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INVOCARE JHWH

 INVOCARE JHWH

Continuiamo  gli esempi del precedente: Gesù è il Signore.


In Gioele 2:32, è scritto che «chiunque avrà invocato di JHWH sarà salvato.»

In Romani 10:13, e Atti 2:21, lo stesso versetto è tradotto: «Chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato.»

Facciamo una breve riflessione in merito a queste due citazioni. I Testimoni di Geova sono conosciuti per il loro zelo perché traducono sempre il nome di Dio, JHWH, con Geova. In questo modo essi vogliono far risaltare che Geova sia Dio Padre, mentre Gesù Cristo sarebbe solamente il figlio, undio inferiore. 

Nelle loro traduzioni, troviamo il nome Geova anche nel Nuovo Patto, benché sia stato scritto in greco e questo perché, ogni qualvolta riportano una citazione dell’Antico Patto nella quale si trovi scritto JHWH, essi lo traducono con Geova (Anche se non è sempre così. Vedi Matteo 2:13,19). 

Da un lato questo è lodevole, anche se il nome proprio impronunciabile JHWH va letto Jahweh e non Geova perché altrimenti si dovrebbe leggere allelu-ge anziché allelu-ja, dato che allelu-ja significa «lodate Jahveh», di cui Jh è il nome contratto di Jahweh. Così, i due versetti citati nella loro traduzione rendono: «E chiunque invocherà il nome di Geova sarà salvato.» In questo modo, gli appartenenti a quel gruppo religioso desiderano testimoniare che sarà salvato, solamente chi invocherà il nome di Geova (cfr. Michea 7:7; Isaia 12:2). Se però andiamo a leggere in Atti 16:31, troviamo scritto: «Credi nel Signore Gesù Cristo, e sarai salvato tu e la casa tua.»

Paolo e Sila dissero che la salvezza si ottiene mediante la fede nel Signore Gesù. Paolo riconosce Cristo, quale nostro salvatore (Tito 1:4; 3:6). 

La conclusione più ovvia è: o Geova non è il solo Salvatore, oppure, Gesù Cristo è Geova, il Salvatore. 

Mentre i Testimoni di Geova sono costretti a dichiarare che vi sono due salvatori (cosa più che assurda), la seconda ipotesi, che Gesù sia JHWH, è attestata in tutto il Nuovo Patto (Luca 2:11; Atti 4:12).

Continua...


Gesù è il Signore

 



GESÙ È IL SIGNORE


In questa sezione di studio daremo risposta alle domande, che ci siamo posti all’inizio della nostra ricerca: «Cosa volevano intendere i primi cristiani
quando attribuivano a Gesù il titolo di “Signore”?

Era un semplice titolo di rispetto, un altro nome di Dio, o qualcosa di più profondo?

Cosa vogliamo noi intendere, oggi, quando affermiamo che Gesù è il Signore?»
Per comprendere la risposta, dobbiamo ricordare che l’Antico Patto è stato scritto quasi tutto in Ebraico, mentre il Nuovo Patto in greco.

Perciò, le Bibbie che possediamo nella nostra lingua sono una traduzione delle lingue originali. Questo dato di fatto ci aiuta a comprendere le difficoltà che incontreremo nell’esaminare i nomi di Dio.
Abbiamo preso atto che il Creatore, JHWH, si è rivelato ad  un popolo, quello Ebraico.

Noi possiamo trovare la rivelazione della Sua Persona nei 39 libri scritti, sì, da uomini ebrei, ma da Lui stesso ispirati.

Dio, quindi, si è espresso nella lingua e secondo la cultura del popolo ebraico.

Per questo, in ebraico i nomi dati alla Divinità d’Israele, sono:
· Adonaj,
· Elohim,
· JHWH.
Oggi, noi possediamo questi testi, scritti originariamente in ebraico, nella loro traduzione greca. Per comprendere il valore della traduzione dell’Antico
Patto in greco, dobbiamo fare un breve passo a ritroso nella storia.
Tolomeo Filadelfo (285-247 a.C.), incaricò 72 eruditi ebrei di tradurre tutto l’Antico Patto in greco volgare (Koiné). Questa traduzione, venne chiamata la LXX (Settanta). Il Pentateuco fu terminato al tempo di Tolomeo, mentre il resto dell’Antico Patto finì di essere tradotto verso il 150 a.C. La versione dei settanta (LXX) fu adottata come testo dell’Antico
Patto da Gesù e dai primi cristiani.

Una prova che sia Gesù, sia i primi cristiani, adottassero la LXX come testo autorevole della Parola di Dio, proviene dalla traduzione del versetto 7:14 di Isaia, riportata da Matteo, al
capitolo uno e versetto ventitré, in riferimento a Maria la madre di Gesù.
Nell’ebraico, nel libro di Isaia, leggiamo:
«Perciò il Signore stesso vi darà un segno: Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele.»
Nelle nostre versioni del vangelo di Matteo troviamo scritto:
«La vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele, che tradotto vuol dire: “Dio con noi.”»
La differenza è evidente. In Ebraico abbiamo una giovane che partorirà,
mentre nelle nostre versioni, abbiamo una vergine. Come mai quest’apparente discordanza? Perché le citazioni dell’Antico Patto, riportate nel Nuovo Patto, sono prese dalla versione Septuaginta, che è la più antica traduzione del testo ebraico in lingua greca.
Nel testo ebraico, abbiamo almah, cioè giovane.
Nella traduzione greca, abbiamo parthénos, cioè vergine.
Questo dimostra che i primi cristiani adottassero, come Parola di Dio, anche la versione dei LXX.
In relazione alla nascita miracolosa e unica di Gesù, è ottima la riflessione di Ravi Zacharias, apologeta, nato in India: «Le prove migliori a favore di qualsiasi storia improbabile, sono quelle che provengono da fonti che avrebbero interesse ad attestarne la falsità. Esistono varie fonti che avevano tutto da perdere nel testimoniare della verità della nascita da una vergine, eppure
lo hanno fatto […] il sostegno maggiore a favore della verità della nascita di Gesù da una vergine proviene, incredibilmente, dall’Islam, che per secoli è stato in netta opposizione al vangelo cristiano. Infatti il Corano, scritto seicento anni dopo la nascita di Gesù, afferma chiaramente che Gesù è nato da una vergine (Sura 19:19-21). Se non fosse stato vero, a pro di che affermarlo, dato che l’Islam non ne traeva certo vantaggio?»
Poiché l’Antico Patto è stato tradotto in greco, la domanda più ovvia è: «Se i tre nomi di Dio espressi nella lingua ebraica non si trovano citati come tali in greco, in che modo li hanno tradotti i settanta eruditi ebrei,Ravi Zacharias, Perché tra i tanti proprio Gesù?, Italia Per Cristo Editore, Roma.
Nella loro versione? Dato che anche tutto il Nuovo Testamento ci è pervenuto in greco e in esso non troviamo nessuna traccia del nome ebraico JHWH, come hanno tradotto in greco, i primi cristiani, il nome proprio della Divinità d’Israele?» Dalla risposta che daremo a questa domanda, dipende gran parte della nostra comprensione della Scrittura.
I tre nomi di Dio in greco sono stati resi con:
· Despota, «Signore» o «Padrone», che è l’equivalente di Adonaj.
· Theos, «Dio», che è l’equivalente di Elohim.
· Kyrios« Signore», che è l’equivalente di JHWH.
Troviamo i tre nomi citati assieme solo in un versetto, nella lettera di Giuda.

