Eternità
E’ molto difficile trasmettere certe esperienze. Difficile
raccontarle, difficile recepirle. Anche se è un’esperienza millenaria, è come
una donna che volesse far comprendere ad un uomo cosa significa rimanere
incinta e partorire un bambino. Egli può afferrare intellettualmente vari
aspetti, ma tali esperienze per lui saranno puri concetti intellettuali. Così è
certamente l’esperienza che desidero raccontare. Era il mese di Gennaio del
1982 e stavo andando con la macchina a Modena a parlare per radio. Stavo
mentalmente ripassando ciò che dovevo dire, quando ad un tratto vidi arrivare
dalla mia sinistra un’ombra; in una frazione di secondo ebbi il tempo di
identificarla, prima che mi investisse: era un camion. Non ricordo quanta sia
stata la mia consapevolezza di questo impatto mortale, ma in un tempo che non è
coscientemente misurabile, ho percepito qualcosa che non apparteneva a questo
mondo, ma che comunque è di questo mondo: l’eternità. Il colpo al mio capo fu
violentissimo, svenni, e poco dopo ripresi i sensi in fondo ad un fosso con il
camion che mi era salito parzialmente sopra al cofano. Il mio corpo, tolta via
qualche escoriazione, rimase praticamente illeso, ma non fu così per il mio
essere interiore. La mia parte spirituale era stata investita dall’eternità,
allo stesso modo in cui il mio corpo avrebbe potuto essere stato investito da
una esplosione atomica ad una distanza sufficiente per rimanere vivo, ma non
indenne. Mentre prima avevo la consapevolezza del presente e della vita
limitata, ora, nello stesso modo, avevo anche consapevolezza di un mondo al
quale non avevo mai partecipato. Essendo un cristiano, ne avevo sentito
parlare, vivevo in quella speranza, ma ora percepivo quel mondo con la stessa
vitalità con la quale percepisco ogni cosa attorno a me. Avevo avuto contatto
con l’aldilà, con l’eternità. Era come se fossi stato chiamato all’appello nel
mondo futuro, e poi, improvvisamente, l’ordine era cambiato. Era come se mi
fosse stata aperta la porta dell’eternità, una luce sfolgorante mi avesse
investito, e poi, improvvisamente, per un colpo di vento, questa porta si fosse
chiusa di colpo. Non sono entrato, ma la luce che mi ha investito ha lasciato
in me un segno indelebile. Indelebile quanto l’Eternità.
Eternità. E’ una parola come tante
altre fino a quando non ne lambisci il significato. Si parla di eternità, si
fanno ragionamenti sull’eternità, si scrive e si predica su questa parola, ma
una volta che ne hai fatto una piccolissima esperienza, hai un senso di santo
rispetto non solo a parlarne, ma anche a pensarci. Ti rendi conto più che mai
dei tuoi limiti, sei cosciente del tempo che trascorre, ti trovi
imbarazzato di essere umano e caduco. E’ come se tutto il resto non avesse
valore. Fatta l’esperienza del sapore dell’eternità, è come gustare la migliore
torta di questo mondo dopo aver mangiato per tutta la vita fichi marci. Ogni
altra cosa, confrontata con questa esperienza, rimane insipida e limitata.
Dopo aver messo un piede nell’immortalità, necessariamente non si cambia fisicamente.
La Parola di Dio narra di Mosé, che dopo essere stato alla presenza del Dio
d’Eternità aveva il volto raggiante anche se lui non se ne rendeva conto, ma
questo episodio, come molti altri episodi, rimangono sempre unici. Spesse volte
non cambiano radicalmente neppure le abitudini, perché umani si è, e umani si
rimane. Ciò che cambia, in chi fa l’esperienza con il mondo futuro, è il tipo
di relazione che ha con ciò che lo attornia. E’ vero che tutto è come prima, la
cose materiali sono sempre quelle, le persone sono sempre quelle, ma, investito
dell’eternità, la tua relazione (quella relazione che fa sì che tu sia quello
che sei) è mista di umano e di quel divino di cui sei stato investito. Mentre
prima tutto era solo limitato ed umano, ora ogni rapporto è condito della
consapevolezza dell’eternità. Cammini su questa terra, ma hai coscienza di
appartenere ad un altro mondo; ti nutri del cibo terrestre, ma sei saziato solo
di ciò che non appartiene al terrestre. Quest’onda di eternità che ti ha eletto
non permette alla tua umanità di ignorare il divino, ma come un trauma, ti
ricorda continuamente l’esperienza che hai avuto e a che mondo appartieni. Non
sei stato chiamato a percepire l’eternità per un tuo piacere, perché tu possa
vantartene davanti ai tuoi simili, ma
perché questo tocco ti renda sempre più consapevole e responsabile nei
confronti di Chi possiede l’immortalità, e nei confronti dei tuoi simili ancora
ignoranti del mondo che gli aspetta.
Ormai, come per una spugna, la
mia parte materiale e spirituale sono stati imbevuti dall’eternità. Ogni mio
poro respira l’eternità, ogni mio ragionamento è condizionato dall’eternità.
