Gesù ha asserito più volte di essere JHWH.
Lo ha attestato nell’espressione «IO SONO», nel dichiarare che Mosè ha scritto di Lui e che Abramo ed Isaia Lo videro.
Ma se non avessimo anche un’ulteriore valida testimonianza, potremmo dire di aver compreso erroneamente le parole di Gesù. La testimonianza autorevole della presenza di Cristo nella Torah è data dagli apostoli; da coloro che in seguito hanno annunciato la sua presenza corporea nell’Antico Patto.
Alcuni credenti leggono pochissimo l’Antico Patto. Anzi, certi non lo leggono neppure perché lo ritengono non «cristiano». Eppure, una persona che si prefiggesse di leggere la Bibbia nell’arco di un anno, sarebbe costretta a leggere l’Antico Patto per otto mesi e il Nuovo Patto per quattro. Ma la testimonianza degli apostoli, sulla necessità di studiare l’Antico Patto è molto più valida.
Leggiamo in 2Timoteo, 3:14-17: «Tu però persevera nelle cose che hai imparato e nelle quali sei stato confermato, sapendo da chi le hai imparate, e che sin da bambino hai conosciuto le sacre Scritture, le quali ti possono rendere savio a salvezza, per mezzo della fede che è in Cristo Gesù.
Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire nella giustizia, affinché
l’uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni buona opera.»
Nella sua ultima lettera, l’apostolo Paolo ricorda a Timoteo che la sua fede era riposta nelle Scritture. «Tutta la Scrittura», alla quale si riferiva Paolo, era costituita dai 39 libri degli Ebrei, cioè dall’Antico Patto.
Ai primi cristiani esso era sufficiente, affinché tutti coloro che volessero fare la volontà di Dio, divenissero istruiti, corretti e, infine, trasformati in mini di Dio completi. Hanno le Scritture dell’Antico Patto lo stesso valore anche per noi?
«Or queste cose avvennero per servire da esempio a noi, affinché non siamo bramosi di cose cattive, come lo furono costoro… Or tutte queste cose avvennero loro come esempio, e sono scritte per nostro avvertimento,per noi, che ci troviamo alla fine delle età.» (1Corinzi 10:6-11)
Paolo ha narrato alcuni avvenimenti del popolo d’Israele, descritti nell’Antico Patto, per ricordarci che esso è stato scritto per noi, affinché ci applicassimo alla santità, per non subire la stessa sorte che JHWH riserbò al popolo d’Israele. Trascurare la lettura dell’Antico Patto, significa privarci di grandi benedizioni, limitare la nostra comprensione del volere e dell’opera di JHWH.
In sintesi, descrivo le ragioni della necessità di leggere e meditare l’Antico Patto:
1. Perché è Parola di Dio.
2. Per una ragione cronologica.
3. Per una ragione dottrinale.
4. Perché testimonia la messianicità di Gesù.
5. Perché serve per capire il Nuovo.
6. Perché gli insegnamenti spirituali sono eterni.
7. Perché ci sono profezie ancora inadempiute.
Nel testimoniare di Cristo, i primi cristiani spesso si rifacevano ad episodi descritti nell’Antico Patto. Paolo ricorda il velo sul volto di Mosè (2Corinzi 3:13); l’autore della lettera agli Ebrei cita Melchisedec, almeno una decina di volte (Ebrei 7:1); Giuda richiama alla mente dei suoi lettori la triste fine delle città di Sodoma e Gomorra (Giuda 7).
In 1Corinzi capitolo dieci, Paolo si sofferma maggiormente a descrivere alcuni avvenimenti del popolo d’Israele che troviamo narrati nella Torah, nel Pentateuco.
I primi cristiani, evidentemente, conoscevano questi episodi e Paolo prende l’occasione per invitare i credenti a non provocare Gesù Cristo, come fecero gli ebrei durante il periodo di quarant’anni trascorso nel deserto. Forse, a noi suona strano un tale avvertimento, ma evidentemente i primi cristiani avevano una chiarezza su Gesù Cristo, per noi scemata, invece, nel corso dei secoli.
