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YHWH rivela l’esistenza di suo Padre 2° parte

«Tuttavia, o Eterno, tu sei nostro padre; noi siamo l’argilla e tu

colui che ci formi; noi tutti siamo opera delle tue mani.» (Isaia 64:7)

«È così che ripagate l’Eterno, o popolo stolto e insensato? Non è lui tuo padre che ti ha comprato? Non è lui che ti ha fatto e ti ha stabilito?»

È fuor di dubbio che il Redentore, il Creatore, sia Gesù Cristo. Essendo egli partecipe della stessa natura del Padre, essendo quella divina una natura Paterna, JHWH, cioè Cristo, è anche Padre nella relazione con la Sua creatura: «Vi è un Dio unico e Padre di tutti» (Efesini 4:6). 

Soltanto nella rivelazione neotestamentaria, apprendiamo da Gesù l’esistenza del Padre, in seno alle relazioni trinitarie. Questo aspetto è peculiare del cristianesimo.

È anche vero che nell’Antico Patto vi fossero già affermazioni

le quali, velatamente, attestavano una figliolanza in seno alla Divinità; ma solo alla luce delle parole di Cristo si possono comprendere:

«Dichiarerò il decreto di JHWH. Egli mi ha detto: “Tu sei mio

figlio oggi io ti ho generato. Chiedimi, e io ti darò le nazioni come tua eredità e le estremità della terra per tua possessione. Tu le spezzerai con una verga di ferro, le frantumerai come un vaso d’argilla”. Ora dunque, o re, siate savi, accettate la correzione, o giudici della terra. Servite l’Eterno con timore e gioite con tremore.

Sottomettetevi al Figlio, perché non si adiri e non periate per

via, perché la sua ira può accendersi in un momento. 

Beati tutti coloro che si rifugiano in lui.» (Salmo 2:7-12)

«Chi è salito in cielo e ne è disceso? Chi ha raccolto il vento nelle sue mani? Chi ha racchiuso le acque nella sua veste? Chi ha stabilito tutti i confini della terra? Qual è il suo nome e il nome di suo figlio, se lo sai?» (Proverbi 30:4)

Ancora una volta, riscontriamo che Gesù non ha detto nulla di completamente nuovo: tutto era già stato rivelato, anche se in forma nascosta.

Escludere la possibilità che l’Antico Patto presenti la Persona del Padre, non significa che Egli non fosse all’opera in JHWH. Anzi! Gli stessi termini «Elohim» (Dii, plurale), e «Adonaj» (Signori, plurale), ci conducono a comprendere che esista una pluralità nella Divinità; quindi, è legittimo, in senso ontologico, scorgere nella pluralità anche le Persone del Padre e dello Spirito Santo. Quando leggiamo: «Nel principio Elohim creò i cieli e la terra», significa che il Padre e lo Spirito Santo erano all’opera nel Figlio, giacché partecipi della stessa Natura. Ma dobbiamo tenere presente che gli scrittori biblici enfatizzano che ogni cosa fu fatta per mezzo di Cristo (Giovanni 1:1, 3; Ebrei 1:1-2; Colossesi 1:16; 1Corinzi 8:6). 

Per comprendere appieno questa differenza, occorre avere una mente trinitaria, cioè non confondere le relazioni delle tre Persone divine all’interno della loro comunione, con le loro specifiche relazioni con il creato e l’uomo. 

I teologi chiamano queste diversità «trinità ontologica» e «trinità economica ». 

Trinità ontologica è un termine riferito alla trinità nel suo interno, dove le tre Persone sono uguali in onore, gloria e potenza. 

Tre modi di sussistenza dell’unico tutto indiviso e indivisibile Dio. Trinità economica si riferisce, invece, alle funzioni svolte nell’opera di salvezza da ciascuna delle tre Persone della deità, distinte tra loro. Infatti, in merito alla trinità vi sono certe cose che devono essere dette di ognuno di loro e altre, peculiari a una soltanto delle tre persone, da non potersi affermare in merito alle altre due.

