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La predestinazione 2°parte







Che l'uomo sia libero di scegliere o rifiutare, è dimostrato pure nella parabola delle nozze, dove l'invito era rivolto a tutti, ma alcuni non vollero andare (Matteo 22:3). Anche nella lettera agli Ebrei viene ricordato che la buona novella era stata udita da tutti ma la parola della predicazione non giovò nulla perché non fu assimilata per fede (Ebrei 4:2). Giovanni sottolinea nel suo Evangelo, che Dio ha amato il mondo, cioè tutti noi, per i quali Egli ha dato il suo Figlio, affinché chiunque crede abbia la vita eterna. Ma la condanna è questa: l'uomo ha amato, preferito, o scelto, le tenebre più della luce. Ora il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce, perché le loro opere erano malvagie (Giovanni 3:17). Così, proprio da questa sua assolutamente libera scelta, l’uomo elegge la propria condanna (Giovanni 3:17). E se aggiungiamo le parole di Gesù quando disse che "il cuore di questo popolo si è fatto insensibile: sono diventati duri d'orecchi e hanno chiuso gli occhi, per non rischiare di vedere con gli occhi e di udire con gli orecchi, e di comprendere con il cuore e di convertirsi, perché io li guarisca" (Matteo 13.15), non vi sono dubbi sulla responsabilità umana. Gli occhi non sono stati chiusi da Dio, ma nella loro libertà gli uomini li hanno chiusi. Se Dio ordina all'uomo di amare e di credere, significa che egli sia libero anche di non amare e di non credere. In caso contrario il comandamento non avrebbe senso. La salvezza e la condanna eterna, sono il risultato di una scelta da parte dell'uomo.

- Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati! Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! (Matteo 23.37)

- Uomini di collo duro ed incirconcisi di cuore e di orecchi, voi resistete sempre allo Spirito Santo; come fecero i vostri padri, così fate anche voi. (Atti 7.51)

Dio tratta l'uomo peccatore come un interlocutore responsabile, perciò ripetutamente invita ed esorta gli uomini a decidere per la loro sorte eterna. Nel momento in cui non decidono, hanno già deciso. (Luca 11.23) L'armonia scritturale non ci permette altre conclusioni.

 

E' vero che troviamo scritto nella Parola di Dio che Gesù è venuto per portare i peccati di molti (Ebrei 9:28; Matteo 20:28), e per questo alcuni sono rimasti sconcertati dalla natura apparentemente restrittiva di questa espressione, dando così l'impressione che il suo sacrificio non sia stato compiuto per tutti. Questi passi non fanno altro che confermare ciò che abbiamo già valutato: Gesù "ha dato sé stesso come prezzo di riscatto per tutti" (1Timoteo 2:6). Dio non imputa più a tutti gli uomini i loro falli; ma il suo sacrificio è valevole solo per coloro che lo accettano. L’espressione "molti" non è esclusiva (molti, ma non tutti), ma inclusiva (la totalità consistente di molti). In questo senso gli scrittori, ispirati dallo Spirito Santo, affermano che Gesù è morto "per molti".

Quando Gesù dice che il suo sangue è sparso "per molti", non significa solamente per qualcuno, ma per la moltitudine, malgrado il suo gran numero". (Alfred Kuen – Come interpretare la Bibbia – IBE-EDIZIONI. Febbraio 1997, pag 24) 

 

Un esempio, può aiutare a comprendere meglio quest'ultimo aspetto. Nel 1943 i militari tedeschi, in seguito ad una rappresaglia da parte dei partigiani, presero 22 ostaggi innocenti con la minaccia di fucilarli, affinché il vero colpevole, si costituisse. Un vicebrigadiere dei carabinieri, di nome Salvo D'Acquisto, si accusò, pur innocente, come unico responsabile dell'atto di sabotaggio. Gli ostaggi furono liberati; ma se qualcuno avesse rifiutato il sacrificio del vicebrigadiere, il nobile gesto del milite sarebbe stato inutile a salvargli la vita. In questo modo, si sarebbe potuto affermare che Salvo D'Acquisto era morto per molti, anche se il suo sacrificio era stato valevole per tutti. Oppure, per chi sia in grado di afferrare anche il contrario, Salvo D'Acquisto era morto per tutti, anche se il suo sacrificio era stato efficace solo per molti. Un’affermazione non esclude l’altra, poiché tutte e due sostengono la stessa verità: il sacrificio di Salvo D'Acquisto è valso per tutti, ma reso operante solo per chi lo ha accettato. Così, anche se la capacità insita nell’espiazione di Cristo è infinita, la sua efficacia raggiunge soltanto coloro che l’accettano per fede. Come disse qualcun altro: "Il raggio d'applicazione dell'opera redentrice di Cristo non è determinato da una delimitazione della sua efficacia ad un numero predeterminato di eletti, bensì è potenzialmente universale. Il fattore determinante che ne delimita l'applicazione è il rifiuto di alcuni di credere."

 

Perché alcuni credono altri no? Non vi è forse un disegno divino eterno già predeterminato prima della fondazione del mondo? Sono domande più che invitabili, e alle quali si può rispondere con molti ragionamenti umani, ma un'altra domanda può aiutare a rispondere: "Perché chi ode il vangelo non lo comprende, mentre per altri porta molto frutto?" Secondo Gesù perché uno non la comprende, un altro perché è scandalizzato, un altro ancora perché è soffocato dall'inganno e dalle ricchezze di questo mondo, mentre un quarto la ritiene in un cuore onesto e buono e porta frutto con perseveranza. (Luca 8.12-15) Difficile dire, se non impossibile, che tutto questo sia il risultato di un disegno inevitabile divino eterno già predeterminato, perché l'esistenza umana sarebbe tutto una messa in scena di una commedia, o tragedia, alla quale l'uomo deve ubbidire incondizionatamente. Se così fosse, quando un giovane dice ad una ragazza: "Ti amo", o lo dice un genitore al figlio, la ragazza e il figlio dovrebbero prendere tale espressione proveniente da un programma di un computer.        

 

Non si può ignorare il pensiero di chi riflette diversamente. Ecco uno stralcio sul tema "La gestione del nostro orgoglio" di Maurice Roverts apparso su "Passaggio" di aprile 2004.

"La nuova nascita non è altro che l’esercizio di una benevola pulsione dell’infinita energia di Dio che agisce all’interno del caos delle facoltà decadute dell’uomo al fine di ricomporle, di massima, a ciò che erano prima della Caduta. La nuova nascita precede la fede in noi. Dichiarare, come in molti hanno fatto, che per essere salvati dobbiamo credere è un’assurdità, sarebbe come dire che una lampadina deve accendersi prima che l’interruttore sia girato. Nell’uomo non è la fede l’energia che produce la nuova nascita e non rappresenta neppure la condizione che Dio richiede per compiere la Sua potente opera. Al contrario, la fede è l’evidenza che la nuova nascita è già avvenuta nell’animo umano. In questo senso fu scritto "…non viene da noi; è un dono di Dio (Efesini 2:8). E impossibile che la fede esista prima che Dio faccia rivivere l’anima perché la fede è un atto dell’anima vivificata. La fede, come altre grazie dell’evangelo, è, nell’uomo, il frutto dello Spirito antecedente l’azione. Definire la fede come un’azione possibile al peccatore non ancora salvato significa conferire con onnipotenza dignità alla volontà decaduta dell’uomo e, nello stesso tempo, insultare Dio nostro Signore. Questa è la teoria della nuova nascita, ed elementare per un cristiano correttamente istruito, ma non è così elementare o facile per lui comprendere come questa dottrina operi".