«Ora, fratelli, non voglio che ignoriate che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola e tutti passarono attraverso il mare, tutti furono
battezzati per Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono il medesimo cibo spirituale, e tutti bevvero la medesima
bevanda spirituale, perché bevevano dalla roccia spirituale che li seguiva; or quella roccia era Cristo. Ma Dio non gradì la maggior
parte di loro; infatti furono abbattuti nel deserto, Or queste cose avvennero come esempi per noi, affinché non desideriamo
cose malvagie come essi fecero, e affinché non diventiate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: “Il popolo si sedette
per mangiare e per bere, e poi si alzò per divertirsi.” E non fornichiamo, come alcuni di loro fornicarono, per cui ne caddero in un giorno ventitremila. E non tentiamo Cristo, come alcuni di
loro lo tentarono, per cui perirono per mezzo dei serpenti.» (1Corinzi 10:1-9)
Paolo ha richiamato alcuni episodi riguardanti il popolo d’Israele, descritti nei libri dell’Esodo e dei Numeri. Spesso, poiché Paolo parla di una «roccia spirituale» che è Cristo, di un «cibo spirituale» e di una «bevanda spirituale» il significato di questo brano si considera metaforico, per cui l’interpretazione diviene interamente simbolica e tipologica.
E poiché per la nostra cultura lo «spirituale» si contrappone al «materiale», dalla lettura di questo brano prendiamo solo ciò che si traduce in un insegnamento morale, riguardante il nostro comportamento. Ma Paolo stava insegnando qualcosa di molto più importante. Poiché gli episodi citati sono realmente avvenuti, è difficile pensare che l’apostolo volesse trasmettere delle verità morali, senza basarsi su un presupposto storico.
Anzi, le verità morali non possono essere comprese rettamente, se prima non si sono compresi gli episodi accaduti nella realtà.
Paolo ricorda ai Corinzi che «la roccia spirituale era Cristo.» Cosa intendeva affermare l’apostolo? La parola «spirituale», in questa affermazione, non può essere presa in senso simbolico perché, anche il cibo e l’acqua sono definiti «spirituali»; eppure gli israeliti per quarant’anni si nutrirono di un cibo «materiale» e bevvero dell’acqua vera e propria. Anche il «corpo spirituale» che avranno i credenti non è qualcosa di evanescente (1Corinzi 15:44); come non è incorporeo, o evanescente, «l’uomo spirituale», cioè il credente (1Corinzi 2:15).
Inoltre, ciò che è definito spirituale, non può essere automaticamente considerato come «figura».
I due termini differiscono anche in greco.
L’aggettivo pneumatikos indica ciò che è proprio dello Spirito, ciò che è condotto dallo Spirito.
Il sostantivo typos significa invece, forma, figura, immagine.
Cristo era pneumatikos, cioè era una realtà, o una manifestazione della sua attività, condotta dallo Spirito, che accompagnava il popolo d’Israele.
La roccia «spirituale» che li accompagnava era, dunque, la presenza corporea di Cristo.
Perché Paolo usa allora l’espressione «Roccia spirituale»? Una roccia non è forse, come definisce il vocabolario, «un aggregato minerale che costituisce la parte più dura e coerente della crosta terrestre?» Riferita a Cristo, tale espressione non è da considerarsi in senso simbolico?
L’apostolo stava scrivendo a credenti che conoscevano le Scritture, la Torah.
I Corinzi sapevano che, nel capitolo 32 del libro Deuteronomio (v. 4,15,18,30,31), JHWH Dio, era chiamato Roccia. La parola «Roccia», in quell’occasione non era tanto un aggettivo, ma un sostantivo, che costituiva un nome di JHWH stesso. Prova ne è che i traduttori hanno scritto Roccia con la erre maiuscola. Anche la LXX traduce «Roccia» con «Dio», o con «Signore», come equivalente di JHWH. Non soltanto nei versetti citati, ma in tutto il cantico, al posto di «Roccia» i LXX traducono i Nomi del Dio d’Israele. Affermando che la roccia spirituale era Cristo, Paolo voleva intendere che nel deserto con il popolo d’Israele, vi fosse Cristo stesso, condotto dallo spirito di Dio.