Dunque, l’Antico Patto non esclude l’opera di Dio Padre in Cristo, ma neppure la rivela.

Alcuni versetti, come Daniele 7:13, possono far pensare che nell’Antico Patto si trovi rivelazione della Persona del Padre. 

Il Figlio dell’uomo è senza ombra di dubbio Cristo, poiché Egli in prima persona si attribuisce questo titolo (espresso in terza persona, proprio come si esprimeva JHWH!) circa ottanta volte (Giovanni 3:13,14; 5:27; 6:27, 53, 62).

In quell’occasione, vediamo che il Figlio dell’uomo giunge fino «all’Antico di giorni», espressione, questa, nella quale alcuni colgono la Persona del Padre, anche se Daniele 7:9 e 7:22 fanno chiaro riferimento a Cristo. 

Se «l’Antico di giorni» è riferito alla Persona del Padre, dobbiamo anche accettare che Egli abbia i capelli «come lana pura» (Daniele 7:9). Se questa espressione è ritenuta allegorica, anche i troni, la veste, ecc. sono simbolici, rendendo il testo senza contenuto semantico.

È, dunque, normale che, quando parlava del Padre, Gesù non fosse compreso né dai suoi genitori, né dai giudei. Gesù non è venuto per rivelare il Dio dell’Antico Patto, essendolo nella sua incarnazione; ma è venuto perché, attraverso la sua Divina persona, l’uomo conoscesse la Deità e avesse accesso al Padre, sia come conoscenza, sia come avvicinamento.

Accettando radicalmente l’affermazione di Gesù, non si può che passare per estremisti. 

Se nessuno conosce il Padre se non il Figlio; se Gesù è l’unica via, per accedere al Padre; se nessuno «viene» al Padre se non per mezzo di Lui, ciò significa che non vi sono altre divinità alternative per accedere alla Deità trinitaria. Mi chiedo a questo punto come il Cattolicesimo Romano possa avere altri mediatori tra Dio e gli uomini, (tra l’altro, tutti esseri umani e peccatori); mi domando come possano gli studiosi cattolici sostenere dottrine Mariane. Una sola è la spiegazione: aver accettato incondizionatamente l’autorità del Cattolicesimo Romano, avendola anteposta a quella della Scrittura.

Che Gesù avesse un Padre e avesse una Natura come quella del Padre, getta luce sui sacrifici dell’Antico Patto. Non essendo ancora rivelato il Padre, è evidente che il credente all’epoca offrisse i suoi sacrifici a JHWH, cioè a Cristo. Con la sua venuta, Gesù ha tolto il «velo» e il credente ha libero accesso al Padre, perché JHWH, che si è fatto carne, ha potuto rivelarLo appieno, avendo così aperto un contatto diretto con Lui.

«Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel santuario, in virtù del sangue di Gesù, che è la via recente e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e avendo un sommo sacerdote sopra la casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, in piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi per purificarli da una cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura.» (Ebrei 10:19-22)

S’insegna tradizionalmente, che il credente dopo la venuta di Gesù possa offrire i sacrifici al Padre; ma, come affermato precedentemente, se i sacrifici dell’Antico Patto erano offerti a JHWH, cioè a Cristo, forse, è da rivedere la teologia che pretende di scorgere nella Persona (!) di Dio, un Padre, la cui ira deve essere placata e la cui giustizia deve essere soddisfatta.

Come il tabernacolo e tutti gli arredi erano figura di Cristo, così, anche i sacrifici avevano lo scopo di prefigurare la morte di Gesù Cristo e non di rivelare l’azione attiva del Padre che colpisce il Figlio. 

I sacrifici erano, dunque, un simbolo sostitutorio, anziché l’annuncio della pretesa di un Padre che vuole un sacrificio cruento per soddisfare la sua giustizia. 