«Si sono infatti infiltrati tra di voi certi uomini, che sono stati da tempo designati per questa condanna, empi che mutano la grazia del nostro Dio [Theos] in immoralità e negano l’unico Padrone [Despota] Dio e il Signor [Kyrios] nostro Gesù Cristo.» (Giuda 4)
Come abbiamo già accennato, proprio perché i nomi ebraici della divinità d’Israele non si trovano nelle traduzioni greche e di conseguenza nelle lingue di altre versioni, dobbiamo cogliere dietro alle apparenti espressioni comuni, i nomi riferiti a JHWH. Infatti, quando troviamo scritto Signore Dio (Matteo 4:7, 19; 22:37; Marco 12:29-30; 1Pietro 3:15;
Apocalisse 4:8; 11:17; 16:7; 22:5), altro non è che la traslazione dell’ebraico JHWH Elohim.
Prendiamo in esame i tre nomi in greco riferiti alla Divinità.
1. IL TERMINE SIGNORE (KYRIOS)
Il termine greco Kyrios, «signore», era una parola usata nella LXX per tradurre JHWH (che era letto dagli ebrei Adonaj - Mio Signore).
Vediamone qualche esempio. Grande Commentario Biblico,

 Queriniana, 1974, pag 1827.

Continua...

Testimonianza di Cristo nella Torah.



Gesù ha asserito più volte di essere JHWH.

Lo ha attestato nell’espressione «IO SONO», nel dichiarare che Mosè ha scritto di Lui e che Abramo ed Isaia Lo videro.
Ma se non avessimo anche un’ulteriore valida testimonianza, potremmo dire di aver compreso erroneamente le parole di Gesù. La testimonianza autorevole della presenza di Cristo nella Torah è data dagli apostoli; da coloro che in seguito hanno annunciato la sua presenza corporea nell’Antico Patto.
Alcuni credenti leggono pochissimo l’Antico Patto. Anzi, certi non lo leggono neppure perché lo ritengono non «cristiano». Eppure, una persona che si prefiggesse di leggere la Bibbia nell’arco di un anno, sarebbe costretta a leggere l’Antico Patto per otto mesi e il Nuovo Patto per quattro. Ma la testimonianza degli apostoli, sulla necessità di studiare l’Antico Patto è molto più valida.

Leggiamo in 2Timoteo, 3:14-17: «Tu però persevera nelle cose che hai imparato e nelle quali sei stato confermato, sapendo da chi le hai imparate, e che sin da bambino hai conosciuto le sacre Scritture, le quali ti possono rendere savio a salvezza, per mezzo della fede che è in Cristo Gesù.
Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire nella giustizia, affinché
l’uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni buona opera.»
Nella sua ultima lettera, l’apostolo Paolo ricorda a Timoteo che la sua fede era riposta nelle Scritture. «Tutta la Scrittura», alla quale si riferiva Paolo, era costituita dai 39 libri degli Ebrei, cioè dall’Antico Patto.

Ai primi cristiani esso era sufficiente, affinché tutti coloro che volessero fare la volontà di Dio, divenissero istruiti, corretti e, infine, trasformati in mini di Dio completi. Hanno le Scritture dell’Antico Patto lo stesso valore anche per noi?
«Or queste cose avvennero per servire da esempio a noi, affinché non siamo bramosi di cose cattive, come lo furono costoro… Or tutte queste cose avvennero loro come esempio, e sono scritte per nostro avvertimento,per noi, che ci troviamo alla fine delle età.» (1Corinzi 10:6-11)
Paolo ha narrato alcuni avvenimenti del popolo d’Israele, descritti nell’Antico Patto, per ricordarci che esso è stato scritto per noi, affinché ci applicassimo alla santità, per non subire la stessa sorte che JHWH riserbò al popolo d’Israele. Trascurare la lettura dell’Antico Patto, significa privarci di grandi benedizioni, limitare la nostra comprensione del volere e dell’opera di JHWH.
In sintesi, descrivo le ragioni della necessità di leggere e meditare l’Antico Patto:
1. Perché è Parola di Dio.
2. Per una ragione cronologica.
3. Per una ragione dottrinale.
4. Perché testimonia la messianicità di Gesù.
5. Perché serve per capire il Nuovo.
6. Perché gli insegnamenti spirituali sono eterni.
7. Perché ci sono profezie ancora inadempiute.
Nel testimoniare di Cristo, i primi cristiani spesso si rifacevano ad episodi descritti nell’Antico Patto. Paolo ricorda il velo sul volto di Mosè (2Corinzi 3:13); l’autore della lettera agli Ebrei cita Melchisedec, almeno una decina di volte (Ebrei 7:1); Giuda richiama alla mente dei suoi lettori la triste fine delle città di Sodoma e Gomorra (Giuda 7).

In 1Corinzi capitolo dieci, Paolo si sofferma maggiormente a descrivere alcuni avvenimenti del popolo d’Israele che troviamo narrati nella Torah, nel Pentateuco.

I primi cristiani, evidentemente, conoscevano questi episodi e Paolo prende l’occasione per invitare i credenti a non provocare Gesù Cristo, come fecero gli ebrei durante il periodo di quarant’anni trascorso nel deserto. Forse, a noi suona strano un tale avvertimento, ma evidentemente i primi cristiani avevano una chiarezza su Gesù Cristo, per noi scemata, invece, nel corso dei secoli.
«Ora, fratelli, non voglio che ignoriate che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola e tutti passarono attraverso il mare, tutti furono
battezzati per Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono il medesimo cibo spirituale, e tutti bevvero la medesima
bevanda spirituale, perché bevevano dalla roccia spirituale che li seguiva; or quella roccia era Cristo. Ma Dio non gradì la maggior
parte di loro; infatti furono abbattuti nel deserto, Or queste cose avvennero come esempi per noi, affinché non desideriamo
cose malvagie come essi fecero, e affinché non diventiate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: “Il popolo si sedette
per mangiare e per bere, e poi si alzò per divertirsi.” E non fornichiamo, come alcuni di loro fornicarono, per cui ne caddero in un giorno ventitremila. E non tentiamo Cristo, come alcuni di
loro lo tentarono, per cui perirono per mezzo dei serpenti.» (1Corinzi 10:1-9)
Paolo ha richiamato alcuni episodi riguardanti il popolo d’Israele, descritti nei libri dell’Esodo e dei Numeri. Spesso, poiché Paolo parla di una «roccia spirituale» che è Cristo, di un «cibo spirituale» e di una «bevanda spirituale» il significato di questo brano si considera metaforico, per cui l’interpretazione diviene interamente simbolica e tipologica.