Così commenta, il passo di 1Corinzi, capitolo 10, Enrico Bosio:
«…gl’Israeliti sono stati provveduti d’acqua e che dovettero questo alle cure costanti di Colui che Mosè stesso chiamò “la roccia della salvezza”
d’Israele (Deuteronomio 32:15,18; Conf. Isaia 30:29; 26:4); e che Paolo nomina addirittura Cristo. Difatti, secondo lui, la Persona divina che accompagnava il popolo nel deserto, l’Angelo della Faccia, l’Angelo di Dio, del Patto, l’Eterno, l’autore delle Teofanie, non era altri che il Figlio di Dio, il quale, prima d’incarnarsi, presiedeva alla Economia della Salvazione.
Egli era la vera roccia spirituale, soprannaturale, che seguitava Israele e provvedeva ai suoi bisogni.»11
Fa coro Leon Morris, citando Conzelmann: «l’uso di “era” … indica una preesistenza reale.»12
Così commenta F.F. Bruce nel suo libro Gesù ieri, oggi e domani:
«Ma cosa spinse Paolo e Giuda (v. 5) a parlare della presenza di Cristo con gli Israeliti nel deserto? … Paolo e Giuda intesero dire che la presenza di Dio e il messaggero in cui il suo nome era, non era altro che il figlio di Dio che nella pienezza dei tempi si incarnò come Gesù di Nazaret.»13
Per i primi cristiani, la presenza di Cristo nell’Antico Patto era cosa ovvia. È sorprendente leggere, nel libro degli Atti, come Apollo, un giudeo che conosceva solo l’Antico Patto, potesse predicare, e insegnare «con esattezza le cose riguardanti Gesù» (Atti 18:25) (così rende il greco, la Nuova Riveduta, la Nardoni, la Mariani). Se per noi la presenza di Cristo nell’Antico Patto non è evidente, si deve certamente ad una mancanza di conoscenza derivante da una errata trasmissione della fede o da una nostra insufficiente percezione di essa. Non solo. Anche i traduttori della Bibbia hanno una parte di colpa perché non sempre hanno tradotto correttamente il testo greco. La traduzione imperfetta del versetto nove nel capitolo dieci di 1Corinzi, nella Nuova Riveduta, offusca la presenza di Cristo nella Torah.
La Nuova Riveduta traduce così il testo di 1Corinzi 10:9: «Non tentiamo il Signore, come alcuni di loro lo tentarono, e perirono, morsi dai serpenti.»
La Nuova Diodati invece, fedele al greco, rende: «E non tentiamo Cristo, come alcuni di loro lo tentarono, per cui perirono per mezzo dei serpenti.»
Tradurre «Signore», al posto di «Cristo», non trasmette esattamente il pensiero di Paolo. Scrivere «Signore» induce il lettore ad avere un’idea vaga di Dio; mentre tradurre «Cristo» fa comprendere che gli ebrei nel deserto tentarono proprio la Persona di Cristo e non tanto Dio, inteso nella sua pluralità, come Theos o Elohim. Evidentemente, il traduttore non ha afferrato l’importanza di questa precisazione e ciò ci induce a pensare che molti non abbiano percepito la presenza di Cristo nell’Antico Patto.
11 Enrico Bosio, Le Epistole ai Romani, I-II ai Corinzi, Claudiana.
12 Leon Morris, La prima Epistola di Paolo ai Corinzi, Edizioni GBU.
13 F.F. Bruce, Gesù ieri, oggi e domani, Soli Deo Gloria.
Questo vale anche per quanto concerne una affermazione dell’apostolo Giuda nella sua lettera:
«Or voglio ricordare a voi, che già conoscevate tutto questo, che il Signore, dopo aver salvato il suo popolo dal paese di Egitto, in
seguito fece perire quelli che non credettero.» (Giuda 5)
I testi più antichi del IV e V secolo, al posto di «Signore» portavano scritto Gesù, Cristo, Dio Cristo, Dio, tesi questa attestata anche da F.F.