Questo non significa che io sia perfetto, ma il perfetto dell’eternità che
viene da Dio si è mischiato con l’imperfetto che viene dalla corruzione. Due
elementi, ormai, che sono indissolubili, e che si divideranno solo quando
questo mortale sarà assorbito totalmente dall’immortalità. Questo dualismo
potrebbe sembrare negativo e portare al desiderio di liberarsi di ciò che è
caduco e destinato a scomparire. Da un lato è vero, ma la presenza
dell’eternità, vissuta e accettata nel modo giusto, produce in chi la possiede
un contatto con la realtà terrena più viva e umana. Difficile
descriverlo come è difficile descrivere l’eternità. Come l’eternità per essere
tale non deve avere elementi limitati, come l’immortalità non deve avere
elementi di morte, così l’umanità per essere tale non deve possedere elementi
eterni. Io vivo da essere umano quando sono limitato dallo spazio e dal tempo.
Se devo percorrere dieci chilometri a piedi, devo vivere ogni passo che
compio, diversamente, se compio miracolosamente un salto di cinque
chilometri per far prima e per evitare alcuni ostacoli, non ho vissuto da
umano. Così è della vita cristiana. Così è stata la vita di Cristo Gesù quale
uomo. Egli era Dio, aveva in sé la natura divina (non una esperienza divina
come possiamo fare noi), eppure visse come un uomo la sua umanità fino alla
fine. Egli ha gustato pienamente tutto ciò che un essere umano poteva provare,
fino a rifiutare di bere del vino mescolato con mirra per soffrire in pieno la
tremenda sofferenza della croce. Questo fa chi ha gustato l’eternità. Anziché
disprezzare l’umano, si immedesima sempre più con la sofferenza che produce la condizione
umana. Nessuno di noi può dare di più di quello che ha. Se la mia esperienza è
limitata solo all’umano, come potrò aiutare chi si trova nelle mie stesse
difficoltà? Se sono cieco come posso aiutare un altro cieco? Se invece ho fatto
l’esperienza del divino, se l’eternità è una realtà nella mia vita, le cose più
piccole che appartengono a questa esistenza limitata e imperfetta, potranno
essere affrontate e gestite da un’ottica futura. Dall’ottica dell’eternità.
Si dice che per Dio ogni futuro è
presente. Se così è, allora ogni presente fa parte dell’eternità. Sull’eternità
si è detto molto, fra l’altro che
l’eternità è un tempo che non cessa mai; ma forse l’eternità è il presente che
stiamo vivendo. Noi pensiamo che poiché il tempo nello scorrere sia un qualcosa
non appartenente all’eternità, dato che dal nostro punto di vista eternità è
sinonimo di un tempo che non termina mai, di conseguenza non vi può essere né
eterno passato, né eterno futuro, tanto meno un presente che è eterno. Ma la
realtà è diversa: noi siamo già immersi nell’eternità. Viviamo nel presente
dell’eternità e non lo sappiamo. E la ragione è molto semplice. Siamo noi con
la nostra mente limitata incapaci di afferrare un presente illimitato, per cui
riteniamo di vivere fuori dall’eternità. Mi è difficile pensare che stiamo
vivendo fuori dall’eternità anche dal punto di vista biblico. Gesù disse: “In
verità vi dico che ai figli degli uomini sarà perdonato ogni peccato e
qualunque bestemmia essi diranno; ma chiunque bestemmierà contro lo Spirito
Santo, non ha perdono in eterno; ma è sottoposto a giudizio eterno".
La sentenza di Gesù è unica in tutti i sensi. Prima di tutto perché se è vero
che Gesù è morto per tutti i peccati e chi pone fede in lui è perdonato per
tutte le colpe commesse, è anche vero che il sacrificio di Cristo Gesù non ha
il potere di perdonare un atteggiamento dell’uomo: la bestemmia contro lo
Spirito Santo. Inoltre, questo atteggiamento di rifiuto nei confronti della
testimonianza di peccato da parte dello Spirito Santo, è una colpa eterna. Non
viene perdonata né ora, né mai. Allora, l’uomo, ora, al presente, è in grado di
compiere un peccato eterno. Eterno, quanto l’eternità. Pertanto, se nessuno può
trarre una cosa pura da una impura (Giobbe 14:4), quanto più nessuno può
commettere un peccato eterno se non vive già egli stesso nell’eternità. Per
commettere un peccato che non può essere perdonato né in questo mondo, né in
quello a venire, occorre che l’uomo sia divino (e lo è perché Gesù ha detto che
siamo degli dèi), e che egli sia entrato già nell’eternità. Come ciò che è
limitato non può diventare infinito, così una azione che non è eterna, non può
avere una ripercussione eterna. Così, ora, in questo momento dell’eternità,
l’uomo ha la grande responsabilità di fare una scelta eterna per il suo destino
eterno. L’uomo non si gioca il destino futuro nel futuro, ma se lo gioca ora,
nel presente dell’eternità. L’appello di Dio è chiaro e inequivocabile: "Oggi,
se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori”. Non sempre l’uomo è in
grado di udire la voce di Dio, non sempre si può percepire l’eternità mediante
un’esperienza traumatica, perciò oggi è il giorno della salvezza, perché oggi
per te, e per me, è il presente dell’eternità.
Il ringraziamento va al fratello Ellero Balzani.