Secondo questo modo di interpretare il piano della salvezza di Dio per l’umanità, l’individuo sarebbe totalmente depravato da non essere in grado di scegliere la grazia di Dio. Bisogna fare molta attenzione all’uso di quest’espressione ed attribuirle solamente il suo significato originale. "Depravazione totale" definisce il fatto che il principio del male ha invaso ogni parte della natura umana, con il risultato di non esservi ora alcuna parte di essa che possa agire o pensare rettamente. Questo è vero. Il rilievo posto dal calvinista sul fatto che la salvezza dipenda unicamente dalla grazia di Dio, corrisponde indubbiamente alla verità. Questo però non toglie all’uomo la responsabilità di rispondere al vangelo della grazia. Anche perché vi è una verità antropologica che non deve essere dimenticata. L'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, e in nessuna parte della Bibbia, dopo il peccato di Adamo, è scritto che tale immagine sia stata cancellata, né totalmente, né parzialmente. In definitiva, vi è la sovranità di Dio che vuole che tutti gli uomini siano salvati perché Cristo è morto per tutti, ma vi è altresì la responsabilità di ubbidire all’impulso dello Spirito Santo. Come disse Bernardo di Cleirvaoux: "Togli via la volontà libera e non vi sarà più nulla da salvare; togli via la grazia e non vi sarà nulla con cui salvare". 

 

Inoltre, dobbiamo sempre ricordare che una verità posta all’estremo diventa una eresia. Secondo il calvinismo se "la nuova nascita precede la fede", se "la fede è l’evidenza che la nuova nascita è già avvenuta nell’animo umano", non si è più salvati mediante la fede, ma per elezione, e questo non può nel modo più assoluto essere accettato perché va contro il grande principio evangelico che siamo salvati per grazia, mediante la fede. Il principio base del Calvinismo lo esprime molto bene Benjamin B. Warfield nel libro "Il piano della salvezza", Alfa & Omega, 2001. "Calvinista è chi ritiene, in piena coscienza, che il Signore Iddio, nelle sue azioni salvifiche, non si occupi dell’umanità in senso generale, ma solo dei particolari individui che sono effettivamente salvati. E’ questo l’unico e solo modo per rendere piena giustizia e diritto sia al cristianesimo propriamente detto… sia all’evangelicalismo". Perciò, sono solo coloro che sono già effettivamente salvati, cioè predestinati, che hanno la grazia di ricevere le azioni salvifiche di Dio.  

In merito poi a ciò che è scritto in Efesini 2:8-9 occorre rilevare un errore di interpretazione da parte dei calvinisti. Il testo è il seguente. Voi infatti siete stati salvati per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio, non per opere, perché nessuno si glori. Da una lettura attenta, il dono di Dio al quale Paolo si riferisce non è la fede, come se questa sia data ad alcuni e ad altri no, ma è l’essere salvati per grazia per mezzo della fede che è un dono di Dio. Perciò, la salvezza è una dono perché non è per opere, ed è pure un dono perché occorre solo un atto di fede. Affermare poi che la fede sia un dono distribuito da Dio solo ai predestinati è molto difficile accettarlo dato che anche i demoni hanno fede (Giacomo 2:19).

 

Infine, il pensiero di sottofondo nel messaggio della predestinazione delle chiese riformate è che la salvezza si ottenga mediante le opere. Dato che si è salvati mediante una elezione, come posso sapere di essere stato predestinato alla salvezza? Vi è solo una risposta: mediante la santificazione o "perseveranza dei santi". Questa è la ragione dell’insistenza dei calvinisti di essere santi come dimostrazione di essere stati eletti. Che un figlio di Dio si debba santificare è una verità lapalissiana, ma una cosa è il desiderio di santità come risposta all’amore di Dio di essere stati già salvati (Romani 12:1-3), altra è santificarsi per accertarsi o come conferma dell’elezione. Le opere di coloro che si credono predestinati hanno un fine, mentre chi crede di essere stato salvato per fede, le opere sono una risposta all’amore di Cristo (2Corinzi 5:14-15). Per i calvinisti la base della certezza della salvezza non sono le promesse di Dio, ma i loro frutti spirituali. Questo li allinea con ogni forma di religione, compresi i cattolici e Testimoni della Torre di Guardia i quali sperano di essere salvati per opere. Infatti, molti calvinisti vengono agitati dal dubbio e dalla paura di non essere stati predestinati. Come disse qualcuno: "Il calvinismo ha una notevole quantità di argomentazioni teologiche confuse".

 

Se in merito a questo tema si aggiunge, per concludere, la riflessione di Danilo Valla, l’argomento della predestinazione viene chiuso definitivamente.

"Il termine italiano predestinazione viene dal latino Predestinatio, usato da Gerolamo per tradurre in latino il termine greco pro-orizo, che non ha nessuna connotazione collegata al destino o al fatto di "destinare qualcuno a un compito o a una particolare situazione". Pro vuol dire "prima", e orizo (dal quale deriva l’italiano "orizzonte"), vuol dire "delineare", "segnare un confine". Il problema della predestinazione è un falso problema, introdotto da Gerolamo e portato all’estremo dai calvinisti. Romani 8.29-30 andrebbe tradotto così "Egli che li ha preconosciuti, li ha separati perché fossero conformi all’immagine del suo Figlio… e quelli che ha separati sono quelli che ha chiamato, che ha giustificato, che ha glorificato". (Il libro del 2006 – Danilo Valla – Domenica 29 gennaio)

Con questa visione del termine predestinazione, ci si accorge che alla fine le opinioni dei calvinisti sono castelli di sabbia.

 

In conclusione, possiamo affermare che il soggetto della predestinazione è un bellissimo argomento, perché ha lo scopo di dare certezza quanto al destino glorioso del cristiano. Infatti, la predestinazione non riguarda propriamente la salvezza, ma le conseguenze di essa, l'obiettivo ai quali sono stati destinati i figli di Dio. E la conseguenza di una data azione non si sceglie. Se davanti a me ho un bicchiere di latte e di veleno sono libero di scegliere cosa bere, ma non sono libero di scegliere le conseguenze della mia scelta. Se berrò il veleno sono predestinato a morire, se berrò del latte sono predestinato a nutrirmi. Se l’Eterno Dio mi ha predestinato (sia nel senso destinato prima, sia ne senso separato) prima della fondazione del mondo a farmi Suo figlio e Suo erede, a rendermi conforme all'immagine di Cristo, a conoscere la sua volontà, io adoro e benedico il mio Signore per la predestinazione.


Un buon contributo a questo argomento si trova su "Il Cristiano" di Gennaio 1999.

Altri accenni utili in "L’epistola agli ebrei di Thomas Hewitt, edizioni GBU- Febbraio 1986, pag74, 75, 81, 96

Per la posizione calvinista il numero 17 di "Studi di teologia" – anno IX e "Il piano della salvezza", Benjamin B. Warfield, Alfa & Omega, 2001.

La predestinazione 1°parte

 










La predestinazione

Il soggetto della predestinazione è un bellissimo argomento; ma il Diavolo, spesso, lo trasforma in un problema per turbare la vita dei figli di Dio. Vi sono vari modi per affrontare l'argomento della predestinazione: leggere e studiare che cosa altri hanno esposto su quest’argomento, e poi pronunciarsi su ciò di cui si è più convinti; oppure, lasciare da parte ogni interpretazione, più o meno giusta, e leggere e rileggere la Parola di Dio, chiedendo a Lui la luce per comprendere i Suoi propositi. Nell'esporre quanto dirò, seguo la seconda strada; anche, perché mi sembra la più saggia. Un giorno, un giovane andò in una capitaneria di porto, e chiese di guidare un traghetto che faceva servizio lungo un fiume. Il capitano del traghetto gli chiese se conosceva tutti gli scogli, e i luoghi, dove l'acqua era bassa. Il giovane rispose: "No, ma so dove non ci sono ostacoli, e passo di lì". Il capitano l'assunse. Molti credenti, forse, conoscono i vari ostacoli intorno all'argomento della predestinazione, forse conoscono varie interpretazioni; ma ne conosco pochissimi che, messisi in preghiera davanti a Dio, avendo chiesto a Lui la sapienza, abbiano ricevuto, in seguito, una chiara rivelazione intorno a quest’argomento.