Bruce (1910-1991) professore di Critica Biblica ed Esegesi, in Gesù ieri, oggi e domani 14 dicendo «Questa parve una dichiarazione tanto straordinaria a molti dei primi editori e copisti del Nuovo Patto che sostituirono Gesù con “Il Signore” o con “Dio” o semplicemente con “Egli.” I Codici Vaticano e Alessandrino, e molte versioni antiche, rendono “Gesù salvò il popolo dall’Egitto.”» Queste versioni mettono in evidenza che fu Cristo a salvare il popolo dell’Eterno dall’Egitto e non un vago «Signore». Deuteronomio 4:37, è significativo. Nella nuova Diodati, leggiamo: «Ti ha fatto uscire dall’Egitto con la sua presenza»; mentre nella Nuova Riveduta, leggiamo «Egli in persona ti ha fatto uscire dall’Egitto.» Una simile lettura produce nella mente di chi legge, una chiarezza inconfutabile della reale presenza di Cristo al tempo dell’Esodo, non lasciando spazio alcuno ad ulteriori dubbi.
Questa coscienza della presenza di Gesù nell’Antico Patto, faceva sì che i primi ebrei cristiani scrivessero in un modo tale che a noi potrebbe risultare strano.
«Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del Faraone scegliendo piuttosto di essere maltrattato
col popolo di Dio che di godere per breve tempo i piaceri del peccato, stimando il vituperio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori di Egitto, perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa.» (Ebrei 11:24-26)
La domanda più ovvia è: «Come ha fatto Mosè a stimare il vituperio di Cristo maggiore delle ricchezze di Egitto, se non Lo conosceva? È anche questa una espressione da considerarsi in senso simbolico, o l’autore della lettera si rifaceva ad episodi veramente avvenuti?» Alla luce di quanto abbiamo considerato, Mosè scelse veramente di essere disprezzato per amor del Cristo che vedeva, anziché godere i piaceri terreni e fugaci.
L’Antico Patto è, dunque, il vangelo di JHWH. Questa era la convinzione dei primi cristiani e per questo citavano di frequente le Scritture, riferendosi a Cristo. L’autore della lettera agli Ebrei così scrive: «Perciò, entrando nel mondo, egli dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo; tu non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora io ho detto: Ecco, io vengo (nel rotolo del libro è scritto di me); io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”» (Ebrei 10:7-10.
Conf. Salmo 40). La venuta di Cristo non è stata occasionale. Essa era già stata preannunciata dalle Scritture, era scritto «nel rotolo del libro». Per questo Paolo, annunciando il vangelo, afferma che il Cristo è morto per i nostri peccati, è stato sepolto ed è risorto «secondo le Scritture» (1Corinzi15:3-4).
Se la vita di Cristo non fosse stata conforme alle Scritture, Egli sarebbe stato un falso Messia.
Il messaggio dei primi cristiani si riassume nella rivelazione della Persona di Gesù. Come nell’Antico Patto predomina la presenza di JHWH, così, la presenza della Sua incarnazione è costante nel Nuovo Patto. Sia nell’Antico Patto e sia nel Nuovo, non vi è altro messaggio: vi è un solo Dio e un solo Signore: Gesù Cristo (Deuteronomio 6:4; 1Giovanni 5:20).
Per curiosità, possiamo prendere atto delle seguenti statistiche riferite al Nuovo Patto:
La parola Gesù si trova più di 1000 volte.
La Parola Cristo si trova più di 500 volte.
L’espressione Gesù Cristo si trova più di 180 volte.
L’espressione Cristo Gesù si trova quasi 70 volte.
L’espressione Signore Gesù Cristo si trova più di 30 volte.