E poiché per la nostra cultura lo «spirituale» si contrappone al «materiale», dalla lettura di questo brano prendiamo solo ciò che si traduce in un insegnamento morale, riguardante il nostro comportamento. Ma Paolo stava insegnando qualcosa di molto più importante. Poiché gli episodi citati sono realmente avvenuti, è difficile pensare che l’apostolo volesse trasmettere delle verità morali, senza basarsi su un presupposto storico.
Anzi, le verità morali non possono essere comprese rettamente, se prima non si sono compresi gli episodi accaduti nella realtà.
Paolo ricorda ai Corinzi che «la roccia spirituale era Cristo.» Cosa intendeva affermare l’apostolo? La parola «spirituale», in questa affermazione, non può essere presa in senso simbolico perché, anche il cibo e l’acqua sono definiti «spirituali»; eppure gli israeliti per quarant’anni si nutrirono di un cibo «materiale» e bevvero dell’acqua vera e propria. Anche il «corpo spirituale» che avranno i credenti non è qualcosa di evanescente (1Corinzi 15:44); come non è incorporeo, o evanescente, «l’uomo spirituale», cioè il credente (1Corinzi 2:15).
Inoltre, ciò che è definito spirituale, non può essere automaticamente considerato come «figura».

I due termini differiscono anche in greco.
L’aggettivo pneumatikos indica ciò che è proprio dello Spirito, ciò che è condotto dallo Spirito.
Il sostantivo typos significa invece, forma, figura, immagine.
Cristo era pneumatikos, cioè era una realtà, o una manifestazione della sua attività, condotta dallo Spirito, che accompagnava il popolo d’Israele.
La roccia «spirituale» che li accompagnava era, dunque, la presenza corporea di Cristo.
Perché Paolo usa allora l’espressione «Roccia spirituale»? Una roccia non è forse, come definisce il vocabolario, «un aggregato minerale che costituisce la parte più dura e coerente della crosta terrestre?» Riferita a Cristo, tale espressione non è da considerarsi in senso simbolico?
L’apostolo stava scrivendo a credenti che conoscevano le Scritture, la Torah.
I Corinzi sapevano che, nel capitolo 32 del libro Deuteronomio (v. 4,15,18,30,31), JHWH Dio, era chiamato Roccia. La parola «Roccia», in quell’occasione non era tanto un aggettivo, ma un sostantivo, che costituiva un nome di JHWH stesso. Prova ne è che i traduttori hanno scritto Roccia con la erre maiuscola. Anche la LXX traduce «Roccia» con «Dio», o con «Signore», come equivalente di JHWH. Non soltanto nei versetti citati, ma in tutto il cantico, al posto di «Roccia» i LXX traducono i Nomi del Dio d’Israele. Affermando che la roccia spirituale era Cristo, Paolo voleva intendere che nel deserto con il popolo d’Israele, vi fosse Cristo stesso, condotto dallo spirito di Dio.
Così commenta, il passo di 1Corinzi, capitolo 10, Enrico Bosio:
«…gl’Israeliti sono stati provveduti d’acqua e che dovettero questo alle cure costanti di Colui che Mosè stesso chiamò “la roccia della salvezza”
d’Israele (Deuteronomio 32:15,18; Conf. Isaia 30:29; 26:4); e che Paolo nomina addirittura Cristo. Difatti, secondo lui, la Persona divina che accompagnava il popolo nel deserto, l’Angelo della Faccia, l’Angelo di Dio, del Patto, l’Eterno, l’autore delle Teofanie, non era altri che il Figlio di Dio, il quale, prima d’incarnarsi, presiedeva alla Economia della Salvazione.
Egli era la vera roccia spirituale, soprannaturale, che seguitava Israele e provvedeva ai suoi bisogni.»11
Fa coro Leon Morris, citando Conzelmann: «l’uso di “era” … indica una preesistenza reale.»12
Così commenta F.F. Bruce nel suo libro Gesù ieri, oggi e domani:
«Ma cosa spinse Paolo e Giuda (v. 5) a parlare della presenza di Cristo con gli Israeliti nel deserto? … Paolo e Giuda intesero dire che la presenza di Dio e il messaggero in cui il suo nome era, non era altro che il figlio di Dio che nella pienezza dei tempi si incarnò come Gesù di Nazaret.»13
Per i primi cristiani, la presenza di Cristo nell’Antico Patto era cosa ovvia. È sorprendente leggere, nel libro degli Atti, come Apollo, un giudeo che conosceva solo l’Antico Patto, potesse predicare, e insegnare «con esattezza le cose riguardanti Gesù» (Atti 18:25) (così rende il greco, la Nuova Riveduta, la Nardoni, la Mariani). Se per noi la presenza di Cristo nell’Antico Patto non è evidente, si deve certamente ad una mancanza di conoscenza derivante da una errata trasmissione della fede o da una nostra insufficiente percezione di essa. Non solo. Anche i traduttori della Bibbia hanno una parte di colpa perché non sempre hanno tradotto correttamente il testo greco. La traduzione imperfetta del versetto nove nel capitolo dieci di 1Corinzi, nella Nuova Riveduta, offusca la presenza di Cristo nella Torah.
La Nuova Riveduta traduce così il testo di 1Corinzi 10:9: «Non tentiamo il Signore, come alcuni di loro lo tentarono, e perirono, morsi dai serpenti.»
La Nuova Diodati invece, fedele al greco, rende: «E non tentiamo Cristo, come alcuni di loro lo tentarono, per cui perirono per mezzo dei serpenti.»
Tradurre «Signore», al posto di «Cristo», non trasmette esattamente il pensiero di Paolo. Scrivere «Signore» induce il lettore ad avere un’idea vaga di Dio; mentre tradurre «Cristo» fa comprendere che gli ebrei nel deserto tentarono proprio la Persona di Cristo e non tanto Dio, inteso nella sua pluralità, come Theos o Elohim. Evidentemente, il traduttore non ha afferrato l’importanza di questa precisazione e ciò ci induce a pensare che molti non abbiano percepito la presenza di Cristo nell’Antico Patto.
11 Enrico Bosio, Le Epistole ai Romani, I-II ai Corinzi, Claudiana.
12 Leon Morris, La prima Epistola di Paolo ai Corinzi, Edizioni GBU.
13 F.F. Bruce, Gesù ieri, oggi e domani, Soli Deo Gloria.
Questo vale anche per quanto concerne una affermazione dell’apostolo Giuda nella sua lettera:
«Or voglio ricordare a voi, che già conoscevate tutto questo, che il Signore, dopo aver salvato il suo popolo dal paese di Egitto, in
seguito fece perire quelli che non credettero.» (Giuda 5)
I testi più antichi del IV e V secolo, al posto di «Signore» portavano scritto Gesù, Cristo, Dio Cristo, Dio, tesi questa attestata anche da F.F.
Bruce (1910-1991) professore di Critica Biblica ed Esegesi, in Gesù ieri, oggi e domani 14 dicendo «Questa parve una dichiarazione tanto straordinaria a molti dei primi editori e copisti del Nuovo Patto che sostituirono Gesù con “Il Signore” o con “Dio” o semplicemente con “Egli.” I Codici Vaticano e Alessandrino, e molte versioni antiche, rendono “Gesù salvò il popolo dall’Egitto.”» Queste versioni mettono in evidenza che fu Cristo a salvare il popolo dell’Eterno dall’Egitto e non un vago «Signore». Deuteronomio 4:37, è significativo. Nella nuova Diodati, leggiamo: «Ti ha fatto uscire dall’Egitto con la sua presenza»; mentre nella Nuova Riveduta, leggiamo «Egli in persona ti ha fatto uscire dall’Egitto.» Una simile lettura produce nella mente di chi legge, una chiarezza inconfutabile della reale presenza di Cristo al tempo dell’Esodo, non lasciando spazio alcuno ad ulteriori dubbi.