 

Perché, l'argomento della predestinazione, diventa un problema per molti credenti?

            a) Il principale motivo, a mio avviso, è perché troppe persone ne parlano in modo sbagliato. Per alcuni, la predestinazione non è altro che la scelta di Dio di compiere ciò "che Egli prevede che l'essere umano metterà in atto". Ma, tale opinione, presenta molte lacune.

            b) La seconda ragione è che, parlando di predestinazione, vi sono dei pregiudizi. Infatti, ad una domanda su questo argomento, ho sentito rispondere: "Per comprendere il tema della predestinazione, bisogna essere in cielo", oppure: "La predestinazione è un mistero". Con questo pregiudizio, è chiaro che si precluda la possibilità di ottenere una risposta.

c) La terza ragione, proviene dalla parola stessa "predestinazione". Essa deriva dalla parola greca Prohorizo, cioè predestinare, decidere prima, decidere in antecedenza. Questo verbo, quindi, implica la sovranità di Dio il quale decide ogni cosa, indipendentemente dal volere dell'uomo. Anche quest’aspetto è da collocare nel giusto posto.

 

Che Dio sia sovrano, che regni, e faccia ciò che vuole, sia in cielo sia in terra, è una verità lampante nella Scrittura (Salmo 115:3 e Daniele 4:34-35). E' Dio che decide per l'uomo, se questo debba nascere alto o basso, bianco o nero; se nascere in una famiglia ricca o povera; se nascere in campagna o in città; se nascere sano o malato, ecc... Il credente accetta tutto questo, perché si è sottomesso alla sovranità di Dio il giorno stesso nel quale è diventato un Suo figlio. Ma, quando questa sovranità si applica al piano dalla salvezza dell'uomo, espressa nel concetto "che Dio è sovrano nella creazione", l'argomento posto in questi termini interessa ognuno di noi. E non sono pochi coloro che rimangono turbati o perplessi.

Prima di entrare nel merito dell'argomento valutiamo quali, e quanti, siano i passi della Scrittura, che si riferiscono alla predestinazione. Sono esattamente sei: due in Romani, due in Efesini, uno in Corinzi e uno in Atti. E' da tenere presente che non tutte le Bibbie traducono dal greco la parola Prohorizo con la parola predestinazione. Ecco per esteso i versetti.

1) Efesini 1:5 - " ...avendoci predestinati nel suo amore ad essere adottati per mezzo di Gesù Cristo".

2) Efesini 1: 11 - "In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della sua volontà".

3) 1Corinzi 2:6-8 - " ...ma esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria".

4) Romani 8:29 - " Perché quelli che ha preconosciuti li ha pure predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo".

5) Romani 8:30 - "E quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati".

6) Atti 4:28 - "...per fare tutte le cose che la tua volontà e il tuo consiglio avevano predestinato che avvenissero".

Prima di spiegare questi passi, occorre fare una premessa.

Quando, nella Scrittura vi sono asserzioni per noi difficili da comprendere, è saggio interpretarle alla luce delle verità più evidenti, e le conclusioni alle quali giungiamo non devono essere contraddittorie. Per esempio, leggendo: "la donna sarà salvata partorendo figli" (1Timoteo 2:15), qualsiasi interpretazione dessimo a questa locuzione, essa non deve demolire la dottrina della salvezza per grazia mediante la fede. Infatti, Paolo afferma, semplicemente, che la donna eviterà molti errori accudendo ad una famiglia. Oppure, leggendo: "la donna deve stare in silenzio" (1Timoteo 2:11-12), qualsiasi interpretazione attribuissimo al testo, non ci potrà in ogni modo permettere di togliere alle donne la possibilità di pregare o profetizzare (1Corinzi 11:5). Così, prima di interpretare i testi menzionati precedentemente, leggiamo ciò che afferma la Scrittura riguardo alla salvezza.

a) Giovanni 6:40 - Gesù disse: "Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che chiunque viene alla conoscenza del Figlio e crede in Lui abbia vita eterna".

b) 1Timoteo 2:1-4 - Paolo scrive "..Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati, e che vengano alla conoscenza della verità".

c) 2Pietro 3:9 - Pietro scrive "Il Signore...è paziente verso noi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti vengano a ravvedimento".

Queste tre asserzioni, fatte da tre persone diverse, hanno in comune un concetto, che esprime tre verità indiscutibili:

1) Si parla della volontà di Dio.

2) Questa volontà è per tutti gli uomini.

3) Questa volontà, per tutti gli uomini, è che siano salvati.

Quindi, per quanto riguarda la salvezza Dio non fa differenze, né distinzioni per nessuno. "..la luce vera, che illumina ogni uomo che viene nel mondo (Giovanni 1:9).

 

Fatta questa premessa, prendiamo in esame i testi in questione. La più elementare domanda per una corretta interpretazione biblica, è chiedersi a chi siano rivolte queste affermazioni. E' proprio per questa elementare regola dell'ermeneutica che i seguaci della "Torre di guardia", e del cattolicesimo, hanno commesso un errore fondamentale nella loro fede. Infatti, i Testimoni della Torre di Guardia quando leggono in Isaia "voi siete i miei testimoni" (43:10), attribuiscono questa asserzione a loro stessi, ma dimenticano che tale promessa è rivolta agli ebrei. Così, i religiosi cattolici romani quando leggono che Gesù disse a Pietro: "Tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra sarà sciolto nei cieli" (Matteo 16:19), interpretano che a Pietro sia stata data una particolare autorità. Dimenticano però che Gesù rivolse le stesse parole a tutti gli uomini (Matteo 18:18); e che questa frase sia citata nel contesto di una relazione personale con il prossimo.

 

Rileggendo quindi i versetti che si riferiscono alla predestinazione, notiamo che quattro di essi sono rivolti ai credenti, uno si riferisce al mistero di Dio, e uno è riferito a Cristo.

Il passo riferito a Cristo è quello degli Atti. Luca riconosce che le sofferenze di Cristo fossero state predestinate da Dio, prima che Egli nascesse. Ciò si accorda con le riflessioni sopraccitate: Dio predestina certe tappe della vita di ogni uomo. Infatti, Salomone ebbe una vita più pacifica che suo padre Davide. Il passo degli Atti non costituisce un problema per ciò che riguarda la salvezza o la perdizione dell'uomo.

In Corinzi, la parola predestinazione non interessa gli individui, ma il mistero che Dio ha voluto rivelare al momento opportuno.

La seconda volta in cui Paolo usa la parola predestinazione nella lettera ai Romani, è per mettere in evidenza che Dio chiama coloro che sono già predestinati. Anche questo testo, quindi, non serve per la ricerca del nostro studio. A questo punto notiamo che i passi in questione per affrontare l’argomento della predestinazione, SONO SOLAMENTE TRE.

 

Poiché i restanti tre versetti sono rivolti a dei salvati, a dei figli di Dio, la seconda domanda che sorge spontanea è: "A che cosa sono stati predestinati i figli di Dio?".

In Efesini 1:5 sono stati "predestinati a essere adottati";

In Efesini 1:11 sono stati "predestinati a essere eredi";

In Romani 8:29 sono stati "predestinati a essere conformi all'immagine di Cristo".

Nulla che abbia a che fare con la salvezza, o la perdizione dell’anima.