Il rituale ebraico non deve essere interpretato nell’ottica di un Dio sanguinario che ha bisogno del sangue per la remissione dei peccati; ma in quella della Persona di JHWH che deve dare la sua vita per perdonare il peccatore. «Tu farai l’espiazione delle nostre trasgressioni» (Salmo 65:3). 

JHWH, ab eterno, nelle assise celesti decise, in armonia con il Padre e la Persona dello Spirito Santo, di creare l’uomo e di salvarlo mediante il Suo sacrificio; perciò, tutto il rituale ebraico aveva lo scopo di annunciare la buona notizia (vangelo) della Sua opera di redenzione.

Questa prospettiva ribalta completamente l’idea pagana di una divinità che debba essere placata con un’offerta cruenta. Dio (che nella nostra mente è associato, erroneamente, quasi sempre al Padre), non aveva bisogno di un sacrificio, per quanto indispensabile e inevitabile fosse il sacrifico cruento, lo spargimento di sangue. 

Per questo, nel suo amore Gesù Dio, in accordo con la Deità, si è offerto spontaneamente a morire per la Sua creatura.

«Per questo mi ama il Padre, perché io depongo la mia vita per prenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la depongo da me stesso; io ho il potere di deporla e il potere di prenderla di nuovo; questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio.» (Giovanni 10:17-18)

Ciò che successe alla croce, forse, ci sarà impossibile comprenderlo pienamente. Nel suo «proponimento eterno» (Efesini 3:11), la Deità decise di creare e di salvare l’uomo. Il Padre ha dato Suo Figlio (Giovanni 3:16) e attira le persone a Cristo (Giovanni 6:44); Cristo (JHWH) si è donato (Giovanni 10:18); lo Spirito Santo lo ha sostenuto nel suo compito umano (Atti 1:2).

Proprio per questa «intesa» della Deità, Gesù Cristo, quale Dio- Creatore-uomo, ha accettato su di sé «il peccato» costituente il muro di separazione dalla Sua creatura. Gesù non venne maledetto dal Padre perché portava i nostri peccati sulla croce; ma dalla legge (Galati 3:13). 

Non era la collera della Maestà a colpire Suo Figlio; ma fu il Figlio a scegliere liberamente di considerarsi responsabile della colpa dell’umanità e di sostituirsi a questa, accettando di scontare personalmente le conseguenze, che la Torah esigeva. La straziante esclamazione di Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» non denunciava che il Padre avesse abbandonato il Figlio, dato che in seguito Gesù disse: «Padre nelle tue mani rimetto il mio spirito.» Il grido disperato di Gesù rivolto alla Divinità, risultante «Elì, Elì», in ebraico secondo Matteo, e «Eloì, Eloì», in aramaico secondo Marco, è l’equivalente dell’Elohim dell’Antico Patto.

Gesù, come uomo, si rivolse alla pluralità della Deità e non solo alla Persona del Padre. 

Qualunque cosa fosse accaduta sulla croce, alcuni fatti sono certi: nessuno ha tolto la vita a Dio-Cristo Gesù (Giovanni 10:18); il Padre non era adirato con il Figlio; Gesù ha rimesso il suo spirito nelle mani del Padre che non lo aveva abbandonato. Un «abbandono», comunque, è avvenuto, perché Gesù ha portato i nostri peccati (1Pietro 2:24), perché Egli è stato fatto peccato (2Corinzi 5:21) e maledizione (Galati 3:13) per noi: a causa nostra e al nostro posto.

Il cristiano ha nel suo cuore una forte testimonianza, che deriva dalla Scrittura: Gesù è morto per riconciliare il peccatore con la Deità (2Corinzi 5:18-19) . Il peccato, per il Dio trino, non costituisce più un problema ostacolante l’accesso in cielo. Ora sta al peccatore accettare questo perdono offerto a tutti, e non solo ad alcuni.