Questa coscienza della presenza di Gesù nell’Antico Patto, faceva sì che i primi ebrei cristiani scrivessero in un modo tale che a noi potrebbe risultare strano.
«Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del Faraone scegliendo piuttosto di essere maltrattato
col popolo di Dio che di godere per breve tempo i piaceri del peccato, stimando il vituperio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori di Egitto, perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa.» (Ebrei 11:24-26)
La domanda più ovvia è: «Come ha fatto Mosè a stimare il vituperio di Cristo maggiore delle ricchezze di Egitto, se non Lo conosceva? È anche questa una espressione da considerarsi in senso simbolico, o l’autore della lettera si rifaceva ad episodi veramente avvenuti?» Alla luce di quanto abbiamo considerato, Mosè scelse veramente di essere disprezzato per amor del Cristo che vedeva, anziché godere i piaceri terreni e fugaci.
L’Antico Patto è, dunque, il vangelo di JHWH. Questa era la convinzione dei primi cristiani e per questo citavano di frequente le Scritture, riferendosi a Cristo. L’autore della lettera agli Ebrei così scrive: «Perciò, entrando nel mondo, egli dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo; tu non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora io ho detto: Ecco, io vengo (nel rotolo del libro è scritto di me); io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”» (Ebrei 10:7-10.
Conf. Salmo 40). La venuta di Cristo non è stata occasionale. Essa era già stata preannunciata dalle Scritture, era scritto «nel rotolo del libro». Per questo Paolo, annunciando il vangelo, afferma che il Cristo è morto per i nostri peccati, è stato sepolto ed è risorto «secondo le Scritture» (1Corinzi15:3-4).
Se la vita di Cristo non fosse stata conforme alle Scritture, Egli sarebbe stato un falso Messia.
Il messaggio dei primi cristiani si riassume nella rivelazione della Persona di Gesù. Come nell’Antico Patto predomina la presenza di JHWH, così, la presenza della Sua incarnazione è costante nel Nuovo Patto. Sia nell’Antico Patto e sia nel Nuovo, non vi è altro messaggio: vi è un solo Dio e un solo Signore: Gesù Cristo (Deuteronomio 6:4; 1Giovanni 5:20).
Per curiosità, possiamo prendere atto delle seguenti statistiche riferite al Nuovo Patto:
La parola Gesù si trova più di 1000 volte.
La Parola Cristo si trova più di 500 volte.
L’espressione Gesù Cristo si trova più di 180 volte.
L’espressione Cristo Gesù si trova quasi 70 volte.
L’espressione Signore Gesù Cristo si trova più di 30 volte.
Ecco una dimostrazione di come Paolo citasse del continuo Gesù Cristo nelle sue lettere:
«Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo, per volontà di Dio, e il fratello Sostene, alla chiesa di Dio che è in Corinto ai
santificati in Gesù Cristo, chiamati ad essere santi, insieme a tutti quelli che in qualunque luogo invocano il nome di Gesù Cristo, loro Signore e nostro: grazia e pace a voi da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. Io rendo continuamente grazie per voi al mio Dio, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti in ogni cosa, in ogni dono di parola e in ogni conoscenza, per la testimonianza di Cristo che è stata confermata tra voi, così che non vi manca alcun dono mentre aspettate la manifestazione del Signor nostro Gesù Cristo, il quale vi confermerà fino alla fine, affinché siate irreprensibili nel giorno del nostro Signore Gesù Cristo. Fedele è Dio dal quale siete stati chiamati alla comunione del suo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore. Ora, fratelli, vi esorto nel nome del nostro Signore Gesù Cristo ad avere tutti un medesimo parlare e a non avere divisioni tra di voi, ma ad essere perfettamente uniti in un medesimo modo di pensare e di volere.» (1Corinzi 1:1-10)
Il modo di esprimersi di Paolo deve essere un monito per noi. Cosa predichiamo quando parliamo del «vangelo»? Quando testimoniamo cosa comprendono alla fine i nostri ascoltatori? Quando Festo riassunse al re Agrippa e Berenice la ragione per la quale Paolo era in contrasto con i giudei, disse: «Ma avevano solamente dei punti di disaccordo sulla loro religione e intorno a un certo Gesù, morto, che Paolo diceva essere vivente» (Atti 25:19).
Se i posteri potessero dire altrettanto di noi! Comprendiamo ora meglio le parole di Paolo ai Corinzi: «Perché mi ero proposto di non sapere fra voi altro, se non Gesù Cristo e lui crocifisso» (1Corinzi 2:2).
Per Paolo, tale affermazione non era gratuita, ma una realtà.
Alla luce di queste riflessioni, quando relativamente all’Antico Patto parliamo di Teofania, usiamo una definizione impropria. Anche l’espressione Cristofania forse è insufficiente. Dobbiamo parlare di Jahwehfania.
È vero che Gesù è Dio, ma i termini Teofania e Cristofania non rendono giustizia e chiarezza alla presenza di Cristo nell’Antico Patto.
RIEPILOGO
La Scrittura attribuisce alla Divinità d’Israele tre nomi: Adonaj,Elohim, JHWH.
JHWH, Elohim e Adonaj, non sono sinonimi indicanti la stessa personalità divina.
Solo JHWH è il vero nome proprio della Divinità d’Israele.
La Parola di Dio usa una pluralità di termini per indicare lo stesso ed unico Dio.
JHWH è il nome che il Creatore si è dato e che ha rivelato, per la prima volta, a Mosè.
La fede dei santi dell’Antico Patto non era in un Elohim vago, ma in JHWH.
Il Dio rivelato ad Israele è pluripersonale.
Dio ha uno Spirito.
JHWH ha uno Spirito.
Lo Spirito sia di Dio, sia di JHWH, è una Persona.
Gli israeliti, prima della diaspora, credevano in una Divinità espressa al plurale e che l’espressione di questa pluralità fosse in JHWH.
JHWH ha caratteristiche antropomorfiche e antropopatiche.Egli haun corpo e si è rivelato nell’Angelo dell’Eterno.L’Angelo dell’Eterno era l’immagine sostanziale di Elohim; la Perso-na,nella pluralità dell’Elohim, alla quale l’essere umano può accedere.L’Antico Patto è l’annuncio (vangelo) dell’opera e del messaggio di JHWH.
Giovanni il battista attesta che Gesù sia il Tetragramma.
Gesù Cristo attesta di essere JHWH, con l’espressione: «Io sono».
Gesù e gli apostoli testimoniano della presenza di Cristo nella Torah.