Ecco, quindi, le conclusioni che possiamo trarre.

Dopo esserci chiesti quante volte la parola predestinazione si trovi nella Parola di Dio, e a chi fossero rivolte le promesse, ed il loro contenuto, possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che:

1) Nella Parola di Dio, la predestinazione non è mai riferita alla salvezza e tantomeno alla perdizione dell'uomo.

2) Non esiste una doppia predestinazione, Non vi è un solo passo della Scrittura, dove si affermi che Dio abbia predestinato alcuni uomini alla perdizione. Dio non ha prenotato dei posti, né in cielo, né all'inferno.

3) Non esiste passo biblico che indichi che l’uomo è incapace di percepire la chiamata di Dio e di rispondere ad essa.

4) La parola predestinazione è applicata, eccetto che per la vita di Cristo, e per il piano di Dio, solo a dei credenti.

5) Dio ha predestinato i credenti, che lo vogliano o no, a certe benedizioni eterne, quali: diventare figli di Dio, essere eredi, essere conformi a Cristo, a conoscere la sapienza di Dio.

6) Sostenere che Dio abbia predestinato alcuni uomini alla perdizione, o alla salvezza, è elaborare un discorso che vada oltre le intenzioni degli autori biblici. E' applicare un termine in modo errato. Sarebbe come voler applicare la parola "santificazione" a coloro che non sono cristiani, o la parola glorificazione a dei demoni. E questo, a mio avviso, è l'errore fondamentale di interpretazione, a causa del quale si giunge a conclusioni che non sono neppure sfiorate nella Parola di Dio.

 

Non è quindi la parola "predestinazione", e tutto il pensiero conseguente, a creare difficoltà. La responsabilità di aver reso questa parola tristemente famosa per la sua problematica, è da imputare a coloro che le fanno dire ciò che essa non stabilisce. Lo studio della predestinazione non presenterebbe alcuna possibilità di errore, se l'inconcepibile e ridicolo pregiudizio dei teologi di ogni tempo non lo avesse imbrogliato, rendendolo tanto irto di difficoltà al punto che la maggior parte dei cristiani indietreggia impaurita. Sono convinto che se nel corso della storia, i cristiani avessero applicato la parola "predestinazione" correttamente, la chiesa avrebbe lodato e adorato Dio, anziché cadere in tristi dispute e nocive divisioni.

Che il sacrificio di Cristo sia valevole per tutti, lo afferma, categoricamente, anche Giovanni nella sua prima lettera: "Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo" (1Gv 2:1-2). "Queste parole", scrive John Stott, "non possono essere forzate così da significare che tutti i peccati sono automaticamente perdonati per la propiziazione di Cristo, ma che un perdono universale è offerto per i peccati di tutto il mondo intero ed è goduto da coloro che ne colgono l'opportunità". Se Dio facesse preferenze per la salvezza, dovremmo concludere che il messaggio dell'Evangelo non è per tutti gli uomini, non è più universale, perché non tutti sarebbero chiamati alla salvezza. La salvezza è considerata, nella Parola di Dio come un'offerta che Egli fa a tutti gli uomini; e questi sono liberi di accettare o rifiutare. E’ difficile se non impossibile spiegare come possa la volontà dell’uomo essere veramente libera per quanto concerne l’accettazione o il rifiuto del vangelo della grazia, se Dio ha preordinato un tipo di elezione alla salvezza che prescinda dalla responsabilità dell’uomo. Se non ci fosse questa libertà, Dio non si rivolgerebbe all'uomo in termini di scegliere o di volere ((Deuteronomio 30:19; Giovanni 5:40; Matteo 23:37); e non sarebbe dispiaciuto della morte dell'empio (Ezechiele 8:23 e 32; Ezechiele 33:11). Gesù disse: "Voi investigate le Scritture, perché pensate di aver per mezzo di esse vita eterna; ed esse sono quelle che testimoniano di me. Ma voi non volete venire a me per avere la vita" (Giovanni 5:40). Gesù non disse a coloro che lo ascoltavano che erano predestinati alla perdizione, ma mise in evidenza la loro responsabilità del rifiuto.

                    ...............Continua..........

Qual'è la nostra condizione?
















Come mai non tutti hanno la stessa fede, lo stesso, zelo, lo stesso amore, nonostante che lo Spirito Santo non faccia differenze nella sua opera? 

Certamente vi sono delle ragioni oscure, nascoste alla nostra conoscenza, ma vi sono pure delle ragioni che noi possiamo conoscere. 

Sono queste che desidero considerare. 

Secondo la Scrittura non tutto si ottiene in modo automatizzato. 

Vi sono benedizioni che Dio dona a tutti gli essere umani gratuitamente come il sole, la pioggia, ma vi sono molte benedizioni che sono condizionate dal nostro comportamento. E per questo, noi non abbiamo benedizioni perché non vi sono i giusti presupposti o le condizioni per cui possiamo riceverle. Alcune domande possono aiutarci a riflettere riguardo alle condizioni per ottenere certe benedizioni di Dio. 

1) Qual’è una condizione per conoscere Dio? 

2) Qual’è una condizione per entrare nel regno di Dio? 

3) Qual’è una condizione per conoscere la volontà di Dio? 

4) Qual’è una condizione per essere esauditi nelle preghiere? 

5) Qual’è una condizione per essere perdonato da Dio?

 6) Qual’è una condizione per essere discepolo di Gesù?

 7) Qual’è una condizione per essere felice? 

Simili domande potrebbero far pensare che anche la salvezza sia il risultato di un’opera, ma se anche la salvezza si ottiene solo mediante un atto di fede, non è così per tutto il resto. 

Sta scritto che chi pratica la verità viene alla luce, perciò le nostre opere buone sono i presupposti per ricevere le cose che appartengono a Dio.


1)  Qual’è una condizione per conoscere Dio?

Nel profondo del cuore di ogni uomo dimora il desiderio di conoscere il suo Creatore. 

Lo dimostra il fatto che molti passano da una religione all’altra, mentre altri ancora sono religiosi ma hanno dentro si sé un vuoto incolmabile. 

Vi sono persone che si aspettano di conoscere Dio come si aspettano di innamorarsi; pensano che ciò gli capiti all’improvviso in modo distratto.

 Ma non è così. 

La riflessione che ne fa il libro dei Proverbi dovrebbe sempre essere tenuta in considerazione. "Figlio mio, se ricevi le mie parole e fai tesoro dei miei comandamenti, prestando orecchio alla sapienza e inclinando il cuore all' intendimento; sì se chiedi con forza il discernimento e alzi la tua voce per ottenere intendimento, se lo cerchi come l'argento e ti dai a scavarlo come un tesoro nascosto, allora intenderai il timore dell'Eterno, e troverai la conoscenza di DIO (Proverbi 2:1-5).

Dunque, Dio non si conosce guardando comodamente su di una poltrona la televisione, ma occorrono impegno, è necessario ricevere le Sue parole, essere attenti, occorre chiedere, cercare, investigare. Perciò, una condizione per conoscere Dio è dunque l’impegno.

Chi si lamenta perché Dio non si è ancora rivelato, rifletta se ha fatto tutto il possibile perché questo avvenga.

 

2) Qual’è una condizione per entrare nel regno di Dio?

Gesù lo ha detto chiaramente ad un religioso di nome Nicodemo. 

"Questi venne a Gesù di notte e gli disse: "Maestro, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio, perché nessuno può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui". Gesù gli rispose e disse: "In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio". Nicodemo gli disse: "Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?". Gesù rispose: "In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d' acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Ciò che è nato dalla carne è carne; ma ciò che è nato dallo Spirito è spirito (Giovanni 3:2-6). 