Ecco una dimostrazione di come Paolo citasse del continuo Gesù Cristo nelle sue lettere:
«Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo, per volontà di Dio, e il fratello Sostene, alla chiesa di Dio che è in Corinto ai
santificati in Gesù Cristo, chiamati ad essere santi, insieme a tutti quelli che in qualunque luogo invocano il nome di Gesù Cristo, loro Signore e nostro: grazia e pace a voi da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. Io rendo continuamente grazie per voi al mio Dio, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti in ogni cosa, in ogni dono di parola e in ogni conoscenza, per la testimonianza di Cristo che è stata confermata tra voi, così che non vi manca alcun dono mentre aspettate la manifestazione del Signor nostro Gesù Cristo, il quale vi confermerà fino alla fine, affinché siate irreprensibili nel giorno del nostro Signore Gesù Cristo. Fedele è Dio dal quale siete stati chiamati alla comunione del suo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore. Ora, fratelli, vi esorto nel nome del nostro Signore Gesù Cristo ad avere tutti un medesimo parlare e a non avere divisioni tra di voi, ma ad essere perfettamente uniti in un medesimo modo di pensare e di volere.» (1Corinzi 1:1-10)
Il modo di esprimersi di Paolo deve essere un monito per noi. Cosa predichiamo quando parliamo del «vangelo»? Quando testimoniamo cosa comprendono alla fine i nostri ascoltatori? Quando Festo riassunse al re Agrippa e Berenice la ragione per la quale Paolo era in contrasto con i giudei, disse: «Ma avevano solamente dei punti di disaccordo sulla loro religione e intorno a un certo Gesù, morto, che Paolo diceva essere vivente» (Atti 25:19).
Se i posteri potessero dire altrettanto di noi! Comprendiamo ora meglio le parole di Paolo ai Corinzi: «Perché mi ero proposto di non sapere fra voi altro, se non Gesù Cristo e lui crocifisso» (1Corinzi 2:2).
Per Paolo, tale affermazione non era gratuita, ma una realtà.
Alla luce di queste riflessioni, quando relativamente all’Antico Patto parliamo di Teofania, usiamo una definizione impropria. Anche l’espressione Cristofania forse è insufficiente. Dobbiamo parlare di Jahwehfania.
È vero che Gesù è Dio, ma i termini Teofania e Cristofania non rendono giustizia e chiarezza alla presenza di Cristo nell’Antico Patto.
RIEPILOGO
La Scrittura attribuisce alla Divinità d’Israele tre nomi: Adonaj,Elohim, JHWH.
JHWH, Elohim e Adonaj, non sono sinonimi indicanti la stessa personalità divina.
Solo JHWH è il vero nome proprio della Divinità d’Israele.
La Parola di Dio usa una pluralità di termini per indicare lo stesso ed unico Dio.
JHWH è il nome che il Creatore si è dato e che ha rivelato, per la prima volta, a Mosè.
La fede dei santi dell’Antico Patto non era in un Elohim vago, ma in JHWH.
Il Dio rivelato ad Israele è pluripersonale.
Dio ha uno Spirito.
JHWH ha uno Spirito.
Lo Spirito sia di Dio, sia di JHWH, è una Persona.
Gli israeliti, prima della diaspora, credevano in una Divinità espressa al plurale e che l’espressione di questa pluralità fosse in JHWH.
JHWH ha caratteristiche antropomorfiche e antropopatiche.Egli haun corpo e si è rivelato nell’Angelo dell’Eterno.L’Angelo dell’Eterno era l’immagine sostanziale di Elohim; la Perso-na,nella pluralità dell’Elohim, alla quale l’essere umano può accedere.L’Antico Patto è l’annuncio (vangelo) dell’opera e del messaggio di JHWH.
Giovanni il battista attesta che Gesù sia il Tetragramma.
Gesù Cristo attesta di essere JHWH, con l’espressione: «Io sono».
Gesù e gli apostoli testimoniano della presenza di Cristo nella Torah.
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