Testimonianza di Cristo nell'Antico Testamento.

TESTIMONIANZE DI CRISTO DELLA SUA PRESENZA NELL’ANTICO PATTO

 Le asserzioni di Gesù, circa la sua presenza nell’Antico Patto, non sono sempre vaghe. Egli fa ulteriori affermazioni ben precise. 

IN RIFERIMENTO AD ABRAMO 

In un’ennesima discussione con i giudei, Gesù asseriva di dare la vita eterna. I giudei risposero: «“Sei tu più grande del padre nostro Abrahamo, il quale è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?”. Gesù rispose: “Se io glorifico me stesso, la mia gloria non è nulla. E il mio Padre che mi glorifica, quello che voi dite essere vostro Dio. Ma voi non l’avete conosciuto, io però lo conosco e se dicessi di non conoscerlo, sarei un bugiardo come voi; ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abrahamo, vostro padre, giubilò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò”. I Giudei dunque gli dissero: “Tu non hai ancora cinquant’anni e Abrahamo ti ha visto?”. Gesù disse loro: “In verità, in verità io vi dico: Prima che Abrahamo fosse nato, io sono” [oppure, “prima che Abramo fosse prodotto in vita, io sono”]» (Giovanni 8:53-58) Gesù afferma di essere stato visto da Abramo (secondo diversi codici), e di avere esistenza anteriore a quella del patriarca, vissuto circa 2000 anni prima. Vari studiosi delle Scritture sono perplessi riguardo a questa affermazione di Gesù perché non trovano nella Bibbia nessun elemento riferito alla Persona del Cristo al tempo di Abrahamo, mentre decine e decine sono i riferimenti a JHWH. «Quando Abramo ebbe novantanove anni, JHWH gli apparve [cioè si lasciò vedere]» (Genesi 17:1) Proprio nello stesso capitolo, abbiamo un riferimento nel quale Abramo parla con JHWH, e ride: «Allora Abrahamo si prostrò con la faccia a terra e rise.» (Genesi 17:17) Proprio perché è JHWH, Gesù ha potuto affermare non solo di essere Dio, ma di essere anche Colui al quale Abramo si è rivolto e ha creduto. Per questo, quando i giudei cercavano di ucciderlo, Gesù rispose: «Abrahamo non fece questo» (Giovanni 8:40). I Giudei, avendo compreso che Gesù stava attestando di essere JHWH, decisero di lapidarlo. Uno studioso così commenta l’espressione di Gesù «Amen amen dico a voi: prima che Abrahamo fosse nato, io sono»: «Introdotto da un duplice Amen, il più forte giuramento, il nostro Signore dichiara il nome impronunciabile dell’Essere Divino.» 

IN RIFERIMENTO A ISAIA 

Nel suo vangelo, Giovanni di tanto in tanto riporta un proprio commento. Eccone uno: «Sebbene avesse fatto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui, affinché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia: “Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? E a chi è stato rivelato il braccio del Signore?”. Perciò non potevano credere, perché Isaia disse ancora: “Egli ha accecato i loro occhi e ha indurito il loro cuore, perché non vedano con gli occhi, non intendano col cuore, non si convertano e io non li guarisca”. Queste cose disse Isaia, quando vide la sua gloria e parlò di lui.» (Giovanni 12:37-41) Giovanni afferma esplicitamente che Isaia ebbe una prefania cristica e parlò di Lui. Dove troviamo scritto che Isaia ebbe una prefigurazione del Cristo, e parlò di Lui? Leggiamo al capitolo 6, di Isaia: «Nell’anno della morte del re Uzziah, io vidi il Signore assiso sopra un trono alto ed elevato, e i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno di essi aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. L’uno gridava all’altro e diceva: “Santo, santo, santo è l’Eterno degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria.” Gli stipiti della porta furono scossi dalla voce di colui che gridava, mentre il tempio si riempì di fumo. Allora io dissi: “Ahimé! Io sono perduto, perché sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; eppure i miei occhi hanno visto il Re, l’Eterno degli eserciti.” Allora uno dei serafini volò verso di me, tenendo in mano un carbone ardente, che aveva preso con le molle dall’altare. Con esso mi toccò la bocca e disse: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, la tua iniquità è rimossa e il tuo peccato è espiato.” Poi udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?” Io risposi: “Eccomi, manda me!”» (Isaia 6:1-9) Isaia non vide Dio Padre, né parlò di Lui, come comunemente si pensa, ma vide JHWH, che l’evangelista Giovanni testimonia di essere il Cristo. 