E’ incredibile quanto le persone si perdano in discussioni inutili in merito a che cosa devono fare per essere salvati. Alcuni pensano che si debba appartenere ad una religione, altri che si debbano compiere delle opere, altri ancora pensano che sia sufficiente la fede, ma Gesù ha parlato di una esperienza unica con Cristo mediante la quale si nasce di nuovo.

Solo con la nuova nascita si può diventare figlio di Dio perché quelli che ricevono Cristo sono rinati non da sangue (cioè non mediante genitori cristiani), né da volontà di carne (cioè non mediante una volontà umana), né da volontà d'uomo (cioè non determinata dall’intervento dell'autorità di una persona religiosa), ma sono nati da Dio.


3) Qual’è una condizione per conoscere la volontà di Dio?

Vi è sempre stata confusione in merito alle volontà di Dio, anche al tempo di Gesù. Proprio per questo Gesù disse: "Se qualcuno vuol fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina viene da Dio, oppure se io parlo da me stesso" (Giovanni 7:17). 

Per quanto gli uomini parlino di religione e di Dio, non tutti ne parlano con l’intento di conoscere la sua volontà. 

Una cosa è voler conoscere la volontà di Dio per curiosità, un’altra è farlo con l’intento di metterla in pratica.

 Dio rivela la Sua volontà a chi desidera metterla in pratica.

 Perciò, una condizione per conoscere la volontà di Dio è avere il desiderio ardente di praticarla.


4) Qual’è una condizione per essere esauditi nelle preghiere?


Ogni persona religiosa prega come atto di devozione, ma non tutti si aspettano di essere esauditi, perché l’esaudimento è riservato a pochi. 

A volte si intensificano le preghiere, altre volte si prega con più ardore, ma nulla cambia.

Gesù ha parlato molto della preghiera e spesso ha spiegato la ragione del suo esaudimento. "Io sono la vite, voi siete i tralci; chi dimora in me e io in lui, porta molto frutto, poiché senza di me non potete far nulla. Se uno non dimora in me è gettato via come il tralcio e si secca; poi questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e sono bruciati. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quel che volete e vi sarà fatto" (Giovanni 15:5-7). 

In merito alla preghiera Gesù offre un assegno in bianco, domandate quel che volete e vi sarà fatto. 

O Gesù è un bugiardo, oppure qualcosa non va quando preghiamo. In effetti vi è una condizione per essere esauditi: che ciò che formuliamo sia secondo il volere di Dio. 

Quando Eliseo e l’apostolo Pietro risuscitarono rispettivamente un bambino e una bambina, prima pregarono. Non si misero in preghiera come atto religioso, ma senza ombra di dubbio per sapere se questa era la volontà di Dio. 

In seguito chiesero ciò che era la volontà di Dio. Perciò, una condizione per essere esauditi nelle preghiere è chiedere secondo il volere di Dio.


5) Qual’è una condizione per essere perdonato da Dio?

Poiché tutti sbagliamo in molti modi e in molte maniere, essere perdonati da Dio è una esperienza non solo utile ma indispensabile. 

Nella preghiera del Padre nostro Gesù ha parlato proprio del perdono dei peccati, ordinandoci di dire le seguenti parole: "E perdonaci i nostri debiti, come anche noi perdoniamo ai nostri debitori. E non esporci alla tentazione, ma liberaci dal maligno, perché tuo è il regno e la potenza e la gloria in eterno. Amen". E aggiunse: "Perché, se voi perdonate agli uomini le loro offese, il vostro Padre celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonate agli uomini le loro offese, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre" (Matteo 6:8-15). 

E’ certamente vero che per essere perdonati dobbiamo accettare il perdono di Dio, ma vi è pure l’aspetto del prossimo che troppo spesso viene dimenticato. 

Gesù ci ha ricordato che il perdono di Dio – cioè il non portare la conseguenza dei nostri sbagli -  è condizionato anche dall’atteggiamento che  abbiamo verso il prossimo. 

Perciò, una condizione per non ricevere la conseguenze dei nostri errori da parte di Dio è che noi perdoniamo il prossimo, cioè non gli facciamo portare le conseguenze dei loro errori. 

Se il prossimo compie un torto nei miei confronti meriterebbe da parte mia una rivalsa, ma io non mi avvalgo di questo diritto. 

Lo perdono o gli rimetto il torto.     

 

6) Qual’è una condizione per essere discepolo di Gesù?

Sono molti coloro che dichiarano di essere discepoli di Cristo. 

E questo perché Gesù è un persona che ha lasciato in questo mondo un’impronta unica, perché ha parlato come nessuno ha mai parlato, perché ha fatto cose che nessuno ha mai fatto. 

E’ evidente che sia una emulazione di chi desidera essere unico e grande, di chi desidera seguire il più grande uomo della storia. 

Purtroppo, non tutti coloro che si dichiarano discepoli di Cristo lo sono, perciò è indispensabile sapere chi è un vero discepolo del Figlio di Dio. 

Anche al tempo di Gesù c’erano molte folle che lo seguivano, ma leggiamo nel vangelo di Giovanni "Gesù disse allora ai Giudei che avevano creduto in lui: "Se dimorate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Giovanni 8:31-32). 

Non si diventa discepoli di Cristo Gesù solo perché si ha un ardente desiderio di seguirlo, o perché si fa parte di una organizzazione che dichiara di basarsi su dei principi cristiani, ma perché si compie del continuo la Sua volontà. 

Conosco molte persone che si dichiarano cristiane, ma mi hanno confessato di non avere mai letto la Parola di Dio. 

Come è possibile? 

Una condizione per essere discepolo di Gesù è dunque quella di conoscere e fare ciò che lui ha detto.


 7) Qual’è una condizione per essere felice?

Il desiderio di essere felice è innato nel profondo di ogni essere umano, tanto è vero che anche chi compie il male lo fa perché pensa di soddisfare un suo interesse, interesse che gli darebbe la felicità. 

Eppure, se c’è un obiettivo al quale l’uomo fallisce è proprio quello di essere felice. 

Anche in merito alla felicità Gesù Cristo ha detto la sua. "In verità, in verità vi dico: Il servo non è più grande del suo padrone, né il messaggero più grande di colui che l' ha mandato. Se sapete queste cose, siete beati se le fate" (Giovanni 13:16-17). 

Gesù ha ricordato ai suoi discepoli che non sarebbero stati trattati meglio di quanto è stato trattato Lui, e in seguito ha definito felici coloro che sapendo queste cose le realizzano. Per Gesù, la felicità dunque non consiste nell’essere ricchi o onorati, ma nell’assomigliare a Lui nelle sofferenze. 

Perciò, una condizione per essere felice è quella di realizzare una vita che rispecchi quella di Cristo.

Queste riflessioni mettono in evidenza che se anche la salvezza è per grazia mediante la fede, ci sono numerose benedizioni che non ci sono date automaticamente e che sono condizionate dal nostro modo di vivere. Avendo una reale volontà di realizzarle, a noi non resta che metterci tutto l’impegno, perché vi è una grande ricompensa per coloro che amano Dio.

Con Cristo o contro Cristo?


