi farò grazia e avrò pietà di chi avrò pietà» In questo brano epifanico, la differenza è evidentissima, perché è JHWH a rispondere a Mosè, che Gli ha chiesto di manifestarsi. Egli risponde che proclamerà il Nome… di JHWH, quasi si trattasse di una terza persona! È da notare che JHWH si sta esprimendo in prima persona singolare (Io!), ma conclude la teofania in terza persona! Si potrebbe pensare che, parlare di se stessi in terza persona, sia questione di cultura del popolo d’Israele, ma l’Eterno si pronuncia anche in prima persona. (vedi Levitico 7:14; 23:1 e 10; 25:118, 42, 54. Tutto il capitolo 26) «L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Di’ ad Aaronne e ai suoi figli che si astengano dalle cose sante a me consacrate dai figli d’Israele e non profanino il mio santo nome. Io sono l’Eterno. Di’ loro: Qualunque uomo della vostra stirpe che nelle future generazioni si avvicinerà in stato di impurità alle cose sante che i figli d’Israele consacrano all’Eterno, sarà sterminato dalla mia presenza. Io sono l’Eterno”» (Levitico 22:1-3) «I sacerdoti osserveranno dunque ciò che ho comandato, altrimenti porteranno la pena del loro peccato e moriranno per aver profanato le cose sante. Io sono l’Eterno che li santifico» (Levitico 22:9) Tutto il libro del Levitico si presenta in questa forma. È JHWH che parla in prima persona riferendosi a JHWH, o a Elohim in terza persona. Nel capitolo 22, troviamo l’ordine di «offrire all’Eterno» per tre volte (versetti 22, 24, 29), al quale fa seguito la seguente conclusione: «Osserverete dunque i miei comandamenti e li metterete in pratica. Io sono l’Eterno. Non profanerete il mio santo nome, ma sarò santificato in mezzo ai figli d’Israele. Io sono l’Eterno che vi santifico, che vi ha fatto uscire dal paese d’Egitto per essere vostro DIO. Io sono l’Eterno» (Levitico 22:31-33) Qualcuno ha fatto notare che nel libro del Levitico abbiamo 310 citazioni di JHWH, ma non è mai citato né Elohim, né Adonaj. Questa peculiarità potrà essere un ulteriore tema di studio. Leggiamo ancora nel libro Numeri. «L’Eterno parlò ancora a Mosè e ad Aaronne, dicendo: “Questo è lo statuto della legge che l’Eterno ha comandato, dicendo: Di’ ai figli d’Israele che ti portino una giovenca rossa, senza macchia, senza difetti, e su cui non è mai stato posto alcun giogo”» (Numeri 19:1-2) «Poiché io do come eredità ai Leviti le decime che i figli d’Israele presenteranno all’Eterno come offerta elevata; per questo ho detto loro: “Non avranno alcuna eredità tra i figli d’Israele”» (Numeri 18:24) «L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Da’ quest’ordine ai figli d’Israele e di’ loro: Avrete cura di presentarmi al tempo stabilito la mia offerta, il cibo dei miei sacrifici fatti col fuoco, come odore soave a me”. E dirai loro: “Questo è il sacrificio fatto col fuoco, che offrirete all’Eterno: due agnelli al giorno di un anno senza difetti, come olocausto perpetuo”» (Numeri 28:2-3) «Allora l’Eterno scese in una colonna di nuvola, si fermò all’ingresso della tenda e chiamò Aaronne e Miriam; ambedue si fecero avanti. L’Eterno quindi disse: “Ascoltate ora le mie parole! Se vi è tra di voi un profeta, io, l’Eterno, mi faccio conoscere a lui in visione, parlo con lui in sogno. Ma non così con il mio servo Mosè, che è fedele in tutta la mia casa. Con lui io parlo faccia a faccia, facendomi vedere, e non con detti oscuri; ed egli contempla la sembianza dell’Eterno. Perché dunque non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosè?”» (Numeri 12:5-8) Quest’ultimo versetto è di un’evidenza macroscopica. È l’Eterno a riprendere Maria e Aaronne, dicendo che Mosè vede la sembianza di JHWH. Come interpretare la testimonianza di JHWH, riferita a Mosè, il quale parlava «con lui a faccia a faccia facendosi vedere»? È una espressione simbolica, o reale? Quando Mosè parlava con JHWH, Lo vedeva veramente faccia a faccia? Tenendo presente che «l’Eterno parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico» (Esodo 33:11) e considerando che, nella lingua originale, l’espressione «faccia a faccia» è la stessa usata in relazione all’episodio nel quale Sedekia parla con il re di Babilonia (Geremia 32:4), essa deve essere considerata in senso letterale. Quando considereremo l’antropomorfismo di JHWH, svaniranno i dubbi sull’interpretazione di tale affermazione. Di fronte a questa struttura della Torah, non rimane che accettare la realtà dell’esistenza di una pluralità in seno alla Divinità d’Israele. Abbiamo rimarcato abbastanza la stranezza del periodare del redattore riguardo al soggetto Dio, utilizzando la prima persona e/o la terza persona. Non possiamo esaminare tutta la Torah, perché ciò porterebbe via molto spazio, perciò termineremo qui le nostre valutazioni. Alla fine di questo studio, qualcuno potrebbe far notare che anche nel nostro linguaggio usiamo espressioni simili a quella della Torah. Un padre dice al figlioletto: «Il papà domani andrà a lavorare.» Il padre usa la terza persona per parlare di se stesso. Valutazione più che giusta, ma ciò non fa che confermare ciò che abbiamo considerato. Rivolgendosi al figlio, il padre si rivela non mediante il proprio nome, ma tramite il termine che ne determina la funzione nella relazione con il figlio; come JHWH, parlando di se stesso, afferma d’essere Dio. Se poi il vocabolo che rivela JHWH non fosse rivolto a se stesso, ma a qualcun altro, essendo quest’ulteriore soggetto definito a sua volta Dio, avremmo una più evidente dimostrazione dell’esistenza di una pluripersonalità nel divino.
Sezione del Pentateuco in ebraico, British LibraryOriental MS. 4.445, contenente la Massorah Magna e Parva. Questo passo contiene Esodo20:1-5. La struttura dei dialoghi nella Torah non può essere paragonata al plurale majestatis, perché questo è posteriore di almeno milleduecento anni ai dialoghi narrati dalla Torah. Poiché questa struttura è rappresentata dalla prima persona plurale usata, in luogo della prima singolare, da personalità di grande importanza nei discorsi ufficiali, qualcuno potrebbe correttamente far notare che non esista personalità di grado maggiore a Dio stesso; ma il fattore storico non può assolutamente essere sottovalutato perché gli studiosi annotano la presenza dell’uso di tale forma grammaticale già nell’antica Roma, ma non parlano di tempi antecedenti. Considerato che la fondazione della città eterna risale circa al 509 a.C., mentre l’esodo del popolo ebraico guidato da Mosè e la successiva elargizione del decalogo da parte di JHWH avvennero circa nel 1290 a.C., si evince in modo tangibile l’impossibilità dell’impiego di una tale struttura grammaticale nel pentateuco. Non abbiamo preso in esame nessun passo del libro della Genesi. Due soli versetti, possono fare da cornice alle nostre riflessioni. «E l’Eterno disse: “Celerò io ad Abrahamo quello che sto per fare poiché Abrahamo deve diventare una nazione grande e potente e in lui saranno benedette tutte le nazioni della terra? Io infatti l’ho scelto, perché ordini ai suoi figli e alla sua casa dopo di lui di seguire la via dell’Eterno, mettendo in pratica la giustizia e l’equità, perché l’Eterno possa compiere per Abrahamo ciò che gli ha promesso”» (Genesi 18:17-19) «Allora l’Eterno fece piovere dal cielo su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco, da parte dell’Eterno» (Genesi 19:24) Il redattore nella Genesi descrive gli eventi di JHWH, attribuendoli ad un altro, a… JHWH. JHWH è sia il mandante sia l’esecutore dei fatti. Questo particolare, apparentemente oscuro, non deve sfuggirci, perché troveremo chiarezza quando studieremo la presenza di Cristo nell’Antico Patto. La struttura della Torah, invece, oltre a recepire quest’aspetto, inserisce in Esodo, Levitico, Numeri, un altro soggetto plurale che è Elohim. Senza questa chiara prospettiva, non è possibile comprendere le Scritture del popolo ebraico e la pluripersonalità della Deità dei cristiani. Dopo queste considerazioni, continuiamo l’avvincente ricerca sul testo biblico, consapevoli che la lettura sarà ricca di chiarezza e di nuove prospettive teologiche e spirituali.