UNA ULTERIORE TESTIMONIANZA IN RIFERIMENTO A SATANA 

Vi è un’altra testimonianza rilasciata da Gesù in merito a se stesso. Essa riguarda la sua preesistenza. «Or i settanta tornarono con allegrezza, dicendo: “Signore, anche i demoni ci sono sottoposti nel nome tuo.” Ed egli disse loro: “Io vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di calpestare serpenti e scorpioni, e su tutta la potenza del nemico, e nulla potrà farvi del male. Tuttavia non vi rallegrate del fatto che gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”» (Luca 10:17-20) Non solo Gesù afferma la sua preesistenza rispetto ad ogni altro uomo, ma anche rispetto ad ogni essere angelico dei quali Satana è l’autorità. Chi non scorgeva la presenza di Cristo nell’Antico Patto, come poteva credere in Lui? Gesù parlava di se stesso come il preannunciato dall’Antica Alleanza. Non solo. Quando Gesù raccontò l’episodio di Lazzaro, di fronte all’invocazione del ricco di mandare qualcuno dai morti per testimoniare della perdizione eterna, rispose: «Se non ascoltano Mosè e i profeti, non crederanno neppure se uno risuscitasse dai morti» (Luca 16:31). Ascoltare Mosè e i profeti, significava credere in JHWH. Chi non crede che Gesù sia JHWH, non ha altra possibilità per credere nel Dio d’Israele. Dobbiamo aver fiducia più nelle parole di Gesù che nella nostra logica. In effetti, Gesù Cristo è risuscitato dai morti, ma neppure questo straordinario evento ha smosso dall’incredulità coloro che non volevano credere. Secondo alcuni studiosi, l’attestazione più categorica di Gesù circa la sua Divinità, confermata dalla Scrittura, si trova in Matteo 22:41-44: «Ora, essendo i farisei riuniti, Gesù chiese loro: “Che ve ne pare del Cristo? Di chi è figlio?.” Essi gli dissero: “Di Davide.” Egli disse loro: “Come mai dunque Davide, per lo Spirito, lo chiama Signore, dicendo: ‘Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi’? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?”» 
Il passo dell’Antico Patto richiamato da Gesù, è il Salmo 110. «L’Eterno dice al mio Signore: “Siedi alla mia destra finché io faccia dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi”» Come tutti i suoi contemporanei, Gesù cita la versione della LXX, ove il greco recita: «Il Signore ha detto al mio Signore», una traduzione che non rende fedelmente il testo originale ebraico. Ciò ostacola una giusta comprensione da parte del lettore. In ebraico, invece, abbiamo: «Oracolo di JHWH al mio adon.» Gesù, con questa citazione e affermazione, mette in evidenza la discendenza davidica del Messia come un fatto incontestabile. Dichiara che il Salmo è stato scritto da Davide, che colui a cui JHWH si rivolge (e che è figlio di Davide) ha l’appellativo di adon, cioè signore di Davide. E tutto ciò, per lo Spirito Santo. Come poteva, Davide, chiamare «signore» suo figlio? Per capire l’espressione «Oracolo di JHWH al mio adon», è necessario sottolineare quattro cose: 

1. È un errore di traduzione della LXX rispetto al testo ebraico. Gli evangelisti hanno traslato la stessa traduzione greca della LXX nel loro testo greco. 

2. Il testo del Salmo, ripreso da Gesù, richiama la cerimonia d’intronizzazione della casa reale. La «destra» non è uno scranno posto alla destra del Re, sul quale s’insedia il figlio cadetto, bensì è lo stesso trono del padre che, dopo aver accolto in piedi il figlio, gli consegna i segni del potere, lo fa accomodare al proprio posto, facendosi da parte alla sinistra dello scranno stesso (Apocalisse 3:21). 
Il cadetto, una volta intronizzato, diventa Re a tutti gli effetti e gli astanti pongono lo sgabello del padre ai suoi piedi. 

3. Poiché l’espressione «Oracolo di JHWH al mio adon» fa dedurre che JHWH si riferisca ad un altro, è bene tenere presente la peculiarità di JHWH, già presa in esame nei capitoli precedenti, di esprimersi in terza persona. In effetti JHWH attesta che, nella Sua umanità, Egli sta per essere intronizzato. L’apostolo Pietro asserisce la stessa verità: per meriti umani Gesù è stato costituito, dalla Deità, Signore e Messia. «Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che quel Gesù che voi avete crocifisso, Dio lo ha fatto [costituito] Signore e Cristo» (Atti 2:36). 

4. La vera intronizzazione di JHWH si è totalmente compiuta nell’ascensione della natura umana del Cristo (l’unico e vero mediatore: l’uomo Gesù Cristo!), il quale riceve il Regno eterno come uomo perché in quanto JHWH, Figlio di Dio, l’aveva sempre avuto. Quindi, contrariamente a quanto alcuni pensano, nell’affermazione «Oracolo di JHWH al mio adon» non esiste una attribuzione del nome JHWH alla prima Persona della Trinità, per la quale sarebbe la Persona del Padre a rivolgersi al Figlio, ma è JHWH stesso, quale Cristo eterno, che si riferisce alla Sua stessa natura umana. 
E per aiutare a comprendere questo modo ebraico di parlare, teniamo presente le varie espressioni di Gesù riferite a se stesso «Quando il figlio dell’uomo verrà» (Matteo 25:31; Marco 8:38; Luca 18:8), mettendo in evidenza la sua divinità. Queste riflessioni mettono in evidenza che Gesù ha del continuo testimoniato della Sua Divinità e della Sua presenza nella Torah, più di quanto molti studiosi abbiano compreso. Personalmente ho una forte fiducia che in futuro molti biblisti studieranno questo particolare aspetto. 

Come la Scrittura si interpreta con la Scrittura, così il senso delle affermazioni di Gesù non può essere compreso se non alla luce delle Sue stesse parole. JHWH è, dunque, la password di sé stesso. Ma, questa conclusione potrebbe essere ancora opinabile, se i primi giudei cristiani non avessero testimoniato apertamente la presenza di Cristo nella Torah. Questo sarà il prossimo argomento.

La presenza di Gesù nell'Antico Testamento.



Queste riflessioni hanno messo in evidenza che, quando nella Scrittura incontriamo il nome proprio della Divinità d’Israele, JHWH, dobbiamo scorgervi la Persona di Gesù Cristo. Questa verità, in certi ambienti, è anche accolta; ma molti cristiani hanno difficoltà ad accettare che, quando leggiamo il nome proprio di Dio, esso si riferisca solo alla Persona di Cristo e non anche al Padre, allo Spirito Santo, o alla Trinità. Mi rendo conto che stia diventando sempre più intellettualmente rispettabile confessare le incertezze, invece di affermare le certezze e che non essere esclusivisti, abbia il vantaggio di non crearsi degli avversari; ma, da quanto abbiamo studiato, è molto difficile giungere a conclusioni diverse. È vero che sia la Persona del Padre, sia la Persona dello Spirito Santo sussistono nell’unico Dio, ma non dobbiamo confondere le Tre Persone della Trinità; altrimenti, dal momento che Gesù è Dio, il Padre è Dio e lo Spirito Santo è Dio, potremmo concludere che in croce sia morto il Padre o lo Spirito Santo.