 

Due affermazioni di Gesù rendono perplessi molti credenti sia cercandone la giusta interpretazione, sia perché apparentemente sembrano contraddittorie; perciò è molto utile prenderle in esame, soprattutto all’inizio del ventunesimo secolo dove regna la massima confusione religiosa. La prima è "Chi non è con me è contro di me" (Lc 11.23), mentre la seconda, rivolta ai discepoli, è: ".. chi non è contro di voi è per voi." (Lc 9.50) Dunque, per Gesù chi non è dalla sua parte è contro di lui, mentre quando si rivolge ai discepoli la formulazione è rovesciata, e cioè chi non è contro è a favore. Perché questa differenza? Cosa voleva dire esattamente Gesù? La prima cosa che balza agli occhi è la mancanza di neutralità per quello che riguarda Gesù: o si è con lui, o si è contro. Non vi è una via di mezzo. Non è troppo ricordare quanto Dio odi l’indifferenza nei suoi confronti sia ch’essa provenga dagli increduli, sia da parte dei credenti, al punto che, per mezzo di Giovanni, alla chiesa di Laodicea fa dire: "Io conosco le tue opere, che tu non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu freddo o caldo! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né caldo, io sto per vomitarti dalla mia bocca." (Ap 3.15-16) Questo discorso colpisce direttamente forse un terzo della popolazione mondiale, appagata solo di vivere a suo piacimento, trascurando ciò che riguarda il regno di Dio. La cosa è molto seria. Dunque, Gesù esige che nei suoi confronti si prenda una decisione a favore, una scelta da rendersi pubblicamente nota, altrimenti come Egli ha enunciato: "Or io vi dico: Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio. Ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio." (Lc 12.8-9) Se si prendono sul serio queste parole non si può rimanere nella neutralità o nell’ignoto. Cosa occorre fare, dunque, per essere chiaramente dalla parte di Gesù? Per prima cosa –secondo le parole di Gesù – occorre dirlo agli altri; occorre riconoscerlo tanto nel proprio cuore, quanto palesarlo pubblicamente, come il Padrone e il Salvatore della propria vita. Essere dalla parte di Cristo significa confessare agli altri la gioia di essere perdonati da tutti i peccati perché si crede fermamente che Gesù ha cancellato per l’eternità ogni colpa; e con la gioia del perdono, appena se ne ha l’opportunità si dedica del tempo per parlare di Cristo agli altri. Non tutti siamo certamente chiamati a lasciare ogni cosa per dedicare la vita esclusivamente alla predicazione dell’evangelo, ma tutti abbiamo la possibilità di testimoniare a parenti, amici, conoscenti e estranei increduli. Chi non fa questo vive nell’ignoto, una posizione che Gesù considera contro di lui.

 

Essere con Cristo significa pure non seguire le comuni abitudini religiose che Dio disapprova, e questo perché è quasi impossibile riconoscere gli errori basandosi solamente sulla morale comune. Come può un induista comprendere che i trecentomilioni di dei da lui adorati fin da bambino sono un errore? Come può un cattolico romano comprendere che sbaglia quando venera e prega Maria e invoca altri centinaia di santi? Quando una cosa la fanno tutti come è possibile sapere se è giusto o sbagliato? Quando ero giovane, avere rapporti sessuali prima del matrimonio era ritenuto un peccato, ma ora che è diventata una pratica normale tra i giovani, chi ne prova un senso di colpa? Chi lo ritiene una disubbidienza alla legge di Dio? Questi casi da me citati come esempi, trattano di persone che sicuramente "credono" all’esistenza di Cristo, alcune crederanno pure alla sua morte e resurrezione e persino che egli sia Dio, ma restano comunque contro di Lui perché ne ignorano la volontà. Ecco perché bisogna conoscere il volere di Cristo! Perché solo dopo averlo conosciuto si può essere dalla sua parte, cioè rivolgersi in preghiera solo a Gesù, non avere rapporti sessuali prima del matrimonio, come non rubare, non mentire, non fare del male al prossimo. Dunque, non si è dalla parte di Cristo solo facendo ciò che lui ha detto, ma anche evitando ogni forma di male. Infatti, al termine della sua vita Paolo ha racchiuso il messaggio di Cristo in questa proposizione. "… il saldo fondamento di Dio rimane fermo avendo questo sigillo: "Il Signore conosce quelli che sono suoi", e: "Si ritragga dall'iniquità chiunque nomina il nome di Cristo". (2Tm 2.19) Gesù ha detto che chi non è con lui è contro di lui, non ha detto che chi non è contro di lui è con lui. Chi è in grado di afferrare questa differenza deve fare molta attenzione, infatti troppi sono coloro che si sentono a posto davanti a Dio solo perché non hanno nulla contro Cristo. Si può vivere sereni e tranquilli, non avere nulla contro Cristo e il suo messaggio, pur essendo nella stessa posizione di Giuda, che lo tradì è andò in perdizione. Occorre ripeterlo. Gesù non ha detto che chi non è contro di lui è con lui, ma che chi non è con lui è contro di lui. E’ stato radicale, estremista, perché la sua persona non è né negoziabile, né tantomeno accomodante. Gesù è Dio, e come tale esige tutto; diversamente, dare poco è dare niente. Gesù è come una moneta. Se perdi cento euro non possiedi almeno 10, 20 0 30 euro, ma perdi tutto. Così, se non sei totalmente dalla parte di Cristo, non puoi esserci solo per il 10 o 20 per cento, non ci sei proprio per nulla. La persona di Gesù Cristo va presa in blocco.

 

La seconda affermazione di Gesù è, sì, apparentemente una formulazione rovesciata, ma in verità Gesù sta dicendo totalmente altro. Infatti, Gesù non si sta riferendo a se stesso, ma ai suoi discepoli; e per questo ora può parlare in modo contrario. Se nel parlare di sé stesso Gesù non ammette mezze misure, parlando dei suoi discepoli non può essere così radicale perché anche gli uomini migliori sbagliano, di conseguenza dichiara: "chi non è contro di voi è per voi" . Ma per comprendere esattamente cosa ha voluto dire il nostro Salvatore, è necessario prendere in esame il contesto storico nel quale Gesù ha calato la frase. "Or Giovanni prese la parola e gli disse: "Maestro, noi abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo proibito, perché non ti segue con noi". Ma Gesù gli disse: "Non glielo proibite, perché chi non è contro di voi è per voi". Giovanni era discepolo di Gesù, quindi seguiva la Verità, e vedendo una persona che usava il nome del suo Maestro per scacciare i demoni senza esserne un diretto discepolo, glielo proibì. Possiamo essere indispettiti di questa posizione radicale, ma ancora al giorno d’oggi fra coloro che hanno posto fede in Cristo vi è una certa rivalità. E’ molto facile vedere nell’errore chi si comporta diversamente. Questa malattia c’era al tempo dell’apostolo Paolo e sembra che non ci sia rimedio per guarirla. Gesù rimproverò Giovanni e fece presente che chi non era contro di loro, operava comunque sempre a loro favore, anche se non vi era una comunione di intenti nel loro cammino. Come spesso faceva, Gesù colse l'occasione in questo episodio per mettere in guardia i suoi seguaci dal bloccare l'operato di coloro che credono in Lui e, anzi, comandò ad ogni credente di guardarsi dal fare qualsiasi cosa che risultasse un eventuale danno al prossimo. I cristiani sono il sale della terra, cioè coloro che danno sapore alla vita, coloro che producono la sete di Dio, coloro che sono una fonte di benedizione, ma se si fanno guerra o opposizione come possono essere una testimonianza di Dio? L’unità dei cristiani – unità tanto invocata – non consiste nel camminare tutti nella stessa maniera, ma nel non mettere ostacoli a chi la pensa diversamente e, soprattutto, non vederlo come nemico. La tunica di Cristo viene strappata non dalle opinioni diverse dei credenti, ma dall’ignoranza unita all’orgoglio. L’ignoranza è un limite che tutti abbiamo; ma unita all’orgoglio, essa non vede il danno che procura. Il binomio verità-amore rimane uno dei traguardi più difficili da raggiungere.