«Dio ha riconciliato il mondo con sé in Cristo, non imputando agli uomini i loro falli.» (2Corinzi 5:19)

«[Il Padre] avendo fatto la pace per mezzo del sangue della sua croce, di riconciliare a sè, per mezzo di lui, tutte le cose, tanto quelle che sono sulla terra, come quelle che sono nei cieli.» (Colossesi 1:20)

Ma il fatto straordinario è che la riconciliazione non è stata solo verso la Persona del Padre, ma con la Divinità intera, cioè le Tre Persone della Deità. 

Gesù poteva anche riconciliare l’uomo a sé, o solo con il Padre e avrebbe fatto già tanto, ma ha voluto - assieme alla Deità - riconciliare l’uomo con le tre Persone Divine. 

Questo aspetto lo approfondiremo nell’ultimo studio sulla divinità teologica della Trinità.


YHWH RIVELA L’ESISTENZA DI SUO PADRE 1° Parte

 

Le seguenti riflessioni, assieme a quelle finali del prossimo studio, costituiscono le inevitabili conclusioni derivanti da ciò che abbiamo considerato nei dieci studi precedenti. Forse, qualcuno avrà delle perplessità ad accettarle, ma non ne vedo altre possibili, considerando ciò che è stato esposto fin qui, come corrispondente alla verità. 

Se le conclusioni sembrano assurde, sono disposto, come sempre, a mettere in discussione queste riflessioni finali e a farne oggetto di confronto, con chi avesse una visione differente.

La presa di coscienza che esista un Supremo, un Essere Infinito, è sempre stata propria di qualsiasi cultura e nazione. Nulla di strano che anche il popolo d’Israele avesse coscienza di un Creatore, di un Altissimo.

Ma che in seno alla Divinità vi sia relazione filiale, paterna e spirante, è una rivelazione esclusiva operata da Gesù Cristo. Per comprendere ciò, occorre per un attimo dimenticare duemila anni di storia e ritornare al tempo di Gesù Cristo. 

Fino a quel momento, il popolo d’Israele aveva creduto e credeva in un unico Dio, rivelatosi con il nome JHWH. Il profeta Isaia è categorico al riguardo.

«I miei testimoni siete voi, dice JHWH, insieme al servo che ho

scelto, affinché voi mi conosciate e crediate in me, e comprendiate che sono io. Prima di me nessun Dio fu formato, e dopo di me non ve ne sarà alcuno. Io, io sono JHWH, e all’infuori di me non c’è Salvatore.» (Isaia 43:10-11)

È in quest’ottica dottrinale che dobbiamo «ambientare» la venuta di Gesù e le sue parole. 

Quando Gesù nacque, Israele professava una fede monoteista, di un monoteismo assoluto corrispondente a quello di oggi. 

In un contesto del genere, è rivelata al popolo di Dio la pluralità della Deità; pluralità, tra l’altro, preannunciata velatamente fin dalle prime pagine della Scrittura.

Gesù, all’età di dodici anni, per la prima volta dichiara di avere una relazione con la pluralità di persone sussistenti in Dio.

«E avvenne che, tre giorni dopo, lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, intento ad ascoltarli e a far loro domande. E tutti quelli che l’udivano, stupivano della sua intelligenza e delle sue risposte. 

E, quando essi lo videro, rimasero stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo!.” Ma egli disse loro: “Perché mi

cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?.” Ma essi non compresero le parole che aveva detto loro.» (Luca 2:46-50)

Maria rimprovera Gesù per aver provocato ansia a lei stessa e a suo padre nel doverlo cercare, ma Gesù, facendo orecchie da mercante, risponde a Maria, riferendole di avere un altro Padre, al quale dover ubbidire.

Non a caso, Luca riporta che i suoi genitori non capirono la risposta di Gesù.

La seconda volta, in ordine cronologico, nella quale s’incontra il divino, che rivela una pluralità in sé rapportandosi a Gesù, è al momento del battesimo di Gesù.