 JHWH è una delle Tre Persone della Trinità, cioè Gesù Cristo. Lo scopo di questo studio è rendere chiara a chiunque tale affermazione. 
Gesù, attestando di essere JHWH, non si limitò esclusivamente alla locuzione «IO SONO». Egli più volte ha inteso far comprendere anche in altro modo questa verità nelle varie conversazioni tenute con i giudei. «Voi investigate le Scritture, perché pensate di aver per mezzo di esse vita eterna; ed esse sono quelle che testimoniano di me. Ma voi non volete venire a me per avere la vita .
 Non pensate che io vi accusi presso il Padre, c’è chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza; infatti se voi credeste a Mosè, credereste anche a me, perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come crederete alle mie parole?» (Giovanni 5:39-47) 

 Gesù non ha mai detto che Mosè ha scritto del Padre. 
I giudei leggevano ogni giorno le Scritture. Credevano in queste. Non vi scorgevano però la Persona di Gesù Cristo. Essi sostenevano di credere a Mosè; e, quindi, nel Dio che si era a lui rivelato. Secondo Gesù però, essi erano falsi, perché non credevano in Lui. Credere a Mosè, significa credere alla testimonianza insita nei suoi scritti riguardo a Cristo. Non solo i giudei avevano un velo il quale impediva loro di vedere la Persona di Cristo nell’Antico Patto (2Corinzi 3:15), ma anche i discepoli di Cristo. 
Essi avevano ascoltato il Maestro per quasi tre anni, eppure, la loro mente era ottenebrata e il loro cuore incredulo. Leggiamo in Luca 24:25-27: «Allora egli disse loro: “O insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! 
Non doveva il Cristo soffrire tali cose, e così entrare nella sua gloria?”. 
E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano.» I discepoli sulla via di Emmaus non «vedevano» il Cristo e, per far comprendere loro chi avevano accanto, Gesù iniziò a spiegare i passi dell’Antico Patto che facevano riferimento alla sua presenza. 
Cominciando dalla Genesi, Egli percorse tutti i libri storici. 
Chi di noi sarebbe in grado di fare ciò? Leggiamo ancora in Luca 24:44: «Poi disse loro: “Queste sono le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: che si dovevano adempiere tutte le cose scritte a mio riguardo nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi.”» Richiamando a tal proposito i Salmi, Gesù intendeva non soltanto il libro indicato con questo nome, ma anche i cantici della Torah e i Neviim (I Profeti, Giosuè, Giudici, Samuele, Re, Isaia, Geremia, Ezechiele, e i profeti minori). 
Gesù affermava, così, la sua presenza negli eventi storici del popolo d’Israele. 
Alcune famose espressioni di Gesù acquistano un significato nuovo, alla luce di quanto stiamo considerando. «Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati! Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!» (Matteo 23:37) 

Come si spiega che Gesù abbia voluto, molte volte, raccogliere i figli d’Israele per proteggerli, se il suo ministero è durato solo tre anni? L’affermazione risulta chiara solo se JHWH è il Cristo che, più volte, con la sua presenza fisica (Deuteronomio 4:37), ha invitato gli Ebrei a mettersi sotto la sua protezione. Con tali discorsi, Gesù attestava ciò che abbiamo considerato: l’Antico Patto testimonia e in modo evidente la Sua presenza; i profeti hanno testimoniato di Lui. Chi, dunque, non crede a ciò che è scritto nella Torah, non può credere a ciò che Gesù afferma, giacché Egli non fa altro che confermare quanto è testimoniato nelle Scritture. Le affermazioni di Gesù non potevano non colpire i giudei. Gesù stava affermando: «Voi leggete ogni giorno le Scritture perché pensate che esse vi diano la vita eterna, ma non vi rendete conto che esse non fanno altro che parlare di me.» In definitiva, Gesù stava asserendo d’essere Egli stesso il soggetto-oggetto dell’Antico Patto e che l’Antico Patto stesso non fosse altro se non il racconto della sua vita, il vangelo della sua presenza. Ridurre la presenza di Cristo solo a quanto contenuto nelle profezie, nelle tipologie e nei riti, significa eliminare il centro del messaggio. 
Per comprendere la portata di quest’ultima affermazione, dobbiamo fare un paragone. Mentre i Musulmani, ancora oggi, recitano: «Le ilè illalà ue Muhammed rasud Allah», cioè «Non c’è Dio all’infuori di Allah e Maometto il suo profeta »; noi potremmo dire, in riferimento a Gesù: «Non c’è Dio all’infuori di JHWH e JHWH è il suo profeta.» Gesù è l’annunciatore di se stesso. La presenza di Cristo è, dunque, reale in tutto l’Antico Patto. Possiamo rinvenirla sia nel nome di Dio, JHWH, sia nell’Angelo di JHWH, sia nell’Angelo che precedeva e seguiva il popolo. Sottolineiamo quest’ultimo aspetto: «Allora l’Angelo di DIO, che camminava davanti all’accampamento d’Israele, si spostò e andò a mettersi dietro loro; anche la colonna di nuvola si mosse dal davanti e andò a mettersi dietro a loro» (Esodo14:19) 
Una Persona, definita Angelo, un termine il cui significato è identico a messaggero, camminava alla testa del popolo ebraico. È evidente che questa parola evoca nella nostra mente un essere spirituale con le ali; ma come  abbiamo sottolineato negli studi precedenti, questa parola è usata anche a proposito della manifestazione di JHWH. 
Nel parlare di se stesso JHWH usa la parola «angelo». Sul monte Sinai, al capitolo venti, JHWH dà delle leggi e, al capitolo ventitré, fa una promessa: «Ecco, io mando un Angelo [cioè la mia presenza] davanti a te per vegliare su di te lungo la via, e per farti entrare nel luogo che ho preparato. 

Stai attento davanti a lui e ubbidisci alla sua voce; non ribellarti a lui, perché egli non perdonerà le vostre trasgressioni, poiché il mio nome è in lui. Ma se ubbidisci pienamente alla sua voce e fai tutto quello che dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e sarò l’avversario dei tuoi avversari; poiché il mio Angelo [messaggero] andrà davanti a te e ti farò entrare nel paese degli Amorei, degli Hittei, dei Perezei, dei Cananei, degli Hivvei e dei Gebusei, e li sterminerò» (Esodo 23:20-23) Ancora una volta, JHWH promette di mandare un angelo. 
Quest’angelo doveva essere ubbidito, perché non avrebbe perdonato i peccati. Chi perdona i peccati, se non JHWH? A quale voce bisogna ubbidire, se non a quella di JHWH? Ma il popolo si ribella e si fa un vitello d’oro. Mosè ritorna davanti a JHWH (Esodo 32:31) e chiede perdono per il popolo. JHWH lo invita a compiere la sua missione e rinnova una promessa. «Ora va’ conduci il popolo dove ti ho detto. Ecco, il mio Angelo andrà davanti a te, ma nel giorno che verrò a punire io li punirò del loro peccato» (Esodo 32:34) In effetti, JHWH colpisce il popolo (Esodo 32:35). 