 

Proprio perché l’armonia tra i credenti è difficile, Gesù non si limitò a dire che chi non è contro di voi è per voi, ma aggiunse "Il sale è buono, ma se il sale diviene insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate del sale in voi stessi e state in pace gli uni con gli altri". (Mr 9.50) Quando Gesù dà un ordine è perché per una inclinazione naturale noi siamo tentati a disubbidirlo, così se Gesù ha ordinato di stare in pace gli uni con gli altri, significa che questa realtà è molto difficile da realizzare. Dalla Scrittura risulta evidente che la discordia, l’ira, le contese, le divisioni sono il risultato della carne, e cioè peccato, eppure … eppure i credenti continuano a creare divisioni, discordie e contese convinti che questo sia il risultato dell’amore e della fedeltà a Dio. E’ incredibile come si possa essere più sicuri delle proprie opinioni che della volontà di Dio espressa nella sua Parola! Con la bocca i credenti confessano di credere al Dio della Parola, ma di fatto negano ciò che sostengono. Non è certamente una novità perché anche al nascere della chiesa l’apostolo Paolo riferendosi a persone che si professavano credenti scrisse "Essi fanno professione di conoscere Dio, ma lo rinnegano con le opere, essendo abominevoli, disubbidienti, e incapaci di ogni opera buona." (Tito 1:16) Perciò, se è vero che chi non è con me è contro di me", è anche vero che chi non è contro di voi è per voi". Dobbiamo accettare per fede non solo la prima espressione di Gesù, ma anche quella riferita alla comunione fraterna. Il credente deve essere quindi radicale per quello che riguarda la persona di Gesù; di conseguenza, in un conflitto di posizioni nei suoi confronti non è possibile essere neutrali. Mentre in merito agli altri figli di Dio, il criterio di valutazione che dobbiamo adottare è esattamente all’opposto: una neutralità in merito alla comunione fraterna va ritenuta positiva. Termino con un'affermazione fatta a Manila, nelle Filippine, in occasione del secondo congresso Internazionale sull'evangelizzazione del mondo tenuto tra l'11 e 20 Luglio 1989. "Vi sono stati e vi sono ancora molti ostacoli all'evangelizzazione del mondo. Il più grande ostacolo non è rappresentato però dall'attività di Satana, dalla chiusura di certe nazioni, dalla mancanza di mezzi finanziari, dal propagarsi di sette o dal progresso dell'Islam, bensì dalle barriere che i credenti pongono di continuo sul cammino dei propri fratelli (Maldicenza, gelosia, invidia e pregiudizi, quando non si tratta di peggio). Il principale compito del Cristiano non è quindi quello di cercare di far cambiare denominazione ad un suo fratello in fede, ma quello di predicare Cristo quale unico Signore e Salvatore. Gesù ordinò: "Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri". Nessun programma evangelistico sarà in grado di rivelare chi è Dio, quanto il nostro amore per i fratelli in fede.

 

 


 

 


Morì di venerdì ?

 



Avendo già trattato questo argomento nella mia pagina facebook- 
Gesù morì di venerdì ?

Ho voluto aggiornare alcuni aspetti.

Da secoli, la religione cattolica, molto probabilmente condizionata dall'opinione che Agostino esprime nel suo libro "De Trinitade", insegna che Gesù morì il venerdì della settimana di pasqua e risuscitò la domenica, il primo giorno della settimana ebraica. Ma questo insegnamento è in forte contraddizione con le parole di Gesù, il quale affermò che sarebbe rimasto tre giorni e tre notti nella tomba. “Allora alcuni scribi e farisei, lo interrogarono, dicendo: "Maestro, noi vorremmo vedere da te qualche segno". Ma egli, rispondendo, disse loro: "Questa malvagia e adultera generazione chiede un segno, ma nessun segno le sarà dato, se non il segno del profeta Giona. Infatti, come Giona fu tre giorni e tre notti nel ventre del grosso pesce, così starà il Figlio dell'uomo tre giorni e tre notti nel cuore della terra” (Matteo 12:38-40). Se Gesù avesse parlato solo di tre giorni, era anche possibile vederla diversamente, ma poiché ha chiaramente detto che sarebbe rimasto nella tomba tre giorni e tre notti, per forza di cose devono essere trascorsi tre giorni completi prima della sua resurrezione, cioè più di 72 ore. Questo è in contrasto con l’insegnamento tradizionale del cattolicesimo romano, il quale vuole che Gesù muoia il venerdì, per risuscitare prima di 48 ore. La ragione che ha indotto la religione cattolica a ritenere che Gesù sia morto il venerdì, scaturisce dalla affermazione della Scrittura secondo la quale Egli morì prima del sabato. “E, dopo averlo tirato giù dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, dove nessuno era ancora stato sepolto. Era il giorno della Preparazione, e il sabato stava per cominciare. Le donne, che erano venute con Gesù dalla Galilea seguendolo da vicino osservarono il sepolcro e come vi era stato deposto il corpo di Gesù; poi esse tornarono a casa e prepararono gli aromi e gli unguenti, e durante il sabato si riposarono, secondo il comandamento. Ora nel primo giorno della settimana, al mattino molto presto esse, e altre donne con loro, si recarono al sepolcro, portando gli aromi che avevano preparato” (Luca 23:53 - a 24:1; Marco 15:42). Poiché quando morì Gesù il sabato stava per cominciare, se ragioniamo secondo la nostra cultura, il giorno precedente al sabato è il venerdì, perciò, il cattolicesimo romano ha concluso che Gesù è morto di venerdì. Ma, ancora una volta, il cattolicesimo è stato vittima di una errata interpretazione. Esaminiamo i fatti.

 

Secondo l’evangelo di Marco (16:1-2), le donne comprarono gli aromi dopo il sabato, mentre, secondo il racconto di Luca (23:56), esse li comprarono prima del sabato. Come mai questa contraddizione? Questo non dimostra una discordanza nei racconti dei quattro vangeli? Questa apparente dissonanza è data dal fatto che, per noi che non siamo ebrei, il sabato è solo un giorno della settimana, mentre per gli ebrei il sabato, cioè shabbat, è definito anche qualsiasi giorno, o addirittura anche ad un anno festivo consacrato all’Eterno. Ecco un esempio nella legge di Dio: "Parla ai figli d'Israele e di' loro: Quando entrerete nel paese che io vi do, la terra osserverà un sabato di riposo per l'Eterno. Per sei anni seminerai il tuo campo, per sei anni poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà un sabato di riposo per la terra, un sabato in onore dell'Eterno; non seminerai il tuo campo ne poterai la tua vigna” (Levitico 25:2-4). Israele, dunque, aveva un anno di riposo per la terra che veniva chiamato sabato. Inoltre, per la nostra cultura, noi siamo abituati a pensare a un solo sabato alla settimana, mentre, per il calendario ebraico, era abbastanza comune avere più sabati, cioè feste, nella stessa settimana. Infatti, nella settimana degli azzimi, che iniziava con la Pasqua, facevano festa sia il quattordicesimo giorno che il quindicesimo, cioè due sabati di Pasqua consecutivi. “Nel quattordicesimo giorno del primo mese sarà la Pasqua in onore dell'Eterno. E il quindicesimo giorno di quel mese sarà festa. Per sette giorni si mangerà pane senza lievito” (Numeri 28:16-17). L’evangelista Giovanni, notando che il giorno che stava per iniziare era un gran giorno, si riferiva appunto al quindicesimo giorno. “Or i Giudei, essendo il giorno di Preparazione, affinché i corpi non rimanessero sulla croce il sabato, perché quel sabato era un giorno di particolare importanza, chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via” (Giovanni 19:31). Tenendo presente che le donne non potevano comprare gli aromi il quindicesimo giorno perché era festa, cioè un sabato, esse li comprarono il giorno dopo, cioè il sedicesimo. Il giorno successivo, il diciassettesimo, era il sabato settimanale, il giorno che seguiva il venerdì, e le donne si riposarono (Luca 23-56). Solo il giorno seguente, il diciottesimo giorno del mese, esse poterono andare al sepolcro per ungere il corpo di Gesù. Noi siamo abituati a considerare gli eventi che leggiamo nei vangeli, come episodi consecutivi uno all’altro, ma nella settimana in cui morì Gesù, ci furono tre giorni festivi, cioè tre sabati, il sabato della pasqua, il sabato del giorno dopo, e il sabato del giorno della settimana, divisi da un giorno lavorativo. E’ in quel giorno lavorativo che le donne comprarono gli aromi. Questa è la ragione per cui nei vangeli leggiamo che le donne comprarono gli aromi sia prima del sabato che dopo il sabato. In effetti, gli evangelisti in greco, riferendosi al sabato, usano il plurale. Ecco come rendono alcune traduzioni. “Ora, alla fine dei sabati, all'alba del primo giorno dopo i sabati, Maria Maddalena e l'altra Maria, andarono a vedere il sepolcro” (Matteo 28:1). I tre sabati sono dunque il bandolo di una apparente contraddizione dei vangeli.