«E Gesù, appena fu battezzato uscì fuori dall’acqua; ed ecco i

cieli gli si aprirono, ed egli vide lo Spirito di DIO scendere come una colomba e venire su di lui; ed ecco una voce dal cielo che disse: “Questi è il mio amato Figlio, nel quale mi sono compiaciuto”» (Matteo 3:16-17)

Dobbiamo pensare all’imbarazzo di coloro che erano presenti. Il Divino afferma di avere un Figlio. Se consideriamo esplicitamente il testo biblico, la voce del Divino è udibile tre volte soltanto: durante il battesimo (Matteo 3), sul monte della trasfigurazione (Matteo 17), quando Gesù entra a Gerusalemme montato su di un asinello (Giovanni 12). Subito si pensa che la voce sia quella della Persona del Padre, ma non abbiamo nessun supporto biblico per affermare ciò. Perfino Pietro, nella sua seconda lettera, si riferisce alla voce per due volte (2Pietro 1:17-18) senza, tuttavia, identificarla con la Persona del Padre. 

Anche Giovanni il battista, al quale fu rivolta la Parola di Dio, definì il mandante con il pronome colui, ma senza specificarne il nome, come leggiamo in Giovanni 1:33.

«Io non lo conoscevo, ma colui che mi mandò a battezzare con

acqua mi disse…»

Fino al battesimo di Gesù, nessuno pensava che in seno alla Divinità vi fosse una pluralità di Persone, che una fosse il Padre, una il Figlio, l’altra la Persona dello Spirito Santo. La voce che ha definito Gesù «mio figlio» può essere attribuita, oltre che alla Persona del Padre, anche alla Persona dello Spirito Santo, o a entrambe. 

Nel libro dell’Apocalisse, la voce è attribuita allo Spirito Santo. (Apocalisse 14:13) Questo ci porta a comprendere che anche la parola Padre non sia sempre da attribuire alla prima Persona della Trinità, ma anche a tutta la Trinità, in quanto Divinità.

Con le sue affermazioni, il figlio della vergine non ci concede una alternativa: solo tramite Gesù Cristo apprendiamo l’esistenza del Padre in seno alla Deità, perché la conoscenza di un Padre è possibile solo tramite il Figlio. 

Leggiamo in Matteo 11:27. «Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo.»

Gesù afferma in modo categorico che l’uomo, per natura, non può accedere alle relazioni trinitarie. Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre.

Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio. 

La Divinità è inaccessibile. 

Vi è una sola possibilità affinché l’uomo possa conoscere il Padre: la rivelazione operata da Gesù. 

Il Padre, quindi, è conoscibile solo attraverso Gesù Cristo. 

Se questa verità non ci fosse già famigliare, ci colpirebbe per la sua straordinarietà.

«Non che alcuno abbia visto il Padre, se non colui che è da Dio,

questi ha visto il Padre.» (Giovanni 6:46)

Il Padre di Gesù Cristo non solo non è conoscibile se non tramite Gesù, ma neppure è stato mai visto da alcuno.

Se prestiamo attenzione all’affermazione di Giovanni, secondo la quale: «nessuno ha mai visto Dio» (Giovanni 1:18), perché «Dio è Spirito»

(Giovanni 4:24), notiamo che questa per l’autore è una vera e propria provocazione.

Infatti, è vero che in 19 secoli i commentatori e i filosofi greci

hanno fatto di questa verità quasi un «dogma», ma la grande sorpresa, anche per gli stessi Giudei, è che il TaNaCh (gli ebrei chiamano così la Bibbia),afferma proprio il contrario. 

In effetti, nell’Antico Patto, esseri umani hanno visto JHWH, che è Dio.

«Poi Mosè ed Aaronne, Nadab e Abihu e settanta degli anziani

d’Israele salirono, e videro il DIO d’Israele. Sotto i suoi piedi

c’era come un pavimento lavorato di zaffiro, della chiarezza del

cielo stesso. Ma egli non stese la sua mano contro i capi dei figli d’Israele; ed essi videro DIO, e mangiarono e bevvero.» (Esodo 24:9-11)

O prendiamo sul serio ciò che per due volte è scritto, oppure, siamo di fronte ad un libro di fantascienza: 74 persone (non due o tre), hanno visto DIO. 