In seguito, JHWH ripete la promessa. «JHWH disse a Mosè: “Va’, sali di qui, tu col popolo che hai fatto uscire dal paese d’Egitto, verso il paese che promisi con giuramento ad Abrahamo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: ‘Io lo darò alla tua discendenza’. Io manderò un Angelo [messaggero] davanti a te e scaccerò i Cananei, gli Amorei, gli Hittei, i Perezei, gli Hivvei e i Gebusei. Sali verso il paese dove scorre latte e miele, poiché io non salirò in mezzo a te, perché sei un popolo di collo duro, e non abbia così a sterminarti per via”» (Esodo 33:1-3) La presenza del Cristo nell’Antico Patto 111 JHWH promette di essere con Mosè; ma promette anche che non starà più con il popolo d’Israele. Mosè si costruisce una tenda fuori dall’accampamento e lì parla «bocca a bocca» con JHWH (33:7-11). 
(La stessa espressione della LXX, la troviamo in 2Giovanni 12, e 3Giovanni 14). A questo punto, Mosè desidera conoscerLo meglio; e, allora, JHWH promette la sua presenza fisica che Mosè dà per scontata. «Verrò io di persona con te » (Mariani e Garofalo). (33:12-17) 
La Bibbia Concordata traduce «La mia faccia verrà..», e poi commenta «La faccia del Signore equivale al Signore stesso.» Mosè diventa sempre più ardito, chiedendo a JHWH di vederne la gloria, ma JHWH risponde che non è possibile vedere la sua faccia gloriosa e vivere, esaudendolo, così, solo in parte (Esodo 33:18-23 e 34:1-9). 
Quando Mosè testimonierà al re di Edom, quasi alla fine del viaggio, circa dopo quarant’anni dirà: «Ma, quando gridammo all’Eterno, egli udì la nostra voce e mandò un Angelo [messaggero], e ci fece uscire dall’Egitto; ed eccoci ora in Kadesh, una città ai margini dei tuoi confini» (Numeri 20:16) 

Ogni pio israelita era a conoscenza di questa presenza durante il viaggio verso la terra promessa, perciò le preghiere dei salmisti, alla luce di queste riflessioni, non possono che essere prese alla lettera. «O DIO, quando uscisti davanti al tuo popolo, quando tu marciasti attraverso il deserto…» (Salmo 68:7) 
L’angelo, il messaggero, era la Divinità d’Israele, JHWH. 
Anche Stefano, prima di morire martire, riassumendo la storia d’Israele, si riferisce ad un angelo: «Passati quarant’anni, l'angelo del Signore gli apparve [si lasciò vedere] nel deserto del monte Sinai, nella fiamma di fuoco di un roveto. 
Alla vista di ciò, Mosè rimase stupito di quel che vedeva, e come si avvicinava per osservare, udì la voce del Signore, che diceva: “Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abrahamo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”. 

Ma Mosè, tremando tutto, non arLa presenza del Cristo nell’Antico Patto 112 diva alzare lo sguardo. Allora il Signore gli disse: “Togliti i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale stai è terra santa. Ho certamente visto l’afflizione del mio popolo in Egitto e ho udito i loro sospiri, e sono disceso per liberarli; or dunque vieni, io ti manderò in Egitto”. Quel Mosè che avevano rifiutato, dicendo: “Chi ti ha costituito principe e giudice?”. Quello mandò loro Dio come capo e liberatore, per mezzo dell’angelo che gli era apparso nel roveto. Egli li condusse fuori, operando segni e prodigi nel paese di Egitto, nel Mar Rosso e nel deserto, per quarant’anni. Questi è quel Mosè che disse ai figli d’Israele: “Il Signore Dio vostro susciterà per voi, tra i vostri fratelli, un profeta come me. Ascoltatelo!”. 

Questi è colui che nell’assemblea nel deserto fu con l’angelo che gli parlava sul monte Sinai e con i nostri padri; e ricevette le parole viventi per trasmetterle a noi.» (Atti 7:30-38) L’angelo, al quale si riferisce Stefano, non è un essere spirituale con le ali; giacché al roveto, a parlare con Mosè fu il DIO di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, cioè JHWH. Su questo non vi sono dubbi. L’autore della lettera agli Ebrei lo afferma esplicitamente. 
«[Mosè] Per fede lasciò l’Egitto senza temere l’ira del re, perché rimase fermo come se vedesse colui che è invisibile.» (Ebrei 11:27) In greco, quest’affermazione ha il seguente significato: «Per tutto il tempo che Mosè stette saldo, vedeva Colui che è invisibile.» Quest’angelo era JHWH. Molto significative sono le parole del profeta Isaia (Isaia 63:9) che, espressamente, dichiara la salvezza del popolo d’Israele da parte di JHWH e non tramite un angelo. Mentre il Diodati e la nuova Diodati rendono: «L’Angelo della sua presenza li salvò», la Bibbia di Fulvio Nardoni, di Salvatore Garofalo, di Bonaventura Mariani, la Nuova Riveduta, la Bibbia Oscar Mondadori, e altre ancora, traducono: «Non un messaggero o un angelo, ma la sua presenza li salvò.» Non è stata la presenza di un angelo con le ali a salvare il popolo dal paese d’Egitto, ma la presenza di JHWH stesso. Come già detto, indirettamente abbiamo nel Nuovo Patto una testimonianza che non possiamo ignorare, in merito alla divinità dell’Angelo 

 Quando l’apostolo Paolo fu condotto davanti al sinedrio per giustificarsi di una colpa inesistente, nel libro degli Atti, leggiamo: «sapendo che una parte dei presenti era composta di sadducei e l’altra di farisei gridò a quelli del sinedrio: “Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei, è a motivo della speranza e della risurrezione dei morti che sono giudicato.” Appena egli disse questo, nacque un dissenso fra i farisei e i sadducei, e l’assemblea si divise; infatti i sadducei dicono che non vi è risurrezione né angelo, né spirito, mentre i farisei affermano l’una e l’altra cosa.» (Atti 22:6-8) 
Come è possibile che i Sadducei, i quali studiavano le Scritture meticolosamente, negassero l’esistenza degli angeli, quando tutto l’Antico Patto non parlava di altro e, soprattutto, dell’Angelo di JHWH? La spiegazione più ovvia è che i Sadducei ritenessero l’Angelo di JHWH la loro stessa Divinità. Anche i primi discepoli di Cristo hanno fatto delle dichiarazioni incredibili: «Costui trovò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia che, tradotto, vuol dire: Il Cristo”; e lo condusse da Gesù. Gesù allora, fissandolo, disse: “Tu sei Simone, figlio di Giona; tu sarai chiamato Cefa che vuol dire: sasso.” Il giorno seguente, Gesù desiderava partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: “Seguimi.” Or Filippo era di Betsaida, la stessa città di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaele e gli disse: 
“Abbiamo trovato colui, del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti: Gesù da Nazaret, il figlio di Giuseppe”» (Giovanni 1:41-45)
 I discepoli, benché non conoscessero ancora Gesù come il Cristo, dissero che Egli era il Messia, e COLUI del quale avevano scritto Mosè nella legge, e i profeti. Quel «Colui» si riferiva ad una Persona della quale Mosè aveva scritto. Chi poteva essere «Colui», se non JHWH?