 

Per comprendere meglio gli avvenimenti della settimana di pasqua, facciamo i conti a ritroso.

- Il 18mo giorno era domenica, cioè il primo giorno della settimana.

- Il 17mo giorno era il sabato settimanale, giorno di riposo.

- Il 16mo giorno era venerdì, giorno feriale.

- Il 15mo giorno era giovedì, giorno festivo, di riposo, quindi un shabbat secondo la cultura ebraica.

- Il 14mo giorno era Mercoledì, quando Gesù morì.

Una simile prospettiva, ci induce a pensare che passarono quattro giorni dalla morte alla resurrezione di Gesù. Ma, ancora una volta, dobbiamo fare i conti con le usanze ebraiche. Poiché gli ebrei iniziavano a contare i giorni dalle 18 di sera per terminare alle 18 di sera del giorno successivo (Levitico 23:32), facciamo i conti dei giorni alla luce di questa usanza. Gesù celebrò la Pasqua il primo giorno degli azzimi, alla sera verso le ore 18 (Matteo 26:17,20). A notte inoltrata fu tradito, al mattino andò da Pilato (Matteo 27:1-2), a mezzogiorno fu crocifisso (Matteo 27:45), al pomeriggio, alle ore tre, cioè alle 15, morì (Matteo 27:45-50), e fu sepolto prima di sera, cioè prima delle 18. Tutto questo avvenne in uno stesso giorno, il quattordicesimo, cioè il Mercoledì, il quarto giorno della settimana. Gesù, quindi, morì nel giorno della pasqua ebraica.

 

Ora facciamo i conti dei giorni in cui Gesù rimase nel sepolcro. Gesù morì alle ore 15 del Mercoledì, il quarto giorno della settimana, e fu sepolto prima di Giovedì ore 18.

Inizio Giovedì ore 18, fino inizio del Venerdì ore 18                                              Primo giorno

Inizio Venerdì ore 18, fino inizio del Sabato ore 18                                                Secondo giorno.

Inizio Sabato ore 18, fino inizio del primo giorno della settimana ore 18              Terzo giorno.

Quando Gesù risuscitò, erano passati tre giorni e tre notti, come egli aveva profetizzato. Morendo il quarto giorno della settimana, cioè il mercoledì, e risuscitando il settimo, cioè il sabato, i conti tornano.

 

Ancora una volta la Scrittura è superiore ad ogni autorità religiosa, e a ogni interpretazione di persona autorevole, come può essere quella di Agostino. Egli scrisse, in "De trinitade", che Gesù non stette tre giorni e tre notti nella tomba concludendo: "Le ragioni che da parte mia ho presentato le ho desunte dall'autorità della Chiesa - tali quali ce l'hanno tramandate gli antichi - dalla testimonianza della Scrittura, dalle leggi dei numeri e delle proporzioni. Ora nessun saggio vorrà andare contro la ragione, nessun cristiano contro la Scrittura, e nessun uomo pacifico contro la chiesa". L'acume, l'intelligenza, lo spirito dei padri della chiesa sono da ammirare, ma la chiesa stessa, rappresentata dalla Tradizione dei Padri è soggetta a sbagliare, perché la Verità è solo una persona: Gesù Cristo e la Sua Parola. Se noi siamo abituati a sottomettere i nostri ragionamenti e la nostra logica alla Parola di Dio, se riteniamo la Scrittura più autorevole delle nostre opinioni, allora saremo in grado di afferrare il messaggio contenuto nella Parola di Dio. Possiamo avere dei dubbi in merito alla nostra comprensione, ma non dobbiamo mai dubitare ciò che la Scrittura afferma. Se Gesù ha detto che sarebbe stato sepolto tre giorni e tre notti, qualsiasi interpretazione che diamo ai fatti storici dei vangeli, deve concordare con ciò che Gesù ha detto.

 

Alla luce di quanto fin qui sostenuto, la religione cattolica dovrebbe umilmente ammettere che oltre ad affermare cose vere perché conformi alla Scrittura, essa persiste anche in tante cose false. Ma dovrebbe soprattutto riconoscere che l’autorità di cui si vanta non le è data da Dio. L’esortazione di Agostino che nessun uomo pacifico dovrebbe andare contro la chiesa è molto pericolosa, per almeno due motivi. Il primo è racchiuso in una frase di Mill, in “Essays on Liberty”, che trovo assai perspicace. “Se tutta l’umanità fosse dello stesso parere, e una sola persona fosse di parere contrario, l’umanità non potrebbe essere giustificata se mettesse a tacere quella persona, più della persona stessa se, avendone la possibilità, mettesse a tacere tutta l’umanità”. La seconda ragione per la quale è assurdo ritenere sbagliato contestare la presunta autorità del cattolicesimo romano, è che grandi uomini di Dio si sono scagliati contro il cattolicesimo romano, e, mentre molti di questi sono condannati al rogo o uccisi, alcuni di essi sono stati riconosciuti giusti, altri dichiarati santi. Proprio perché la storia ci insegna questo, come è stato detto, il potere assoluto corrompe chi lo possiede perché, nel momento in cui l’uomo ha in mano questo potere assoluto, nutre anche la convinzione di essere infallibile e di essere uno strumento dello Spirito Santo. Quindi, per non far cadere il prossimo in un simile, diabolico errore, è opportuno, saggio e giusto, riconoscere il potere assoluto solo a Dio.

 

Gesù Cristo, dunque, per quanto se ne dica, non è morto il Venerdì, ma il Mercoledì, e stette nel sepolcro tre giorni e tre notti per risuscitare il primo giorno della settimana. Poiché non è mia intenzione focalizzare l’attenzione solo sul giorno in cui morì Gesù, dobbiamo ricordare che la resurrezione di Cristo è un episodio unico. Dopo duemila anni, si parla ancora di questo straordinario evento; evento, che dovrebbe scuotere anche gli scettici più radicali. Gesù è risorto per testimoniare della sua Divinità, e per attestare davanti al mondo che, coloro che hanno posto fede in Lui, hanno ragione. Chi crede in Buddha, in Maometto o in qualsiasi altro profeta, non ha nessuna prova che la sua fede sia vera, mentre la resurrezione di Gesù Cristo è una testimonianza e una prova eterna che il cristiano si porta nel cuore e che l’accompagna fino al giorno in cui comparirà davanti a Dio. “Questa è la parola della fede, che noi predichiamo; poiché se confessi con la tua bocca il Signore Gesù, e credi nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato. Col cuore infatti si crede per ottenere giustizia e con la bocca si fa confessione, per ottenere salvezza, perché la Scrittura dice: "Chiunque crede in lui non sarà svergognato" (Romani 10:8-11).