Se abbiamo dei problemi di comprensione, non derivano da ciò che è scritto, ma da ciò che abbiamo capito e, a volte, dalla nostra incredulità di fronte a ciò che è scritto nel testo. Nessuno si offenda, perché anche Christopher J.H. Wright, nel suo commentario al libro del Deuteronomio, palesa di non credere che Mosè abbia digiunato, né che si sia astenuto dal bere per 40 giorni e 40 notti (che poi diventarono 80).

22 - Oltre l’episodio di Isaia, capitolo 6, ricordato in Giovanni 12:37-41, nella Torah dobbiamo citare inoltre l’esperienza di Giacobbe a Betel e a Penuel (Genesi 32) e quella di Manoah (Giudici 13:22). 

Mosè è descritto come colui che parlava faccia a faccia con JHWH, come un uomo parla col proprio amico (Esodo 33:11), testimonianza questa, data direttamente da JHWH stesso ad Aaronne e Miriam «Con lui io parlo faccia a faccia, facendomi vedere, e non con detti oscuri; ed egli contempla la sembianza di JHWH» (Numeri 12:8). 

L’affermazione di Giovanni, che Dio è spirito, perciò sta a significare che nessuno ha visto DIO nella sua pluralità, cioè Elohim, ma JHWH Dio è stato visto e anche toccato dai santi dell’Antico Patto.

Le affermazioni di Gesù e degli apostoli vogliono far intendere che JHWH, la Divinità dell’Antico Patto, abbia un Padre, il quale è una delle Persone di una Deità pluripersonale, che non può essere né vista, né conosciuta. 

Solo attraverso il Figlio, si conosce l’esistenza del Padre e si può avere relazione con Lui.

22 Christopher J.H. Wright, Deuteronomio, GBU, Dicembre 2009, pag 206.

«Il Padre che mi ha mandato, egli stesso ha reso testimonianza di me. La sua voce, voi non l’avete mai udita; il suo volto, non l’avete mai visto; la sua parola non dimora in voi, perché non credete in colui che egli ha mandato.» (Giovanni 5:37-38)

Per conoscere il Padre, per udire la sua voce, occorre credere in Gesù.

Non solo. Gesù stesso disse a Filippo che vedere Lui,equivaleva a vedere il Padre. 

Il Padre non era, dunque, conoscibile prima di Cristo. Così, pure la Trinità. 

 Questo fatto ribalta completamente l’opinione comune, che vede nell’Antico Patto la rivelazione della Persona del Padre e nel Nuovo, quella del Figlio. Questa interpretazione ha dato adito a tanti equivoci ed errori dottrinali. 

A questo punto, si impone una domanda: «In che dio credono, coloro che non accettano Gesù come l’unico tramite per accedere alla Deità?» La risposta di Lutero è alquanto perspicace: «Chi va a Dio, senza Cristo, incontra il Diavolo.»

A confondere il credente non accorto, impedendogli di comprendere che la Divinità dell’Antico Patto non è la Persona del Padre, sono anche le Scritture degli ebrei, nelle quali JHWH è invocato come Padre. 

Ma ciò avviene solo in relazione al rapporto creatore/creatura e non con riguardo alle relazioni interne alla Divinità di Israele, cioè all’Elohim.

«Così Davide benedisse l’Eterno davanti a tutta l’assemblea e

disse: “Benedetto sei tu, o Eterno, DIO di Israele, nostro padre,

per tutta l’eternità”» (1Cronache 29:10)

«Non abbiamo forse tutti un solo padre? Non ci ha creati uno

stesso Dio? Perché dunque siamo perfidi l’uno verso l’altro così

che profaniamo il patto dei nostri padri?» (Malachia 2:10)

«Poiché tu sei nostro padre, anche se Abrahamo non ci conosceva e Israele ci ignora. 

Tu, o Eterno, sei nostro padre nostro Redentore, da sempre è il tuo nome.» (Isaia 63:16)